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Un capitalismo migliore è possibile? Il tema non interessa la politica

15 novembre 2019 | 14:13
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Un capitalismo migliore è possibile? Il tema non interessa la politica

De Sarlo: Il liberismo è nemico dell’umanità e dell’ambiente e va politicamente e culturalmente isolato

Conosco Corrado Passera dal 1987 per cui non sono affatto sorpreso dalla sua ultima uscita pubblica sul Better Capitalism. Per fortuna non è il solo a porre la questione dei limiti della visione capitalistica liberale. Basti pensare a Fitoussì, Mazzuccato, Messina e altri in campo economico e manageriale, per non parlare di premi Nobel in economia come Arrow, Diamond, Sharpe, Maskin, Solow, Krugman, oltre a Stiglitz, che trattano, pur da angolature diverse, gli stessi temi.

Quello che francamente mi stupisce è che mentre il dibattito ferve nelle stanze migliori e culturalmente più evolute del potere economico – finanziario, nonostante il fatto che l’ONU sia intervenuta con direttive precise sugli investimenti socialmente responsabili (SRI), il tema non pare interessare né la politica né i vari anchor man e giornalisti strapagati che agitano i salotti televisivi con quotidiane minchiate e pettegole discussioni.

O tempora! O mores!   È facile quindi prevedere che il secchio di acqua di fonte, fresca e pura, gettato da Corrado nell’attuale deserto di uomini e di idee venga presto assorbito e dimenticato. Per questo motivo, e dopo che Michele Finizio ha gettato anche lui il suo secchio d’acqua, prendo anche il mio piccolo bicchiere per dare il mio contributo alla discussione, sperando che altri si aggiungano al dibattito per creare secchio dopo secchio, bicchiere dopo bicchiere e goccia dopo goccia almeno una fresca oasi.

L’Europa liberale e le sue panzer division

In questi giorni si è celebrato il trentennale della caduta del Muro.

Ho sufficienti capelli bianchi per ricordare quel momento. Oltre alle voci di giubilo nel ceto politico, forse l’ultimo ad aver fatto qualche buona lettura, emergevano forti perplessità sulla riunificazione della Germania. Thatcher, Mitterand, Andreotti erano preoccupati dal fatto che la Germania unita potesse nuovamente riprendere la sua politica di potenza. D’altronde il mito della Nazione Germanica permaneva dai tempi di Teutoburgo e permane nello stesso inno nazionale tedesco che inizia, a proposito di sovranismi, con le parole ‘Germania, Germania prima di tutto nel Mondo”. Senza considerare che il più lungo periodo di pace in Europa, la Pax Romana, ci fu quando il mondo romano occidentale e quello tribale dei popoli nordici, tedeschi e slavi, rimasero separati dal confine del Reno.

Kohl, uno degli ultimi veri leader europei, convinse il resto dell’Europa che non ci sarebbe stata la sua germanizzazione bensì la occidentalizzazione della Germania. Non solo, ma li convinse anche che, per far accadere ciò, occorreva cancellare definitivamente i debiti di guerra, allargare l’Europa ad Est, in modo da far aumentare la centralità della economia tedesca, derogare dai limiti di indebitamento pubblico per varare un colossale piano di investimenti per annullare il gap infrastrutturale tra Est e Ovest e cambiare con rapporto uno a uno il marco della Germania Ovest con quello della Germania Est. Non so se agli altri leader europei questo sembrò un prezzo equo per avere finalmente una Germania occidentale e non tribale, se credettero alle rassicurazioni di Kohl oppure se fecero di necessità virtù, vista la favorevole onda nelle pubbliche opinioni sulla riunificazione tedesca, ma questa produsse anche due soluzioni di continuità nella cultura con profondi cambiamenti degli anni a venire.

La prima fu che, per qualche strano motivo nella psicologia di massa, non solo il Muro non fu visto come una conseguenza della volontà di dominio della Germania sull’Europa, che nel corso della ultima guerra mondiale causò venti milioni di morti nella sola Unione Sovietica per non parlare dell’olocausto, ma addirittura il suo abbattimento venne considerato quasi come la fine di una ingiusta punizione imposta dai vincitori ai vinti. Collegata a questo primo effetto ci fu il secondo, ossia l’annichilimento delle ragioni del socialismo democratico che scomparvero dalla cultura generale arrendendosi senza colpo ferire alle ragioni della liberal democrazia e impedendo quel confronto dialettico tra visioni diverse della società che favorisce lo sviluppo economico e sociale di qualsiasi comunità. Insomma fu quasi come se la costruzione del Muro fosse un effetto del socialismo reale e non una conseguenza del nazifascismo che aveva spaventato il mondo democratico e che, certo anche su pressioni di Stalin e delle sue altrettanto funeste ansie di dominio sull’Europa, accettarono con sollievo il depotenziamento della Germania dividendola in due.

Thatcher, Mitterand e Andreotti, purtroppo, avevano ragione e questa miscela esplosiva ha prodotto un liberismo punitivo e insensato, usato spregiudicatamente dalle leadership tedesche e tedescofone, con guasti enormi sulla tenuta stessa dell’Unione Europea. La crisi del 2008 dei sub prime e poi quella artificiale dei debiti sovrani fu affrontata con una stretta sulle finanze pubbliche senza precedenti in periodi di crisi e contro il parere di ben sette Nobel, quelli citati in precedenza. All’epoca il debito della Grecia, 109% sul PIL, e dell’Italia, 106% sul PIL, venne considerato dai tedeschi insostenibile e frutto di finanza e politica allegra e non dei nuovi limiti strutturali che la svolta Europea e dell’unificazione aveva imposto e dimenticando che proprio la Germania aveva importato, per il  tramite le sue banche, la crisi dei sub prime in Europa e che proprio la nuova concorrenza interna all’Europa e dei suoi paradisi fiscali generò le difficoltà dei paesi del Mediterraneo.

Le conseguenze di queste politiche imposte da Shauble e Dijsselbloem sono visibili dalle macerie prodotte in Grecia dove il debito sul PIL supera il 181% nel 2018. Molti osservatori dicono che ora l’economia Greca va meglio. Se si valuta però il surplus sul PIL prodotto che è stato nel 2016 dello 0,5% e nel 2018 dell’1% non occorre essere Caccioppoli per capire che ai ritmi attuali la Grecia tornerà ai livelli pre – crisi in un intervallo di tempo indefinito che va dagli ottanta ai centosessanta anni e salvo ulteriori crisi mondiali che ciclicamente si ripetono. Per non parlare delle macerie sociali. In Italia il debito PIL supera ormai il 134% e continua a peggiorare con un deficit del 2,2% nel 2018. I guasti si sono prodotti anche in paesi sani. La Francia ha oggi un debito su PIL del 99% quando prima della crisi era del 69% e anche in Francia il debito è destinato ad aumentare avendo un deficit nel 2018 del 2,5%. Idem la Spagna che era partita da un debito / PIL del 40% e che oggi è al 98% e in aumento con un deficit del 2,5 nel 2018.

La dimensione dei debiti sovrani è oggettivamente peggiorata ma tutti fanno finta che le politiche di austerity promosse dall’Europa liberale ci abbiano salvato e miracolosamente la crisi del debito sovrano è scomparsa.

In realtà la cura ha prodotto un peggioramento delle situazioni che si volevano sanare, tranne in Germania e Olanda che consolidano invece le loro posizioni e incrementano la divergenza con gli altri paesi europei. Per esempio il differenziale del PIL pro capite tra noi e la Germania è aumentato di più del 30 % nel corso degli ultimi 10 anni. D’altro canto non poteva andare diversamente poiché la Germania beneficia del più grande concentrato di infrastrutture fisiche, amministrative, logistiche e politiche che l’Europa abbia mai avuto dai tempi di Roma capitale dell’Impero (quello Romano si intende) e tutto, merci denaro e opportunità, passa da lì.

Il centro starà sempre meglio delle periferie e l’intera Europa del Mediterraneo è stata marginalizzata. Insomma i tedeschi hanno utilizzato l’economia come le “panzer division” imponendo regole punitive che palesemente gli altri paesi non possono rispettare. Basti pensare alla follia di stabilire l’aumento dell’IVA come “clausola di salvaguardia”. Se dovesse essere applicato ci sarebbe proprio un peggioramento di quello che dovrebbe salvaguardare, ossia della finanza pubblica. Insomma la visione tribale della punizione senza alcuna possibilità di redenzione sta trascinando le economie più deboli in una spirale in caduta libera senza fondo.

Se non si ha il coraggio di dire che ancora una volta nella Storia il problema dell’Europa è la Germania non si potrà mai arrivare a quelle necessarie riforme, a partire dalla necessità di rendere la BCE ultimo garante dei debiti sovrani, che la possono salvare dalle spinte di dissoluzione. Molto meglio pensare a due Europe, amiche ma separate: quella del Mediterraneo o occidentale e quella del Nord tedesco o tribale.

È quindi utile porsi il tema della responsabilità sociale di impresa senza considerare che l’impianto normativo europeo, sempre nel nome della dottrina liberista, configura dei veri e propri paradisi fiscali al proprio interno di cui beneficiano proprio i protetti, Lussemburgo e Olanda, della Germania?

Ha senso che ci si ponga il tema quando Marchionne è stato esaltato da gran parte della stampa e della politica per aver fatto egregiamente gli interessi della propria azienda mostrando però sempre un costante disinteresse per il Paese che tanto aveva dato alla FIAT? “Parce sepulto” ma quando le più grandi aziende del Paese trasferiscono la sede in Olanda è evidente che nascano sentimenti di rifiuto verso la politica e l’Europa e che prosperino quelli che con spregio vengono chiamati sovranisti e populisti. Se Marchionne viene indicato come modello significa dare il messaggio del si salvi chi può e che ognuno pensi a sé.

La distopia meritocratica e la governance del sistema

Quando ero presidente della Fondazione Intesa Sanpaolo Onlus sviluppai e promossi borse di studio per studenti universitari in condizioni di disagio economico e sociale e borse per dottorati di ricerca in discipline umanistiche.

Le prime furono istituite nella convinzione che il diritto all’accesso alla conoscenza, previsto in costituzione, e alla acquisizione del merito non fosse uguale per tutti e che occorresse non tanto premiare il merito ma rendere possibile a tutti di conseguirlo. Chi può accedere al merito? È evidente che un professore di italiano ha maggiori possibilità di avere un figlio glottologo del padre di uno zingaro, così come a qualsiasi concorso pubblico il figlio di un primario di cardiologia abbia, anche senza raccomandazioni, maggiori probabilità di vincere un concorso da cardiologo per meriti effettivi. E allora eccola qui la distopia liberale che ha tra i miti la meritocrazia e la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Gli effetti di questa impostazione sono sempre più evidenti in tutto il mondo. Si va verso una società feudale dove c’è chi ha tutto, e tramanda tutto alla propria discendenza, e chi ha niente e che vive della paura di perdere il poco che ha ed è preda di Trump e Salvini.

Le seconde furono istituite perché la globalizzazione, la informatizzazione e la robotica generano dei cambiamenti radicali nella struttura di produzione della ricchezza. Al contrario di quello che avvenne tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, periodo di trasformazioni altrettanto rapide e traumatiche, nessuna produzione di pensiero filosofico e sociale accompagna la odierna trasformazione. Ecco quindi che la necessità impellente di un nuovo umanesimo, capace di accompagnare la società in queste trasformazioni, richiede un forte investimento nelle discipline umanistiche.

Figlio della visione liberale di annichilimento dello Stato Sociale c’è la riforma Fornero, osannata da tanti sedicenti intellettuali con la menzogna che questa riforma fosse fatta a favore dei giovani e non su diktat dell’Europa dei rabbiosi Shauble e Dijsselbloem.

C’è qualcuno che mi sa spiegare come fosse a favore dei giovani una riforma che, a parità di necessità di ore lavorate, concentri sulle stesse persone e generazioni il lavoro? In altri termini le trasformazioni del sistema produttivo attuale possono essere affrontate con intere generazioni che lavorano ininterrottamente dai venti ai sessantasette anni per quaranta e più ore a settimana e generazioni che a venti, trenta, quaranta anni non riescono ad avere uno straccio di occupazione stabile e continuativa?

Questa folle distribuzione del lavoro e della conseguente folle distribuzione delle opportunità rende disponibile alla sedicente imprenditoria, insieme alla immigrazione illegale e senza diritti, una massa di lavoratori a basso costo e facilmente liquidabile. È evidente che siano proprio i ceti già marginalizzati a temere la ulteriore pressione della immigrazione sulle dinamiche salariali e dei diritti e tutta questa manfrina liberale sta gradualmente consegnando l’umanità ad una brutale regressione.

‘Absit iniura verbis’ ma è chiaro che alla commerciale Luigi Bocconi, dove Monti è il pontefice massimo, e dalle parti della dottoressa Elsa Fornero, che si è vantata per i suoi studi di ragioneria alle superiori, c’è un deficit di cultura umanistica visto che riescono a vedere la complessità della attuale società solo attraverso il buco della serratura delle pensioni.

Assolutamente è nelle mani della politica mettere in campo le azioni correttive allo squilibrio e allo strapotere dei ‘ricchi’ nell’attuale sistema ma è anche la governance privata e pubblica e degli investitori istituzionali che deve intervenire.  È anche necessario dire con la massima chiarezza che non è il revanscismo pauperista la risposta giusta a tutto ciò e che è puerile affidarsi a questo ignorando gli elementi di governance che possono modificare e migliorare il quadro.

Ed è proprio sulla governance che l’ONU interviene. Secondo le sue lucide indicazioni per la promozione degli investimenti Socialmente Responsabili gli investitori istituzionali sono tenuti a dialogare con le imprese di cui sono azioniste, anche con quote secondarie, e attivare un sistema di controversie con le aziende che conducono comportamenti socialmente irresponsabili. In assenza di revisione di questi comportamenti si istaura una controversia che arriva sino ad esprimere voto negativo sul bilancio e ad uscire dal capitale azionario come estrema ratio. Estrema ratio perché il capitale, nelle mani di investitori istituzionali e non di banditi liberisti, è forte strumento di pressione e va utilizzato per modificare i comportamenti irresponsabili e uscire rappresenta una sconfitta.

Queste controversie servono anche a tutelare gli investitori secondo il principio che se una azienda attua comportamenti socialmente irresponsabili prima o poi le conseguenti azioni risarcitorie e i danni reputazionali conseguenti minano la solidità patrimoniale della stessa azienda. Lo si è visto con la Volkswagen e con la BP in Messico.

Tutto questo viene ignorato dalla politica

Facciamo un esempio che tocca da vicino tutti i lucani. La magistratura ha da diverso tempo messo sotto accusa l’ENI, società dove c’è una quota consistente di capitale pubblico e addirittura il Governo nomina i vertici della azienda.

Secondo le procedure dell’ONU non solo il governo ma tutti gli azionisti avrebbero dovuto chiedere conto ai vertici della società del loro operato in Lucania e, in assenza di modifica dei comportamenti del management, minacciare e attuare l’uscita dal capitale. Molto più utilmente il governo avrebbe dovuto già da tempo rimuovere dai vertici dell’azienda almeno il suo amministratore delegato che, oltre a vantare un curriculum di inchieste giudiziarie di tutto rispetto, è anche il capo della gestione del COVA di Viggiano che è finita sotto il mirino dell’antimafia.

È invece molto più indolore e comodo, oltre che inutile, inneggiare alle banalità di Greta Tumberg fino a legittimare lo sciopero degli studenti. Ridicolo istituzionalizzare la protesta che solo per questo diviene istituzione e non più protesta.

Contro chi? Insomma se l’ambiente sta così a cuore ai governanti che si inizi a definire per legge a chi competono i costi per il decommissioning, attualmente in capo al pubblico e alle future generazioni, degli impianti petroliferi e si rimuovano i manager pubblici che hanno attuato comportamenti socialmente irresponsabili, ossia si intervenga sulla governance del sistema. Altrimenti stiamo parlando di aria fritta.

Mi piacerebbe sapere come argomentino i liberisti sul decommissioning quando tutti i profitti delle estrazioni vanno ai privati mentre allo Stato rimane l’onere della ripulitura, finito lo sfruttamento, dei luoghi. Ancora peggio: vengono abbandonati alle ortiche e senza bonifica i pozzi accidentati e abbandonati. Eccolo che allora lo Stato, il nemico dei liberisti, serve!

Il market value

Tra le frasi celebri di Milton Friedman c’è: ‘I governi non imparano mai’ e poi “non c’è furia all’inferno che eguagli la rabbia di un burocrate disprezzato’ e ancora “le soluzioni governative a un problema sono solitamente cattiva quanto il problema”.

Potrei continuare in un florilegio di affermazioni che neanche il più becero dei populisti e qualunquisti potrà mai pronunciare. Eppure tutto il pensiero di questo signore ha avuto proprio sui governi e sulla politica una forte e nefasta influenza. Il più grande equivoco della storia sulla qualità di una persona e delle sue bizzarre teorie.

L’economia è una scienza sociale e come tale fallibile. Una volta veniva quasi con disprezzo definita una delle scienze ‘molli’.

Questo però non può e non deve significare che l’economia possa essere completamente esonerata dal rigore del metodo scientifico.

Questo non può e non deve voler dire che il pensiero della scuola di Chicago debba ritenersi un neo catechismo dogmatico e indiscutibile.

Questo non può e non deve poter dire che il liberismo e i neoliberisti (Alesina, Giavazzi, Monti, Cottarelli, e tanti loro seguaci) non debbano chiedere scusa all’intera collettività per le evidenti macerie che in Italia e in Europa il loro pensiero, purtroppo ascoltatissimo, specialmente nei politici e nel ceto intellettuale di sinistra, sigh! ha prodotto.

L’idea del mercato che tutto regola, che la ricchezza dalle mani di pochi percola in tutta la società e, per dirla sempre con Friedman, “gli affari hanno una e sola responsabilità sociale, quella di utilizzare le proprie risorse e svolgere attività destinate ad aumentare i profitti” alla prova dei fatti tutto ciò si è rivelato essere una sciocchezza mostruosa.

Il liberismo è nemico dell’umanità e dell’ambiente e va politicamente e culturalmente isolato.

Una delle conseguenze meno note del pensiero liberale si è avuto tra il 1980 e il 1990 nei principi contabili utilizzati dalle aziende.

C’è stato il passaggio tra i principi contabili dei dottori commercialisti italiani, Italian Gaap, e gli IAS (International Accounting Standard). Per fare un esempio gli immobili con gli Italian Gaap venivano valutati al valore storico di acquisto o di costruzione mentre negli IAS questi vengono valutati al valore di mercato.

Di la della giustezza o meno dei due sistemi, non è questo il punto, il passaggio ha comportato una modifica nei comportamenti del management. Da una visione di patrimonializzazione delle aziende e di sostenibilità di lungo periodo del business si è passati ad una visione di breve dove tutto l’utile va spremuto e reso agli azionisti. Per questo motivo le Banche e le assicurazioni che avevano nel tempo costruito un patrimonio immobiliare enorme, che serviva a stabilizzare i risultati in momenti bui, hanno venduto e, in alcuni casi, svenduto, il loro patrimonio.

Questa visione a breve periodo dal business si è trasferito alla politica e alla società.

Ma cari amici tutto ciò ci ha cacciati in una trappola senza via di uscita e tutta questa tiritera annuale sulla legge del bilancio ruba alla politica e alla società la visione di medio e lungo periodo che è l’unica che ci può portare alla certezza di lasciare qualcosa ai nostri figli.

Se non si recupera questa visione è inutile parlare di piano per il sud ed è inutile occuparsi ancora di politica visto che, spero di non essere il solo, non credo che il Paese possa salvarsi con decreto legge o con il ‘passare la nottata’ che è stata la costante di tutti gli ultimi governi e che lo sarà anche dei prossimi.

Ci sarebbe ancora molto da dire ma credo che siano già in pochi a essere arrivati a leggere fin qui, abituati come siamo alla sintesi dei social a cui posso solo consegnare alla rete un breve e flebile cinguettio: il Re Liberal-liberista è nudo e solo il regicidio potrà salvarci.

Chi è Pietro De Sarlo