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Petrolio lucano. Storia di ordinaria follia?

26 aprile 2018 | 13:11
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Petrolio lucano. Storia di ordinaria follia?
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Petrolio lucano. Storia di ordinaria follia?
Petrolio lucano. Storia di ordinaria follia?

La morte dell’ingegner Gianluca Griffa e i problemi di produzione dell’Eni in Basilicata

In questa storia sono diverse le stranezze.

Flussi e riflussi

Nel marzo 2013, quando l’ingegner Gianluca Griffa era nel pieno delle contestazioni con i vertici Eni per via del petrolio a Monte Alpi, uno studio Eni analizzava e mostrava i problemi connessi al flusso di petrolio dai pozzi e lungo gli oleodotti Monte Alpi 6, 7 e 8.

Da anni Eni conosce il degrado causato da un fango denso che, accumulandosi, influenza la produttività. Sa che l’unico modo per liberarsene è usare acidi e solventi. Nel ’98 a proposito dei pozzi orizzontali del cluster Monte Alpi l’Eni stessa ricorda che Monte Enoc NW1 e Monte Enoc 9, perforati tra ’96 e ’97, erano “i primi esempi al mondo di pozzi orizzontali” e che per trivellare 1.358 metri di sezione orizzontale di Monte Enoc 9 Or, in una situazione con “molti problemi di stabilità della formazione”, erano obbligati a “ripulire” i buchi da detriti e depositi vari con miscele acide e solventi.

Nel ’99 Eni e Baker, con l’aggiunta della Schlumberger scrissero dell’acidificazione in profondità nei pozzi orizzontali della Val D’Agri parlando di ben sette pozzi orizzontali: Cerro Falcone 1, Monte Alpi 5, Monte Enoc NW1, Monte Enoc 2 Monte, Enoc 3 Monte Enoc 9, Alli 1, e d’aver completato Volturino 1 e Cerro Falcone 2, pozzi di drenaggio per aumentare la produttività nella roccia serbatoio, o immettere fluidi per stabilizzare la pressione di giacimento. Entrambi con piani di caratterizzazione presentati solo nel 2016 e vicino a sorgenti come Acqua dell’Abete, sequestrata 8 anni fa per la contaminazione riscontrata.

Pericoli e buoni risultati

Certo il Centro Nazionale delle Ricerche per Acqua dell’Abete aveva esposto il “pericolo di alterazione delle caratteristiche degli acquiferi derivanti da installazioni petrolifere capaci di porre in contatto acquiferi diversi e, soprattutto, fluidi diversi con l’assenza di azioni di sorveglianza della Regione”. Le corporation sapevano che l’acidificazione delle matrici rocciose di un pozzo orizzontale è problematica a causa dell’estensione delle zone da trattare, ma per ottenere buoni risultati a Monte Enoc 2 Or pomparono acidi ad alta pressione con getti diretti perché oltre le fratture conduttive c’erano fratture cementate da calcite difficili da aprire. Raccontano d’aver usato 15 mila litri di fluidi a base d’acqua con acido cloridrico (HCl, ndr) mescolato a un agente gellificante e un sale metallico, e sulla base di altre operazioni di acidificazione effettuate in Val D’Agri decisero di pompare a 800 litri al minuto circa 65 mila litri di fluidi a base di acqua e HCl alla più alta concentrazione compatibile ai livelli di sicurezza in termini di corrosione, con dentro inibitori di corrosione, agenti di controllo del ferro, modificatori di zolfo, agenti antisludge, riduttori di frizione, mutual solvent. Prodotti chimici a cui si collegano sostanze come ossido di ferro, solfato ferroso, acidi solfonici vari, polimeri ottenuti da acrilammide, e altro. Alcune con effetti sulla salute.

La scena di un suicidio

Proprio nel marzo 2013, quando Eni analizzava i flussi Monte Alpi l’ingegner Griffa era una figura di responsabilità al Centro Olio ENI di Viggiano (COVA, ndr). Il 26 luglio la madre ne denunciava la scomparsa. L’ingegnere per mesi aveva scambiato e-mail con i responsabili Eni in merito al greggio Monte Alpi. Quando venne trovato morto, i Carabinieri scrissero che si era arrampicato su un traliccio dell’Enel alto 20 metri, e lanciato giù, schiantandosi e rotolando per qualche metro in un dirupo. A 18 metri dal suolo, sul traliccio, era incastrata la scarpa destra. Più in alto, conficcato all’apice del traliccio, e con a fianco le campane dove passano 15mila volt, un bastone di legno con cui si sarebbe aiutato nella scalata. Prima di trovarlo, in altro luogo era rinvenuta l’auto. E poco lontano personale volontario trovava alcuni oggetti e una corda arrotolata su un albero. L’aveva comprata poche ore prima. Ma oltre quella che pare l’intenzione manifestata dallo scontrino per quella corda, e lo sconforto in cui era finito per non riuscire a far capire ai suoi superiori i problemi col petrolio lucano, c’è un fatto. Quegli oggetti non erano stati trovati nelle prime ricerche. “Di rilievo – riportano i Carabinieri – è la circostanza che tutti i presenti riferivano che quel materiale in precedenza non c’era, e quindi doveva essere stato posizionato da qualcuno in quel punto durante l’orario notturno in cui le ricerche erano state sospese”. Perché allestire una scena simile di notte? (Continua nella pagina seguente)

Problemi volutamente ignorati?

Mentre l’ingegnere muore, il COVA è servito da 33 pozzi produttivi, 30 collegati attraverso montagne e colline che per questo presentano problemi. Lo dice lo studio del marzo 2013 che rivolge l’attenzione ai pozzi e alle condotte di Monte Alpi 6, 7, e 8 e a due punti intermedi (Sezionamento 1 e Sezionamento 2, foto1),

prima che il petrolio raggiunga il COVA. Monte Alpi 6, 7, e 8 hanno problemi. Bisogna migliorare la produttività e abbattere il quantitativo d’acqua tirato su assieme al greggio sparando solventi in pozzi e condotte. Nello studio si legge che c’è una grande instabilità prima della pulizia con i solventi, e una “maggior dispersione nei punti”. I dati mostrano che immediatamente prima di solventizzare i pozzi c’è una condizione di instabilità, con un “flusso d’acqua che spesso supera quello di petrolio”. Nel 2014, a poca distanza da questi pozzi Monte Alpi, l’Associazione Cova Contro ha riscontrato strane scie rosse e oleose, pesci morti, e prelevato acque scure che in analisi hanno mostrato contaminazione da ferro manganese e idrocarburi. Secondo lo studio del 2013 se non si solventizzano pozzi e condotte, nel tempo si torna all’instabilità produttiva. Dicono che due settimane dopo la solventizzazione il tasso medio del flusso di petrolio da Monte Alpi 8 verso il COVA è ancora 3 chili al secondo, e la “dispersione dei punti è ancora bassa, con un flusso relativamente stabile”.

Pozzi tubi e flussi

Dopo 70 giorni però, il diametro interno della condotta che da Monte Alpi 8 porta il greggio al COVA si restringe del 65% rispetto al diametro originario. A causare il restringimento è la formazione di “sludge”, che ostruisce le condotte. Lo sludge è un’emulsione densa e viscosa fatta di petrolio acqua sedimenti e residui che si formano a causa dell’incompatibilità di alcuni tipi di greggio e i forti acidi inorganici usati nei trattamenti dei pozzi. Stando alla Shlumberger l’uso di certi additivi come surfattanti, o la presenza di “ferro disciolto” può promuovere la formazione di sludge, specialmente se nel greggio sono presenti asfalteni, ed è proprio il caso del petrolio lucano. Nel ’99 SPE, ENI Agip Div., Baker Oil Tool, e Schlumberger, avevano affrontato il problema dell’acidificazione dei fori trivellati dei pozzi orizzontali,  descrivendo la Val D’Agri come una riserva carbonica unica, considerate le aree di Tempa Rossa, Costa Molina, Monte Alpi,Cerro Falcone e Monte Enoc, con una media di 600 metri di colonna d’olio insaturo, leggero e pesante, che può arrivare sino a 1.000, in un’area che a 2.960 metri sotto il livello del mare vedeva il fondo della riserva “delimitato da un acquifero”.

Il fango acido che si conosce dal 2004

Il punto è che dal gennaio 2004 uno studio a firma Halliburton questa volta, che in Val D’Agri per ENI e SHELL lavora alle acidificazioni dei pozzi, esaminava 5 campioni di greggio dal mondo, tra cui proprio Monte Enoc e Monte Alpi. Lo studio proponeva un modello descrittivo del trasporto di HCl (usato per acidificare ndr) e HFeCl4, dalla fase acquosa alla fase oliosa con susseguente “formazione di sludge”. Quel famoso fango che intasa tutto. Si descrivevano certi composti inclini a formare aggregati che facilitano il trasporto di acido al greggio, e come la formazione in aggregati più grandi generava “sludge acido”. Sperimentalmente veniva confermato che sotto certe condizioni il modello era in grado di predire l’ammontare di questo sludge acido formatosi proporzionalmente all’attività acida svolta, o la funzione acida dell’idrogeno nella fase acquosa. Si scriveva che “in forti formulazioni di acido cloridrico contenenti Fe3+, l’acido HFeCl4 è formato in piccole quantità che possono essere trasportate alla fase oliosa”. Visto il quantitativo di acidi usato a Monte Alpi per stare in produzione, questi fenomeni possono aver causato quei problemi di corrosione denunciati da Griffa? (Continua nella pagina seguente)

Come ti aumento la produzione

Del resto per capire i quantitativi di solventi e acidi usati dobbiamo vedere un grafico dello studio sui pozzi di Monte Alpi 6, 7 e 8 sulla degradazione della produzione di petrolio durante l’anno (foto2).

Prima dell’applicazione di solventi, senza la possibilità di considerare gli aspetti relativi all’instabilità del flusso e alla formazione di sludge (acido?) lungo l’oleodotto, si cerca di solito di ritardare il declino progressivo di produzione. Dopo aver sparato solventi accade una “tempestiva reazione al declino di produzione”. Quei solventi, prontamente programmati durante l’anno, pare per ben quattro volte nel caso, hanno permesso di rallentare il degrado del flusso di petrolio verso il COVA, con “un aumento della produzione complessiva di petrolio da stoccare nei serbatoi a Viggiano di parecchie migliaia di metri cubi per ogni pozzo in soli sei mesi”. Un sistema affermavano, che dall’anno successivo era in implementazione in altre linee. Proprio in questo periodo, in questa storia, s’incastra la storia di Griffa, che in una lettera scrive dei problemi del COVA proprio con la produzione Monte Alpi, e di recapitarla all’Unmig di Napoli e ai Carabinieri di Viggiano “in caso capiti qualcosa o mi capiti qualcosa”. Nelle “ispezioni periodiche del 2009/2010”- scrive l’ingegnere -, avevano già riportato che a quei serbatoi mancava “buona parte della vernice di fondo a scopo protettivo”, e vi era qualche segnale di “lieve corrosione”.

L’interesse di Eni

L’ingegner Gianluca Griffa racconta nella sua lettera anche di un problema relativo al glicole trietilenico usato per disidratare il gas, e di quei 3-4 metri cubi al giorno portati nei serbatoi di stoccaggio che “non sono drenabili”, perciò l’acqua residua contenuta nel petrolio che finisce a Taranto in raffineria contiene glicole. Motivo per cui si smaltisce come rifiuto verso l’esterno. Riferisce pure che il glicole “viene perso quasi in toto dalla linea 4 di trattamento”, e che dal 2011 è quadruplicato il consumo, e dunque si tratta di un problema precedente e noto a “livelli molto superiori”. Nella riunione del febbraio 2013 l’ingegnere fa l’ennesimo tentativo di rappresentare a Ruggero Gheller e altri responsabili di Milano i problemi della linea 4, di come lavorasse oltre i limiti, e che ciò comportava un non completo assorbimento di CO2, un trascinamento di glicole verso i serbatoi di stoccaggio del petrolio, e che l’apparecchiatura che separava il gas da idrocarburi e acqua lavorava a pressioni di esercizio un po’ superiori al normale. E mentre l’ingegnere cercava di far capire che bisognava ridurre la produzione per tali problemi, oggetto della riunione era diventato come “incrementare” il petrolio.

Corrispondenze

Una storia questa, meglio compresa attraverso la corrispondenza Eni. Il 13 novembre del 2012 il Responsabile del Hub Sud Est scrive una e-mail. Oggetto: “problematiche connesse alla ricezione del greggio dalla Val D’Agri alla raffineria di Taranto”. A causare i problemi, una vera emergenza dice il vice presidente esecutivo Eni, è il greggio Monte Alpi e la “presenza di notevoli quantitativi di acqua mista a sostanze non ancora identificate”. Le sostanze poi verranno identificate. Si tratta di ferro, che da 3-5 milligrammi litro (mg/l, ndr) standard è riscontrato in quantitativi abnormi, tra “400 e 4.000 grammi litro”. E i valori di COD che indicano il contenuto totale di sostanze organiche e inorganiche ossidabili (il grado di contaminazione antropica, ndr), che passa da “valori normali” per Eni di 1.000-2.000 mg/l, a 200.000-300.000. In questo modo esiste depuratore in grado di trattarle? A Taranto pare di no. A causare l’emergenza COD è il glicole dicono. Ne usano così tanto che il mese dopo si chiede la revisione della fornitura perché in un anno e quattro mesi hanno consumato quasi la quantità di glicole prevista per tre anni (6,5 milioni di euro degli 8,4 di budget, ndr). Il glicole è fondamentale per non mandare in tilt la produzione, lo si utilizza per assorbire l’acqua contenuta nel gas che viene su assieme al greggio. E per Monte Alpi è tanta, superiore al petrolio se non si acidificano i pozzi. (continua nella pag seguente)

Da quanto tempo c’è un problema acqua?

Si scrive che il cattivo odore potrebbe derivare dalla prolungata segregazione dell’acqua contenuta nelle gole del tracciato dove la decantazione potrebbe aver favorito processi batterici, e il rilevamento di un più elevato contenuto di solidi sospesi nelle acque drenate dai serbatoi del COVA. Il 23 novembre 2012, Andrea Palma scrive a Gheller, Giuseppe Ezio, Walter Pessina, e Griffa. L’oggetto è l’acqua. COVA dovrà produrre un aggiornamento sulle attività di analisi con l’obiettivo di intercettare la sorgente responsabile del deterioramento della qualità dell’acqua. In parentesi afferma che è ancora tutto da dimostrare che il deterioramento si sia palesato in toto nel periodo oggetto degli eventi o “sia in buona, se non per la sua totalità, già presente nelle acque che COVA ha sempre inviato insieme all’olio“. L’ingegner Griffa era a conoscenza del problema acqua in merito al greggio Monte Alpi. Tanto che il 14 luglio 2013, poco prima di essere trovato morto, inviò una mail a vari responsabili, Gheller compreso, con il verbale sui problemi del greggio Monte Alpi e la “gestione delle acque di drenaggio”. Si riporta che da ottobre 2012 era stato riscontrato l’elevato valore del COD “dell’acqua di drenaggio del greggio Monte Alpi” e per ciò non era idonea a essere “processata” nel sistema di trattamento della raffineria. Sapevano pure della “presenza di ferro nell’acqua di drenaggio”. Perciò la gestivano smaltendola “come rifiuto verso l’esterno”.

L’interesse multinazionale

Già il 13 novembre del 2012, in una mail si comunicava l’impegno di “verificare l’accesso ai servizi di smaltimento acque verso Tecnoparco” (Tecnoparco Valbasento spa finita nell’inchiesta sullo smaltimento illecito, ndr). Due giorni dopo si comunicava anche che la raffineria di Taranto era “gestore di un contratto con Riccoboni per lo smaltimento acqua con autobotti“, ma del servizio non erano chiare capienza residua, punto di consegna, numero minimo di mezzi garantiti al giorno, preavviso per richieste di automezzi eccedenti il numero regolato da contratto, ecc. Ma questa è una storia di petrolio. E conta altro. L’11 aprile 2013 il vice presidente della Divisione Refining & Marketing Eni in una mail riepiloga le richieste della Shell. Alla multinazionale inglese interessano le consegne, tanto che dieci giorni prima aveva chiesto di garantire nei mesi di aprile e maggio 13 mila metri cubi al giorno di greggio, inducendo il responsabile della Eni Trading & Shipping spa a far presente di verificare se, alla luce delle manutenzioni previste ma non programmate sugli stoccaggi COVA, nei mesi di aprile e maggio sarebbe stato necessario variare le date di consegna via mare dei tre lotti da 30 mila tonnellate. Shell vuole sapere volumi e quantità di acqua contenuta nel greggio trasportato a Taranto prima e dopo le problematiche riscontrate a fine 2012, e la “stima dei costi totali previsti a partire dal 21 novembre 2012, data di inizio delle attività di smaltimento acque, fino al 30 aprile 2013”.

Rifiuti da smaltire in Basilicata

Stando ai modelli di dichiarazione ambientale di Tecnoparco si è passati dalle 11.233,43 tonnellate di “soluzioni acquose di scarto non pericolose” (CER 161002, ndr) del settembre 2012 con provenienza Viggiano, alle 21.433, 54 di ottobre, mese in cui dicono d’avere problemi con l’acqua, alle 37.881,96 di novembre, e alle 34.471,56 di dicembre. Quantitativi triplicati in due mesi, per un totale di oltre cento milioni di chili di soluzioni acquose di scarto smaltite tra settembre e dicembre 2012. La Shell dichiara che solo dal 21 novembre 2012 iniziano le attività di smaltimento, mentre è tutto il mese di novembre a risultare quello con maggiori quantitativi inviati a Tecnoparco con provenienza Viggiano. Certo il primo febbraio del 2012, otto mesi prima di dichiarare problemi di gestione acque, mostravano che senza solventi il flusso di petrolio è instabile, e come in due ore avevano tirato su tra 100-200 standard metri cubi (Sm3, ndr) di petrolio e il doppio di acqua. Il 6 febbraio solventizzando Monte Alpi 8 il flusso di petrolio si stabilizzava a 320Sm3, quello di acqua alla metà. Tenendo conto di tali medie quante acque di scarto hanno prodotto? A Tecnoparco da Viggiano risultano arrivate a febbraio 11.610,26 tonnellate di soluzioni acquose di scarto non pericolose, quantitativi di periodi in cui non sono dichiarati problemi di gestione di acque di strato. (Continua nella pag seguente)

Verificare la produzione

Le problematiche delle acque avevano portato a programmare persino l’ispezione dell’oleodotto Monte Alpi – Taranto. Nel marzo 2013, mentre viene pubblicato lo studio che racconta che se non si acidificano i pozzi di Monte Alpi viene su più acqua che petrolio, il Responsabile interventi in linea Eni scrive cosa devono fare. Le operazioni di piggaggio, dice, consistono nell’inserimento di due pig di pulizia intervallati da 500 metri cubi di prodotto (quale?). All’arrivo un secondo pig con dischi di alluminio sarà lanciato per verificare la geometria della condotta. A quel punto se i dischi di alluminio sarebbero risultati danneggiati si sarebbe proceduto al lancio di un altro pig chiamato caliper, o al lancio del pig intelligente. E conferma che i tempi di lancio e arrivo sono stati considerati tenendo conto di una portata di 990 metri cubi l’ora, cosa su cui il Coordinatore operativo della raffineria non pare d’accordo. Afferma che normalmente nei 12 anni di esercizio dell’oleodotto i passaggi pig avvengono a una portata di 680 metri cubi l’ora e chiede “se si decide di far transitare i pig a 990 metri cubi l’ora, che qualcuno ci autorizzi a queste velocità”. Ancora il 4 giugno 2013 in una mail su “analisi acque drenaggio serbatoi Val D’Agri” relative al mese di maggio si afferma che tutti e tre i serbatoi, ma in particolare il T3002, raggiunge i picchi più elevati, 420.500 milligrammi litro (mg/l) di COD (foto 2, ndr), e i valori più bassi di ferro, 31mg/l. Ferro che va da 31 a 2.600 nel T3002. Da 166 a 1.711 nel T3001, da 352 a 3.643 nel T3005.

Storia di ordinaria follia lucana?

In questa storia sono diverse le stranezze. Si acidificavano i pozzi Monte Alpi e si era a conoscenza o no delle informazioni Hulliburton del 2004 che descrivevano come in forti formulazioni di acido cloridrico contenenti Fe3+, l’acido HFeCl4 formatosi poteva essere trasportato nel greggio, con la possibilità di formare sludge acido? Si sapeva o no da marzo 2013 che proprio a causa dello “sludge” dopo 70 giorni di flusso il diametro interno della condotta che da Monte Alpi 8 porta il greggio al COVA si restringeva del 65%? Lo sludge acido ha causato problemi a condotte e serbatoi? È possibile che solo Shell chieda conto a Eni dei quantitativi di acque di scarto prodotte come rifiuto da smaltire? Possiamo saperle? Intanto, e solo per fare un esempio, è inusuale o no rinvenire acque rossastre e oleose che escono da sottoterra e finiscono nel torrente Salandrella con proprio i livelli di ferro 2.740 volte oltre il limite per le acque sotterranee, manganese 328 volte oltre, alluminio 193, arsenico 32, piombo 7 volte, nichel 6 volte e mezzo, e poi cobalto oltre, e boro al limite, e ancora quantità di bario, vanadio, zinco e fenoli? È possibile che siano acque di strato smaltite illecitamente? Magari usando i pozzi presenti a monte? In fondo, in Basilicata, è già accaduto.