Viaggio inchiesta in quella che ormai è diventata la Valle della desolazione. Una vera e propria Zona Franca Petrolifera. La Val Basento
Tra pozzi, tubi, centro olio, depuratore, discarica per rifiuti speciali e petroliferi, una rocambolesca storia di reiniezione, e qualche imprenditore con forma mentis criminale. Il Materano sembra più una zona franca del petrolio che della capitale europea della cultura.
Dopo aria terra e acqua la black economy in provincia di Matera ha conquistato la cultura, capitalizzando il tema con cui la Città dei Sassi si è candidata a Capitale Europea, grazie a corporation e imprese che sfruttano il petrolio, che consuma risorse fondamentali, per sponsorizzare mostre ed eventi.
L’industria del petrolio funziona come la mafia?
Del resto l’industria petrolifera, con i titoli minerari Cugno Le Macine tra Grottole e Ferrandina e Serra Pizzuta a Pisticci, nel materano è arrivata nel 1959. Tra questi comuni sono stati perforati decine e decine di pozzi che arrivano anche a oltre 2.000 metri sotto terra.
Ha funzionato come in altre aree del pianeta, nel modo spiegato dall’agente dei servizi USA John Perkins, dove lo sfruttamento non corrisponde a un aumento della capacità di espandere settori economici quanto a ingurgitarli, spesso distruggendone alcuni con l’inquinamento?
Proprio a Pisticci un imprenditore agricolo ha raccontato d’aver smantellato la sua attività per i veleni del polo petrolchimico. E nonostante oggi l’Amministrazione sia cambiata e vi sia un movimento politico attento a tali questioni, a questo imprenditore che ha chiesto di recente le ragioni del colore bruno-rossastro del Basento e del suo fetore hanno risposto “non è detto sia inquinamento”. Non è detto, ma capita da tempo.
Come capita che qualcuno non racconti per paura di ritorsioni, o denunci contro ignoti, che tali restano, la morte di capi di bestiame per abbeveraggio. Colpa d’un corporativismo petrolifero radicato in politica ed economia?
L’industria del petrolio, dice Perkins, funziona esattamente come la mafia, e non da oggi. E se ieri fatti delicati riguardavano la costruzione del Centro Olio Eni di Viggiano, oggi cantieri per la criminalità, ingerenze politiche e della malavita interessano Corleto nel cui territorio è in costruzione il Centro Olio della Total.
Nel Materano, negli anni Novanta, il procuratore Nicola Maria Pace indagò su un traffico illecito di rifiuti che coinvolgeva camorra e ‘ndrangheta, e oggi, anni dopo l’installazione dei pozzi a Pisticci, si scopre che la ‘ndrangheta dei Piromalli è attiva in vari settori economici e si ripulisce con società grazie a giovani prestanomi locali.
Tra Ferrandina e Salandra vanno e vengono uomini della Stidda siciliana a chiedere conto a imprenditori agganciati all’indotto petrolifero e a quel protocollo dell’ex sindaco di Corleto contiguo a onorate società.
A Pisticci da tempo ci sono un piccolo vecchio Centro Olio Eni, una discarica per rifiuti speciali e petroliferi (Ecobas srl, ndr), e il depuratore Tecnoparco Valbasento spa che chiude la filiera petrolifera, e di cui un noto consigliere e proprietario di quota, anni fa finiva intercettato mentre un imprenditore-politico lo informava di come un boss della ‘ndrangheta, battezzato dai Mammoliti alleati ai Piromalli, era intervenuto in una riunione con gente di spessore di camorra e ‘ndrangheta per “redimere contrasti su appalti”. (Continua nelle pagine seguenti)
A ciascuno la sua quota di occultamento
Nel 2016 Tecnoparco finisce nell’inchiesta dell’Antimafia per traffico illecito di rifiuti petroliferi, (sfociata poi in un processo) e assieme a una rete di società che vede un soggetto imprenditoriale conosciuto a Pisticci dagli anni del lavoro di Pace per falsificazioni di codici e reati su rifiuti tossici, e che l’antimafia nella recente inchiesta definisce di “forma mentis criminale”.
Il Centro Olio intanto continua la sua vita inesistente sugli inquinanti rilasciati, aria compresa, nonostante come riferito dal responsabile dell’E-PRTR per l’Italia le quantità possono essere stimate dividendo quelle del COVA per 230.
Un quantitativo di CO2 (Biossido di Carbonio), NOx (Insieme di ossidi di azoto e loro miscele) e SOx (Ossido di zolfo) che nessun ente s’è mai preoccupato di sommare alle emissioni di Tecnoparco ad appena qualche chilometro. Eppure nel solo 2010 Tecnoparco mandava in aria 121 tonnellate di NOx contro 46 del COVA.
Certo in un sommario confronto dei dati 2001/2010 rispetto a queste sostanze il COVA ha emesso 1.447.000t di CO2, 652 di NOx e 4.225 di SOx, Tecnoparco rispettivamente 1.193.382, 1.514,1, e 3.263. A queste cifre vanno aggiunte le 11.304,3t di CO2, 22.613 di SOx e 5,487 di NOx del Centro Olio di Pisticci.
È stata mai fatta una valutazione di impatto sanitario come per i comuni intorno al Centro Olio di Viggiano? Non interessa.
Come non interessa che a Pisticci c’è ilpozzo a olio Pisticci 009 di cui abbiamo raccontato. Il piano di caratterizzazione, come altri piani di caratterizzazione e bonifiche (divisi con il Gruppo Castellano di cui abbiamo scritto, ndr) è in mano alla Ecosud srl del Gruppo Iula, stesso Gruppo che ha la Ecobas e con cui un noto amministratore di Tecnoparco ha aperto senza successo una società per occuparsi di rifiuti speciali. È il business.
Gli stessi soggetti che prendono da Eni appalti su trasporto, smaltimento, caratterizzazioni, bonifiche, oggi presenti nell’organigramma delle società elaborato dall’antimafia nell’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti petroliferi del 2016.
Nella caratterizzazione del 2009 scrivono che Pisticci 009 aveva cessato l’attività nel ’68 e piuttosto d’esser chiuso era stato “utilizzato in passato come reiniettore delle acque di produzione”. Perché è scritto “in passato” se l’Ufficio minerario nazionale (Unmig) nel 2015 scriveva allo “stato” del pozzo “reiniezione fluidi”? Quante e quali acque sono state reiniettate? Cosa ha provocato ciò?
Sono varie le fuoriuscite di liquidi oleosi, rossi, argentati tra Pisticci, Ferrandina, Salandra e San Mauro, dove impattano tali titoli minerari, che hanno mostrato superamenti di concentrazione soglia di contaminazione per diverse sostanze che si intrecciano all’industria petrolifera.
Ma in questi comuni nessuno chiede lumi anche se già vent’anni fa il sostituto procuratore Franca Macchia riferì che Agip era stata impropriamente autorizzata dalla Regione Basilicata a reiniettare, in pozzi esauriti, acque di strato con un sistema di smaltimento che non aveva mai subito un controllo (era il Gruppo Iula a gestirli a Pisticci, ndr), e conpozzi al cui interno furono trovati materiali assolutamente diversi dalle acque di strato.
Pochi mesi fa dal lato opposto alla discarica Ecobas sarebbe sbucato un tubo che attraversa un versante torrentizio che finisce nel Cavone (e più a monte intercetta le acque di pioggia che giungono dal Centro Olio, ndr), e si dirige verso il pozzo Pisticci 002. Che funzione ha avuto o ha tale tubo? Almeno qualche domanda è lecita?
L’Unmig alla pagina relativa all’elenco dei pozzi con profilo presente in archivio riporta i pozzi di Pisticci, compreso Pisticci 009, ma nessun profilo disponibile, e dunque non possiamo farci alcuna idea degli strati d’acqua incontrati e d’una loro eventuale estensione e interazione come per San Mauro, Salandra, Ferrandina dove i profili parlano di diversi strati di acqua a varie profondità. Unmig spiega che essendo il titolo vigente la documentazione è riservata. Così è.
Alcune domande legittime
E c’è un’altra questione. La reiniezione riguarda anche altro perché a Pisticci a metà anni Ottanta per sperimentare l’incremento di produzione hanno reiniettato, nel pozzo Pisticci 13, CO2 bollente.
Ma se per Agip Pisticci rappresentava un esperimento a basso costo per testare un metodo da applicare in alto Adriatico, uno studio del 2014 sui fattori di controllo nella stimolazione tramite CO2 in “pozzi orizzontali di petrolio pesante” spiega che la stimolazione in pozzi orizzontali è usata dagli anni Settanta nel mondo e che i risultati di questa tecnologia rispetto a esperienze varie “sono i peggiori a Pisticci” a causa dell’elevato rapporto gas-olio.
Tra i meccanismi che tale tecnologia otterrebbe c’è la riduzione della viscosità del petrolio (a Pisticci è viscoso in quanto ricco di asfalteni), l’espansione del volume di petrolio, il favorire una soluzione-guida del gas, il decremento della tensione interfacciale (quando sono in contatto liquidi diversi, ndr), l’acidificazione (cosa fatta per il pozzo di Pisticci usato per tale scopo, ndr), il miglioramento del rapporto di mobilità e densità, e l’aumento della portata del recupero di petrolio tramite la relazione tra volume della riserva e fluidi iniettati.
Pisticci 13 è dunque un pozzo orizzontale? La CO2 iniettata ha provocato il rigonfiamento dell’argilla del livello coltivato e la produzione di sabbia? E cosa ha comportato tutto questo?
Sullo stoccaggio gas nei campi Grottole-Ferrandina e Pisticci, nel 2002, c’è uno studio della Geogastosk spa, società della multinazionale russa Avelar Energy, intercettata nel 2007 dalla Questura di Reggio Calabria che ascoltava l’advisor Massimo De Caro mentre parlava con Aldo Micciché e Antonio Piromalli, dell’omonima ‘ndrina, dei forti interessi su petrolio e gas (per la Questura grazie a politici compiacenti erano riusciti a intrecciarsi inestricabilmente a segmenti delle istituzioni per assicurarseli, ndr).
L’allegato dello studio, relativo alle simulazioni per Pisticci, descrive un forte “water drive” del livello da sfruttare. Si parla di water drive se si è in presenza di riserve confinate e in comunicazione con acquiferi. Quando la pressione diminuisce l’acqua compressa nell’acquifero s’espande e straripa nella riserva, e l’invasione aiuta a guidare petrolio e gas nei pozzi produttivi.
Il grado in cui l’acquifero migliora il recupero della riserva dipende da grandezza e prossimità dell’acquifero alla riserva, grado di comunicazione tra acquifero e riserva, e ammontare di acqua che invade la riserva. La reiniezione di acque di strato a Pisticci 009 e quella di CO2 a Pisticci 13 ha provocato fenomeni di water drive?
Stando a Geogastock il livello da utilizzare a Pisticci era già statocoltivato da 9 pozzi, tutti chiusi dal 1991 per “autocolmatamento di acqua di strato e sabbia”, un rischio stando a vari studi, che avviene quando a fine svaso la portata si riduce e si creano le condizioni di possibile presenza di liquidi.
Cosa è accaduto nei 9 pozzi di Pisticci? Il fatto che aGrottole-Ferrandina a 656 metri sotto il livello del mare c’è una tavola d’acqua indipendente, e a Pisticci la si trova a 771 metri, non frega a nessuno.
Per Ferrandina Geogastock scrive solo che vi è un basso rischio di water coning, mentre è elevato a Pisticci. Non si spiega che il fenomeno è collegato a seri problemi in quanto l’acqua invade i pozzi, né che “è usualmente corrosiva” e il suo smaltimento ha costi elevati, come riporta una conferenza del 2014 sul tema.
Il fatto che in passato la reiniezione abbia comportato tali fenomeni e il modo con cui sono state smaltite le acque corrosive, alla multinazionale e ad altri soggetti frega ancora meno.