Siamo stati condannati per diffamazione a mezzo stampa: perché?

18 aprile 2025 | 12:29
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Siamo stati condannati per diffamazione a mezzo stampa: perché?
Michele Finizio e Giusi Cavallo

Il pm aveva chiesto condanna a 4 mesi di carcere. Il giudice si è limitato a 600 euro di ammenda e al pagamento delle spese processuali. Faremo appello

Ieri, 17 aprile 2025, siamo stati in tribunale per due udienze relative a processi a nostro carico per il reato di diffamazione a mezzo stampa. La prima, quella in cui siamo sia parte offesa per l’aggressione subita mentre facevamo il nostro lavoro di inchiesta sull’eolico selvaggio e contestualmente siamo imputati di diffamazione per aver scritto che siamo stati aggrediti, è stata rinviata al 13 giugno. Si trattava dell’udienza in cui il giudice avrebbe dovuto fare sentenza.

La seconda, quella di cui vi raccontiamo oggi, riguarda una querela dell’ex Commissario straordinario del Consorzio Industriale di Potenza, il quale si è sentito diffamato da un nostro articolo. Ieri il giudice ha fatto sentenza: siamo stati condannati a 600 euro di ammenda e al pagamento delle spese legali. Il pm aveva chiesto addirittura la condanna a 4 mesi di carcere. Naturalmente faremo appello.

Il decorso di questo processo è lastricato di anomalie che qui sarebbe lungo raccontare: anche se a tempo debito dovremo pure raccontarle. Anomalie, gravi, che abbiamo riscontrato anche in altri dibattimenti e che la nostra avvocata, Anna Maria Caramia, ha segnalato al presidente del Tribunale chiedendo chiarimenti mai forniti. La stessa avvocata, proprio ieri nella discussione ha fatto notare che “tra tutte le cause per diffamazione da me trattate, questa è l’unica dove non c’è nemmeno l’ombra di un’ipotesi diffamatoria”. Perché siamo stati condannati in questo primo grado del processo? Per aver scritto un articolo in cui non c’è alcuna traccia di diffamazione, ma solo verità riscontrate, riscontrabili e ammesse in qualche modo dallo stesso querelante nel corso delle audizioni. Tant’è che né il querelante né altri hanno mai chiesto una rettifica all’articolo incriminato. Qui l’articolo.

Questo episodio è importante perché conferma i nostri dubbi sul verificarsi di strane situazioni nel corso dei dibattimenti. Quando il processo fa il suo normale decorso senza ombre né dubbi di sorta, condotto da giudici che applicano la legge, veniamo assolti. Quando, invece, ci troviamo di fronte ad anomalie procedurali, e non solo procedurali, quasi sempre si tratta di un processo in cui qualcuno ha già deciso di condannarci. Tuttavia, veniamo assolti perché i “trabocchetti” li scopriamo e li mettiamo sul piatto. Questa volta, invece, la volontà di condannarci ha prevalso sia sulle evidenze sia sul timore di una denuncia delle parti condannate contro il giudice. Perché? Abbiamo le nostre ipotesi, che restano tali anche se col tempo e con l’esperienza stanno acquisendo il rango di certezze. Al momento possiamo solo ricordare ai lettori che le richieste di rinvio a giudizio nei nostri confronti sono state troppe, spesso inutili e quasi sempre archiviate. E quando siamo andati a processo siamo sempre stati assolti, tranne in un caso che pende in Appello. Vedremo come andrà a finire.

Siamo di fronte a una storia di querele, richieste di rinvio a giudizio, di processi, perquisizioni che, almeno in Basilicata, non ha eguali nel panorama editoriale e giornalistico. A questo punto sarebbe il caso che il Tribunale di Potenza e la Procura facciano chiarezza sull’applicazione dell’art.21 della Costituzione e forniscano maggiori garanzie sulla tutela del “valore costituzionale della libertà di stampa e del diritto dei giornalisti a informare i cittadini su vicende di interesse pubblico.”