2019: Europa al bivio tra dissoluzione e rilancio?
In questo breve saggio Pietro De Sarlo ci offre un’interessante riflessione sull’attualità e il futuro dell’Europa legati al destino del Mezzogiorno d’Italia
Premessa
Nel 2019 ci sarà il rinnovo del Parlamento Europeo. In questo saggio breve spero di stimolare qualche discussione basata su fatti e numeri e non su giudizi e pregiudizi. Un saggio non esaustivo e che apre più interrogativi di quanti ne risolva.
L’Unione Europea non rappresenta un valore assoluto, ossia a prescindere dalle regole e dai comportamenti, e di conseguenza trovo che la discussione più che sulla appartenenza o meno all’Unione debba essere impostata sul suo funzionamento e sulle sue regole. Una discussione quindi non in chiave romantica ma sul terreno della pratica.
D’altro canto l’Unione Europea non nasce, come l’Italia, da una retorica risorgimentale di liberazione di un popolo oppresso dallo straniero (ricordate: “O compagni sul letto di morte, O fratelli sul libero suol”), ma i suoi funzionamenti sono dettati da trattati tra stati e popoli liberi che hanno negoziato in questi trattati le reciproche convenienze nell’appartenere all’Unione. Le stesse istituzioni non sono rette da una Costituzione comune né c’è mai stata una fase costituente sorretta da una validazione democratica a suffragio universale.
Gli europeisti spesso trattano con spregio i populisti e i sovranisti. Forse ha ragione Massimo Cacciari nel dire che il popolo non esiste ma esistono di sicuro gli interessi di comunità che vivono all’interno di un confine nazionale.
L’Europa difende in egual misura gli interessi dei singoli paesi appartenenti all’unione? Gli europeisti italiani, che hanno ininterrottamente guidato culturalmente e politicamente l’Italia dal dopoguerra ad oggi, hanno sempre e costantemente salvaguardato nella costruzione europea e nei trattati gli interessi italiani? De Gaulle avrebbe definito il progetto dell’Euro “un ambizioso programma”, avrebbe fatto un sorrisetto e fatto spallucce. La gestione di una moneta senza stato richiede attenzione, sensibilità e visione politica. C’è stato tutto questo in Europa?
Se le risposte alle precedenti domande sono tutte affermative non si capisce come mai gli italiani abbiano scelto di votare per i cosiddetti populisti e sovranisti.
Come scritto da Joschka Fischer nel suo lucido libro ‘Se l’Europa fallisce?’ il progetto europeo somiglia a un barcone in mezzo al guado di un fiume che non sa più tornare indietro e neppure andare avanti e guadagnare la sponda opposta, rischiando quindi di essere travolto dalla prima piena impetuosa. In queste condizioni sono convinto che o la Politica riprende in mano il governo dell’Europa o l’euro, e la stessa Europa, sono destinati ad implodere trascinando con sé frantumandole in tante piccole patrie l’Italia e altri stati europei in una sorta di domino incontrollato.
La Politica, per definizione, riguarda tutto ciò che appartiene alla dimensione della vita comune quindi allo Stato e ai Cittadini. Questa definizione non muta forma, né indica diversa sostanza, se l’ambito di applicazione diventa l’Europa e tutti i cittadini all’interno dell’Unione Europea.
Dopo l’introduzione dell’Euro dal 2008 la comunità europea ha iniziato a imboccare la via della demolizione di quanto faticosamente costruito sino ad allora poiché, invece di dare una risposta comune e unitaria alla crisi dei sub-prime, la Commissione Europea decise che i singoli stati dessero una risposta nazionale. Praticamente lo stesso atteggiamento che l’Europa ha avuto e continua ad avere sulla immigrazione.
Insomma ogni Stato doveva far fronte alla crisi camminando con le proprie gambe.
Ma che senso ha una Unione tra Stati se poi di fronte alla crisi ognuno fa per sé? Che senso ha uno Stato se all’interno di questo ogni città e ogni regione provvede a sé stessa? Che senso ha una famiglia se al proprio interno ognuno pensa ai fatti propri? E che compiti hanno i genitori se non quello di provvede al benessere della intera famiglia e di fare in modo che i figli abbiano le stesse opportunità? Cosa direste di un padre indifferente al fatto che un figlio vive sotto i ponti mentre l’altro ha tre ville?
Se ognuno deve camminare sulle proprie gambe le gambe che vanno più lontano sono quelle più forti e queste lasciano sempre a maggior distanza chi ha gambe più deboli.
C’è solo un luogo dove ognuno è costretto a camminare solo con le proprie gambe: la giungla. Se la regola è la giungla è bene essere leoni e non agnelli.
Se l’Europa non è la giungla l’azione della Commissione Europea, e dei leader europei, deve essere valutata sotto due profili: la capacità di creare benessere per tutti i popoli Europei e la capacità di ridistribuire le opportunità di crescita e di conseguenza la ricchezza al proprio interno.
Come si vede c’è una forte correlazione inversa tra le sue variabili.
Solo due paesi, Germania e Olanda, sono riusciti a mantenere un rapporto Debito / PIL intorno al 60% e a crescere significativamente in termini di PIL.
In tutti gli altri c’è stata bassa crescita e un aumento del rapporto Debito / PIL. In Grecia, dove le regole sui vincoli di bilancio e l’intera economia è stata direttamente gestita dalla Troika, voluta dall’olandese Jeroen Dijsselbloem e dal tedesco Wolfang Shauble, i risultati sono stati addirittura disastrosi.
Se la Troika è stata inviata in Grecia in buona fede per rilanciare e per risanare l’economia allora occorre dire chiaramente che ha fallito e che ha dimostrato che tutta la politica economica europea basata sulle teorie liberali e della economia classica si sono dimostrate sbagliate. Se invece l’intento di Dijsselbloem e Shauble, in rappresentanza del volere dei loro governi, che hanno fortemente voluto e dettato il piano di governo della Troika era punitivo allora occorre ammettere la fine dell’Europa. Nessuna unione tra stati e popoli può reggere se alcuni popoli umiliano e vessano altri popoli al proprio interno. Tertium non datur!
Per fatti concludenti quindi pare che i premi Nobel abbiano avuto ragione. Chi aveva economie forti, Germania e Olanda, ha potuto espandere il debito, in Germania è salito fin quasi all’80%, e poi rientrare, per altri, Francia e Spagna, il debito sul PIL è arrivato fin quasi al 100% ma non sono riusciti a rientrare raggiungendo i livelli di debito di Italia e Grecia prima della crisi, e per altri, Italia e Grecia, la crisi si è aggravata. Insomma nel 2011 il rapporto Debito / PIL dell’Italia era di poco superiore al 100%, lo spread era alle stelle e si parlava di default e occorreva la politica lacrime e sangue di Monti per evitarlo. Oggi dopo sei anni di Fiscal Compact non solo il rapporto Debito / PIL dell’Italia è al 131% ma Spagna e Francia stanno per superare il rapporto del 100% Debito/PIL e, come vedremo, le povertà sono aumentati a dismisura in tutta l’Europa mediterranea.
Cari liberal liberisti, cari Dijsselbloem e Shauble, cari Cottarelli e Monti e cari Giavazzi e Fornero c’è qualcosa che non funziona, o sbaglio? Spiegateci perché le vostre politiche lacrime e sangue hanno avuto effetto contrario a quanto avevate dichiarato. Spiegateci perché il debito pubblico dell’Italia e della Grecia è diventato più insostenibile applicando le vostre ricette e perché la Spagna e la Francia stanno percorrendo la stessa nostra china. Spiegateci perché dovremmo ancora darvi retta! E spiegatelo in modo convincente e, per una volta nella vita, con un minimo di evidenza almeno empirica se non scientifica della validità delle vostre teorie.
La produzione di benessere in Europa, dall’anno della crisi ad oggi, è stata molto diversificata all’interno dell’area Euro e le divergenze tra le economie dei paesi dell’area e del benessere tra i cittadini Europei sono aumentate.
In figura 2 (già commentata in un precedente articolo https://scenarieconomici.it/abbasso-leuropa-viva-leuropa-di-pietro-di-sarlo/ ) metto in correlazione l’andamento di due parametri: il rapporto Debito / PIL e la percentuale delle persone a rischio di povertà.
In base a questi parametri ho diviso il grafico in quattro quadranti. All’interno di questi quadranti ho collocato la posizione rispetto all’incrocio dei due parametri dei sei paesi dell’Eurozona esaminati nel 2008 e nel 2017, collegando le due posizioni con una freccia per indicare la direzione e il percorso fatto.
Il primo quadrante in alto a sinistra è caratterizzato da alto debito pubblico e bassi indici di povertà, per ovvi motivi l’ho chiamato Titanic. Il secondo, in senso orario, ha alto debito pubblico e alti tassi di povertà e l’ho chiamato Weimar. Trovarsi in questo quadrante è preludio di rivolta sociale e sbocchi autoritari. Il terzo è quello della Distopia Liberale, ossia dell’idea folle che si possa guardare solo ai parametri economici ignorando quelli sociali e che concentrando la ricchezza in mano a pochi questa possa percolare in tutti gli strati della società producendo benessere. È una area di forte instabilità sociale che prima o poi si traduce anche in instabilità economica e a seguire politica. L’ultimo l’ho chiamato confort zone, ad indicare che è l’unica area di praticabilità sociale ed economica.
L’aver dato una risposta nazionale alla sfida della crisi ha consentito solo a due paesi di superarla senza costi sociali: Olanda e Germania. Ancora una volta l’ortodossia del credo liberale europeo, ottusamente imposta da Jeroen Dijsselbloem e Wolfang Shauble a tutti, applicata in Grecia ha prodotto una devastazione economica e sociale senza precedenti. La Grecia si troverebbe in condizioni migliori se fosse uscita sconfitta da una guerra.
Persino un paese con una economia forte come la Francia si trova ora in condizioni terribili e a uscire a breve dalla confort zone. Si trova in un bivio in cui decidere se contrastare la rivolta e mantenere il rapporto debito / PIL o alzare tale rapporto violando i trattati europei. Se qualcuno pensa che l’Europa possa sopravvivere aumentando le divergenze economiche e sociali tra gli stati europei e i cittadini dei singoli stati, a mio parere, ha sbagliato i conti.
Forse l’arrendevolezza greca ha tolto lucidità ai vari Dijsselbloem e Shauble che si aggirano come falchi e sciacalli nelle cancellerie europee, forse troppi leader europei si cullano nella illusione che lasciare le redini della gestione dell’euro a burocrati senza responsabilità politiche possa continuare ma in Italia i partiti acritici e acquiescenti verso l’Europa, al limite dell’alto tradimento, e le sue devastanti politiche sono stati, giustamente, sconfitti dalle urne e in Francia le persone temono di dover sacrificare lo stato sociale sull’altare di una Europa a trazione tedesca e la rivolta è partita.
In figura 3 si vede quanto sia vistoso l’allontanamento del welfare e della spesa sociale tra i paesi dell’area euro. Nel grafico sono state individuate le posizioni dei principali paesi rispetto all’incidenza della spesa sociale sul PIL e rispetto alla spesa sociale media per abitante. Appare evidente come solo in due paesi, ancora una volta Germania e Olanda, la spesa sociale media sia aumentata mantenendo una incidenza contenuta rispetto al PIL. In Spagna, nonostante l’elevato aumento del debito pubblico, la spesa sociale è contenuta. In Italia e Grecia lo stato sociale è in crisi. La Francia ha un livello di protezione sociale che probabilmente non è più in grado di sostenere e che è stato sostenuto con l’incremento del debito pubblico e questo spiega la rivolta in atto. Ancora una volta appare evidente che solo lo sviluppo del PIL può garantire un accettabile livello di welfare.
Lo spread e il ruolo della BCE
Come ho già avuto modo di spiegare ( https://www.basilicata24.it/2018/12/paese-meriterebbe-elite-migliore-61252/ ) ci si dimentica sempre di dire quale sia la causa strutturale, e non contingente, dello spread con le altre economie. Sono le cause strutturali dello spread a rendere vulnerabile la nostra economia. Questa risiede nel differenziale, se si parla dello spread con il bund tedesco, tra i fondamentali della economia tedesca e quella italiana.
In figura 4 sono riportati i principali differenziali tra l’economia tedesca e quella italiana. Sempre in figura 4 sono riportati gli andamenti dello spread e i dati del PIL all’epoca del governo Monti. Subito dopo l’applicazione della legge Fornero lo spread salì alle stelle e il PIL decrebbe. Non c’è prova migliore di quanto le misure di contenimento della spesa pubblica abbiano un effetto depressivo sul PIL eppure i liberal liberisti insistono nella applicazione del rigore ad ogni costo, dimenticando che nessun governo e nessuna politica e, in ultima analisi, nessuno stato può sopravvivere senza la sostenibilità sociale dell’economia.
Non solo. Nel 2012, quando il parlamento italiano votò a favore del Fiscal Compact, il rapporto Debito / PIL era del 123%. Il trattato prevede un rientro in venti anni al 60% di tale rapporto. Quindi l’impegno preso con l’Europa era di avere un avanzo, pagati gli interessi sul debito, di più del 3% annuo. In quale miracolo speravano Monti e il parlamento per poter rispettare il trattato? Quale era il piano? Oggi l’attuale governo ha ereditato un rapporto del 131% e abbiamo 14 anni di vita residua del trattato. A conti fatti per rispettare il patto dovremmo avere, pagati gli interessi sul debito, un avanzo superiore al 5% anno.
Il Presidente Mattarella nel messaggio di fine anno ancora una volta ha ricordato che abbiamo liberamente firmato dei patti con l’Europa. Perché l’Italia ha firmato dei trattati con obiettivi palesemente non realizzabili? Aver firmato un trattato che non siamo in grado di rispettare ci mette in Europa costantemente sotto schiaffo, anche per l’interpretazione soggettiva di alcune norme. Sotto quali pressioni abbiamo firmato il Fiscal Compact? Con quale pubblica discussione? Chi lo ha deciso?
In aggiunta, come abbiamo visto, lo spread aumenta la difficoltà dei paesi con alto debito a tenere il passo con la Germania mettendo tutta l’Europa in un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Il Q.E. di Mario Draghi ha influenzato, e influenzerà, le dinamiche dello spread dei titoli pubblici verso il bund tedesco, che possiamo assumere come un indice di rischiosità/vulnerabilità della nostra economia vs le altre economie e in particolare quella tedesca che si ama prendere a riferimento. Se aumenta lo spread diminuisce il valore dei titoli in portafoglio, e viceversa. Tra le altre cose il modus operandi della BCE non è soggetto a nessun controllo democratico e pubblico e quindi dobbiamo credere sulla ‘fiducia’ che lo spread non venga manovrato per fare pressioni sul/sui governi.
Ma che senso ha avere una Banca Centrale se questa non è il garante ultimo del debito pubblico dei singoli stati? Questa garanzia non toglierebbe la titolarità del debito ai singoli governi ma eliminerebbe, facendo pagare a tutti lo stesso tasso di interesse, lo spread e quindi uno dei fattori di divergenza tra le economie. Inoltre eliminerebbe il ricatto esplicito che l’Unione Europea fa ai paesi non allineati alla politica tedescofona ( https://www.italiaoggi.it/news/dijsselbloem-minaccia-l-italia-2310768 ), forse è proprio qui che risiede il vero problema che impedisce di avere una vera banca centrale.
Certo questa garanzia farebbe pagare un pochino di più gli interessi sul modesto debito pubblico della Germania ai tedeschi ma senza un minimo di trasferimento di risorse non si capisce il fondamento teorico e pratico dell’Unione Europea.
La Grecia ha molte colpe sulla sua situazione economica, come l’Italia del resto. Ma le sue colpe erano superiori a quelle della Germania quando nel 1953 e nel 1990 le fu consentito di non pagare i debiti di guerra? Nella visione di una Europa unita era giusto annullare il debito tedesco, come in una visione di Europa Unita è sbagliato non risolvere con uno sforzo collegiale i problemi dei singoli Paesi. Ancora una volta la corda europea rischia di spezzarsi irreversibilmente e ancora una volta nella storia il problema dell’Europa è la Germania.
Come mai l’economia tedesca è così forte?
Se lo si chiede a 10 persone diverse per ceto, cultura e intelligenza si corre il rischio che la quasi totalità di queste dia una risposta antropologica al quesito.
In realtà nel Nord Europa tedesco e nel nord della Francia e nei Paesi Bassi c’è una delle più elevate concentrazione al mondo di infrastrutture logistiche e di istituzioni politiche.
Nel giugno 1990 Helmut Kohl si trovò a fronteggiare l’unione tra la Germania Est e la Germania Ovest. Il divario economico e sociale dei due stati era di gran lunga superiore a quello tra il Nord e il Sud Italia. L’unificazione era peraltro osteggiata e vista con preoccupazione dagli altri leader europei dell’epoca (“Prenderanno più terra di Hitler” Francois Mitterrand; “Cantano Deutschland über alles, che orrore” Margaret Thatcher; “Amo così tanto la Germania che preferisco averne due”, Andreotti).
Kohl unificò la Germania con 5 mosse:
- Convinse l’Europa che la riunificazione tedesca avrebbe europeizzato la Germania e non ci sarebbe stata la germanizzazione dell’Europa
- Su questo presupposto ottenne la cancellazione dei debiti di guerra che, in base al trattato del 1953, l’Europa avrebbe potuto chiedere in caso di unificazione
- Stabilì il rapporto di cambio 1 a 1 tra le monete delle due Germanie
- Varò un colossale piano di infrastrutture per consentire pari opportunità ai cittadini tedeschi dell’Est e dell’Ovest finanziato tramite il ricorso al debito pubblico
- E, soprattutto, con l’aiuto di Prodi rese la centralità fisica della Germania in Europa centrale anche dal punto di vista politico facendo allargare l’Unione anche ai paesi dell’Est Europa (quelli di Visegraad)
Ovviamente aveva contro tutti gli economisti di stampo neo liberista e gli adoratori del mercato come unico dio per regolare lo sviluppo e la vita umana.
I fatti ci dicono che il progetto di Kohl sia stato un pieno successo per lo sviluppo della economia e della nazione tedesca. Purtroppo sul primo punto si sbagliava. Non c’è stata la europeizzazione della Germania ma la Germanizzazione dell’Europa.
La centralità della Germania nella vita politica ed economica dell’Europa è un fatto e questa è la principale fonte della ricchezza di Germania e Olanda e della parte del Nord della Francia che confina con quest’area.
Un fiume di dollari e merci passa nel distretto portuale di Rotterdam e Anversa che, insieme ad altri due porti tedeschi nelle vicinanze sono ai primi 4 posti in Europa per traffico merci. Se si conta anche il vicino porto inglese di Felixstowe in quest’area transita il 73% delle merci dei primi 10 porti europei. Il 75% se si esclude Malta, che gode del traino fiscale. Nei porti del Mediterraneo transitano briciole. Tutte le merci che arrivano in Europa dall’America e dal Far East passano di là.
Nel quadrilatero Francoforte, Brussels, Lussemburgo e Stasburgo risiedono il Parlamento Europeo, la BCE, la Corte di Giustizia Europea e il Consiglio d’Europa. Indubbiamente i paesi del mediterraneo hanno negoziato male, malissimo, e a proprio sfavore persino le sedi delle principali istituzioni d’Europa.
La centralità politica e logistica significano sviluppo e ricchezza. Provo a chiarire l’affermazione con un esempio. Su una linea metropolitana che collega due periferie di una metropoli in quali fermate c’è il maggior flusso di passeggeri? Dove aprireste un bar o un’edicola o qualsiasi commercio?
La posizione geografica e logistica, come ci spiega Michael Porter nella sua mirabile opera “La stratega competitiva delle nazioni”, rappresenta uno dei fattori principali di sviluppo.
Tornando all’esempio della linea metropolitana aggiungere stazioni alla periferia conviene anche a chi sta al centro e togliere stazioni e, al limite, chiudere la metropolitana comporta disagio e perdita di passeggeri e conseguentemente di affari anche a chi sta in centro. Ma bisogna che le differenze e gli stili di vita tra il centro e la periferia siano contenute altrimenti il sistema non regge: periferie povere non portano flussi e traffici in centro.
L’Europa è un poco come una linea metropolitana? Verifichiamolo.
In figura 6 ho messo in relazione la differenza del PIL per abitante e la distanza in kilometri con Amburgo, una delle città più ricche al mondo e al centro dell’area di maggior benessere in Europa, dei principali paesi di Eurolandia.
Apparentemente la correlazione è modesta ma se escludiamo i paesi della direttrice est – ovest, fig. 7, e li esaminiamo a parte, fig. 8, la correlazione è elevatissima in entrambi i casi.
Questa diversa condizione geografica ed economica implica la necessità di diversificare le politiche economiche e di redistribuire la ricchezza all’interno dell’Europa altrimenti l’Unione non regge e ognuno cercherà i propri spazi nello ristabilire confini e autonomie per creare piccole centralità che ridiano fiato ad economie altrimenti morenti.
La questione Italiana e del Sud
Purtroppo anche all’interno dell’Italia le differenze economiche tra Nord e Sud sono vistose e se a Berlino la stampa non esita a dare la colpa agli italiani mangia-spaghetti, sfaticati e mafiosi per le condizioni della nostra economia all’interno del Bel Paese le valutazioni del Nord Italia sul Sud non paiono diverse.
Persino l’intellighenzia di sinistra che indossa la maglietta rossa e tuona contro il razzismo, vero o presunto, di Salvini quando parla dei problemi del Sud non sa dare altra spiegazione di quella antropologica.
Esempi lampanti: Sala, sindaco di Milano, che stizzito all’ipotesi di chiusura domenicale dei negozi dice: “Le facessero ad Avellino, qui a Milano non ci rompano le palle” e Massimo Giannini che per criticare il presidente del consiglio Giuseppe Conte non trova niente di meglio da dire che Conte “è un avvocato pugliese” sistemando in un colpo solo oltre a Conte gli avvocati e la Puglia. Nelle discussioni quotidiane la insofferenza antimeridionalista, se non razzista, emerge nelle persone più insospettabili. A me, avendo passato una vita tra Milano Roma e il mio Sud è capitato più di frequente di quanto si possa immaginare.
Il dato di fatto è quello espresso in figura 9. L’Italia dalla crisi del 2008 arretra vistosamente rispetto alla Germania, ma arretra il Nord, Est e Ovest, avviandosi verso un inesorabile declino e il Sud arretra ancora di più mentre le Isole sprofondano. Anche all’interno dell’Italia la politica europea, adottata acriticamente dai governi degli ultimi venti anni, ha aumentato le divergenze economiche e sociali. Basta dare una occhiata al grafico per capire che nel caso in cui l’Europa crollasse le tensioni interne all’Italia riemergerebbero in tutta la loro drammaticità. Il Nord penserà di aver fallito l’aggancio alla locomotiva tedesca per colpa del Sud, non rendendosi conto che, per la logica della linea metropolitana, senza il Sud rimarrebbe ancora di più periferia marginale di una Europa da cui continuerà ad allontanarsi sempre di più. D’altro conto non è possibile continuare a rimanere in Europa con un gap occupazionale di quasi 20 punti in media rispetto alla Germania. I costi dei servizi pubblici e del welfare necessario ad una vita dignitosa e a diminuire le differenze e il disagio sociale sono proporzionali alla popolazione e alla superficie di un paese, non al PIL prodotto e se c’è un gap del venti per cento di occupati necessariamente i servizi pubblici e il welfare sono destinati a diminuire di livello e di protezione sociale.
E allora? Ancora una volta se non si risolve il problema del Sud l’Italia intera non regge
Il problema del Sud, nato quasi 160 anni fa, è stato dimenticato nel mito del salvifico aggancio all’Euro che avrebbe risolto tutti i problemi. Da venti anni in questa visione i problemi del sud si sono aggravati e con esso le difficoltà dell’Italia.
Per entrare nell’euro il governo Prodi svendette patrimonio pubblico e bloccò la realizzazione di infrastrutture al Sud strategiche come la Lauria – Candela e quelle relative allo sviluppo della portualità del Mezzogiorno. L’effimero vantaggio della riduzione del debito non portò benefici duraturi poiché non modificò la struttura produttiva e commerciale del Paese. Negli ultimi venti anni le uniche infrastrutture fatte sono state al Nord, anche quando inutili, come la BreBeMi, o palesemente sovradimensionate come la linea AV Torino – Milano.
In figura 10 un illuminante grafico rubato da Il Fatto. In fila i disastri provocati da quelli che più di tutti urlano sulla incapacità di questo governo.
Sono gli stessi che hanno prodotto il differenziale attuale con la Germania (Fig. 4). Tra le alte cose per inseguire il rigore oggi abbiamo un pubblico impiego numericamente insufficiente, 8% contro il 13% della Germania, e con più della metà dei dipendenti che ha superato i 55 anni, contro il 20% della Germania. Un invecchiamento della PA che mette in crisi tutti i settori, dalla medicina di base alla istruzione e all’ordine pubblico.
Il problema del Sud non può essere risolto senza ristabilire un minimo di centralità politica nel Mediterraneo e senza fare le infrastrutture utili per fare del Sud il nodo logistico di ingresso dei commerci tra l’Europa e il Far East. Henry Pirenne (1862 – 1935) attribuì il declino dell’Europa e la nascita del Medioevo alla scomparsa dei commerci nel Mediterraneo (Fig. 11).
La Hutchinson Wamphoa, di proprietà del signor Li Ka Shing, uno degli uomini più ricchi del pianeta voleva investire sul Porto di Taranto circa 500 milioni per farne il terminale dei commerci con la Cina già nel 2009.
Taranto ha una posizione ideale tra Suez e Gibilterra. I cinesi fanno dei conti semplici: l’economia cinese e asiatica tirerà sempre di più, gli interscambi con l’Europa cresceranno e Taranto quindi ha la potenzialità per competere con i porti di Rotterdam e Anversa. Taranto, inoltre, ha un retroterra senza montagne e poco densamente popolato su cui espandere la logistica integrata al porto. Li Ka Shing, all’epoca, rappresentava l’ala più occidentalizzata della Cina. In aggiunta aveva ottime relazioni con Pechino, tanto da influenzarne le scelte.
L’Italia del sud sarebbe diventato l’asse su cui far cominciare a gravitare, dopo secoli, il Nord Italia e mezza Europa stabilendo una nuova centralità economica nel mediterraneo con vantaggi non solo per tutta l’Italia ma anche per la sopravvivenza dell’Europa.
Passano gli anni ma Li Ka Shing non riuscì ad avere una interlocuzione utile nella politica italiana. Disperato nel 2012 fece un ultimo tentativo e con Fabrizio Barca, allora ministro della Coesione Sociale, riuscì a firmare un accordo proprio per lo sviluppo di Taranto. Nel 2013 i cinesi vararono un colossale progetto chiamato One belt one road da un trilione e mezzo di dollari. Come si vede in figura le nuove vie di commercio cinese passano ovunque tranne che in Italia. Passa il governo Monti, passa quello Letta e passa buona parte del governo Renzi, ma poco o nulla accade finché nel giugno 2015 Li Ka Shing decise di lasciare Taranto e l’Italia al proprio destino ( http://www.affaritaliani.it/puglia/i–le-nuove-vie-della-seta–i-scordano-br-marco-polo-ignorano-taranto-492076.html).
Eppure la logica di Taranto è forte e stringente. Le nuove vie della seta passano invece dal Pireo che per essere collegato al resto d’Europa ha necessità di rimettere le merci su nave oppure deve aspettare la costruzione della nuova ferrovia che attraversa tutti i Balcani, un’area storicamente politicamente instabile. La sponda via nave del Pireo è, allo stato, Genova e Trieste. L’Italia del Sud con la sua portualità, Gioia Tauro è il primo porto merci italiano e il decimo in Europa, viene saltata e tutto il sistema portuale italiano degradato al ruolo di inutile comprimario.
La storia di Taranto e dei rapporti con la Cina può essere recuperata, occorrerebbe sottoporre ai cinesi un serio piano di infrastrutture che veda Taranto, Gioia Tauro e gli altri porti italiani al centro di una rete di trasporti in grado di connetterli ai corridoi europei. Ma la tafaziana e complessata classe intellettuale della sedicente sinistra, tedescofona e razzisticamente anti meridionale, quando il nuovo governo gialloverde va in esplorazione in Cina non trova niente di meglio che strillare al tradimento dell’Italia nei confronti della politica europea. La Repubblica titola: L’Italia gialloverde e il Cavallo di Troia cinese per entrare in Europa ( https://www.repubblica.it/economia/2018/10/21/news/italia_cina_cavallo_di_troia-209362805/).
Già, lo sviluppo dei porti italiani può entrare in competizione con il distretto portuale di Rotterdam – Anversa e quindi disturbare il manovratore tedesco. Ma anche questo è frutto di una visione miope perché lo sviluppo di un centro logistico al centro del Mediterraneo favorirebbe il riequilibrio verso l’alto di tutta l’economia europea, riducendo al minimo le aree marginali e periferiche verso cui redistribuire opportunità con decentramenti produttivi e amministrativi. Questo però presupporrebbe una visione politica lungimirante e vera fratellanza tra i popoli europei.
Conclusioni
Fintanto che l’Europa non è niente altro che la sommatoria di singoli egoismi nazionali e fintanto che la Politica non recupera visione il percorso inerziale dell’Europa è verso la sua autodistruzione.
Questo non a causa dei sovranisti e i populisti. Fortuna che in Italia ci sono e che abbiano vinto le elezioni e fortuna che con la recente manovra il governo gialloverde abbia dato segnali in direzione di un riequilibrio sociale delle disuguaglianze. Se non ci fosse stato il ribaltone elettorale avremmo la rivolta sociale nelle piazze come in Francia.
Se l’Europa fallisce la causa principale risiede nel fatto che nessuno stato o unione tra stati può sopravvivere all’aumento vertiginoso delle disuguaglianze e della mancata redistribuzione delle ricchezze. Quando questo è avvenuto nella storia c’è sempre stata la rivolta e poi la rivoluzione.
Se al più presto non nasce una leadership europea che rilanci le ragioni dell’Unione e se il governo della “moneta senza stato” continuerà ad essere in mano a tecnici e senza una guida politica che trovi nel suffragio universale la propria legittimazione il rischio di implosione dell’Europa è enorme.
Nessuno si illuda che ci sia la praticabilità sociale e democratica per un governo tecnico filo tedesco o filo europeo e nessuno si illuda che il Paese si riconsegni nelle mani di Berlusconi o Renzi, ossia nelle mani di chi lo ha portato, numeri alla mano, sull’orlo dell’attuale baratro.
L’eredità dell’attuale governo è pesantissima. Se il nuovo governo gialloverde non mette mano senza timidezze a un piano di investimenti in infrastrutture fisiche, amministrative e culturali, specialmente al Sud e se non lo fa in tempi rapidi siamo condannati ad un declino più o meno rapido e più o meno tumultuoso.
Ringraziamenti
Ringrazio Affari Italiani, Basilicata24 e Scenari Economici per aver pubblicato questo mia saggio breve.
Pietro De Sarlo