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Sul reddito di cittadinanza c’è poco da ridere

11 marzo 2018 | 12:20
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Sul reddito di cittadinanza c’è poco da ridere

Prima o poi dobbiamo accettare, e anche promuovere, il rovesciamento di molti paradigmi. A partire dal paradigma del lavoro

Dal lavoro umano all’algoritmo

Che fine stanno facendo I bigliettai? La stessa fine dei benzinai e dei centralinisti. La stessa fine degli addetti alla logistica nelle aziende come Amazon: sostituiti dai robot. La tendenza tutta in discesa, riguarda al momento, il settore auto motive, la grande distribuzione e, soprattutto, la logistica e i trasporti. Gli algoritmi avanzano anche in campo medico, nelle professioni intellettuali, nel giornalismo, nella produzione del cibo. Oggi abbiamo la segretaria Cortana, domani avremo anche l’avvocato e il medico robot. Un tempo se perdevi il lavoro nella manifattura per causa di un telaio meccanico, ne trovavi un altro nei servizi, o nei trasporti. Oggi non è più così. Se perdi il lavoro in banca per colpa dello sportello automatico, non c’è altra possibilità. Se perdi il lavoro in fabbrica per causa dei robot, vedrai il futuro colorato di nero. Salta la mediazione del lavoro umano tra le macchine e la produzione. Bisogna fermare il progresso tecnologico? Impossibile. Inutile. Allora? Il dibattito sul lavoro rimane fermo su vecchi schemi lavoristici del ventesimo secolo. Questo è il primo problema. Lamentarsi del fatto che gli algoritmi tolgono posti di lavoro agli esseri umani, equivale a non affrontare il problema. Peggio se qualcuno propone di fermare i robot per restituire il posto al lavoratore umano. Sarebbe una tragedia . A lamentarsi sono gli stessi che saltano di gioia per i voli last-minute di Expedia, per gli acquisti su Amazon, per i corsi universitari online, per la musica scaricata gratis da internet. La tecnologia ci consente di produrre di più con meno risorse umane. Questa è una tragedia? Non direi. La politica e il sindacato devono porsi il problema da altri punti di vista. Finché si è in tempo occorre pensare a una società libera dal lavoro per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli e fino ad oggi. Per liberare la società dal lavoro, la politica e il sindacato devono affrancarsi dalla vecchia ideologia lavoristica, mettendo in campo nuove politiche e nuove relazioni industriali. Le domande su cui riflettere sono molte e anche complicate. Se è vero che i robot faranno il lavoro che è stato sempre prerogativa degli esseri umani, la ricchezza prodotta, come e a chi verrà distribuita? I robot pagheranno le tasse per garantire il welfare? E quale welfare? Andiamo incontro a una fase storica inedita ma immaginabile, per cui è inutile far finta di non vedere. La fetta della torta che finisce nelle tasche dei lavoratori non è mai stata così piccola nell’ultimo mezzo secolo.

Decine, centinaia di milioni di persone non avranno più un lavoro, questo non vuol dire che non avranno più di che vivere. Milioni di persone non avranno più un lavoro per come lo immaginiamo oggi, ma avranno certamente da fare in altri campi, quali campi? Si apre una fase necessaria di massicci investimenti nella cultura, nell’istruzione, in un nuovo welfare. Campi questi che potranno garantire ai liberi cittadini di domani di agire nella vita con un senso nuovo e liberato dal lavoro per come Simmel lo ha descritto. Saremo costretti, per fortuna, a rovesciare le vecchie logiche della produzione e dei rapporti di produzione.

Chi paga oggi il conto e chi lo pagherà domani?

Facebook, Google, Ibm, Microsoft e tutti gli altri, insomma i colossi della Silicon Valley sono il neo capitalismo improduttivo che sfrutta il lavoro gratis degli utenti, per fare soldi e pompano il capitalismo finanziario. Che dire di Airbnb, Amazon, Uber e tanti altri che distruggono lavoro umano? Tutti pagano quasi zero tasse e il conto della loro crescita esponenziale è pagato dai lavoratori, sfruttati oltre ogni limite e dai cittadini, costretti a subire un fisco aggressivo per ripagare i danni sociali. Queste aziende non sono nemmeno più gruppi industriali ad alta intensità di capitale ma imprese tecnologiche ricche di proprietà intellettuale. Scrive Rana Foroohar sul Sole24 ore. “Mentre i colossi della Silicon Valley prosperano, tutti gli altri perdono terreno. Le loro piattaforme hanno offerto ai consumatori nuovi prodotti e servizi efficacissimi a prezzi più bassi, ma il minor prezzo dei gadget non compensa neanche lontanamente il declino della quota del lavoro causato dal progresso tecnologico. E anche se queste aziende non violano necessariamente le leggi a tutela della concorrenza, è evidente che esercitano un potere di tipo monopolistico nel mercato, come dimostrano costantemente cose come i recenti tentativi di Google di lanciare un ad-blocker o la politica di Facebook di acquisire smaniosamente qualsiasi azienda più piccola possa in qualche modo profilarsi come concorrente.”

Insomma a farne le spese sono anche le piccole e medie imprese. La sfida dunque è da un lato la creazione di un vero libero mercato delle produzioni intelligenti, evitando l’accumulazione in poche mani di proprietà intellettuali, dall’altra la creazione di sistemi fiscali di garanzia di ridistribuzione della ricchezza prodotta. Qui è difficile immaginare una mano invisibile alla Smith. Bisognerà evitare l’avviarsi di un circolo vizioso già abbozzato in questi ultimi anni per cui il “costo ricade sempre sugli innocenti”. E’ questa la sfida che avrà di fronte la politica e il sindacalismo. Non avrà molto senso in prospettiva lottare per un euro in più agli addetti alla logistica di Amazon i quali sono già super sfruttati. Avrà senso costringere Amazon a cedere pezzi di ricchezza che serviranno a dare una prospettiva di vita ai lavoratori che saranno espulsi dai processi produttivi e ai cittadini che in quei processi produttivi non ci entreranno mai anche per loro legittima scelta. (Continua nella pagina seguente)

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