Trenitalia e il giallo dell’autobus scomparso

19 marzo 2025 | 09:56
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Trenitalia e il giallo dell’autobus scomparso
Foto di repertorio

La disavventura di un gruppo di viaggiatori lucani lasciati a piedi in piena notte

A scriverci è Carmine Paternoster, lucano che viaggia per lavoro, professionista Java Developer , Linux System Administrator e Google Cloud Platform Developer. Ci racconta quanto capitato a lui e a un gruppo nutrito di lucani che avrebbero dovuto raggiungere Potenza da Napoli con un autobus sostitutivo di Trenitalia, domenica 16 marzo.

Napoli, stazione centrale. Ore 20:00 di domenica 16 marzo (anno 2025). Un manipolo di lucani si raduna sulla banchina degli autobus, in attesa dell’ultimo collegamento di giornata Napoli-Potenza. La domenica non ci sono altre soluzioni per rientrare in Basilicata (né altri treni, né altri autobus, neppure di compagnie private). Il ritardo? Una tradizione, come il panettone a Natale o come il peperone crusco su un piatto di strascinati mollicati. I disagi? Un’abitudine, come il caffè a colazione. Ma nonostante tutto, restiamo fiduciosi, che da un momento all’altro l’autobus si affaccerà. (Spoiler: è stata proprio la fiducia, nei confronti di un servizio pubblico, che poi ci ha fregati). Lo scorrere del tempo e l’avanzare dell’orologio però iniziano a suggerire che non si tratta di un semplice ritardo, no! L’autobus non si vede, non si sente, non si percepisce neanche con la chiaroveggenza.

Ore 20:30. In assenza di qualsiasi informazione, ci viene un’idea geniale: “Chiamiamo, l’assistenza telefonica di Trenitalia!” (mai nome fu più sbagliato per un’assistenza che non assiste nessuno). “Scusate, l’autobus arriverà o ci dobbiamo preoccupare?”. La risposta, un capolavoro di evasione burocratica: “Inoltriamo la segnalazione alla sala di controllo e la ricontatteremo appena abbiamo novità”. La telefonata si chiude. Noi con rinnovata fiducia ed una nuova dose di pazienza, ci mettiamo nuovamente in attesa. “Ecco! Adesso si attiveranno per capire cosa è successo ed a momenti riceveremo una telefonata oppure vedremo arrivare l’autobus e tutto sarà risolto” (la fiducia alle volte è una vera trappola, non che avessimo altre soluzioni, ma sicuramente avremmo potuto anticipare alcune scelte).

Ore 21:00. Il telefono non squilla. L’autobus non arriva. L’attesa si è trasformata in un reality show dal titolo “Survivor: Banchina Napoli Centrale”. I lucani iniziano a riconoscersi tra loro, si formano alleanze, ci si interroga a vicenda, ognuno cerca nell’ altro informazioni che non ha. Ma la verità è una sola: nessuno ha informazioni concrete sul collegamento Napoli-Potenza. Nessuno sa se l’autobus è stato soppresso e nessuno sa, se e quando arriverà. Non ci resta che ritelefonare a Trenitalia. Stavolta, però, il call center si supera: click…tu tu tu. La chiamata viene chiusa in faccia. Saranno state mica troppe le nostre domande? Saranno state mica complicate? Non lo sapremo mai! Fatto sta che ci ritroviamo con più dubbi che in partenza!

Ore 21:30. Strategia di gruppo: telefonata in vivavoce per unire le forze. Se a qualcuno sfugge qualcosa, il passeggero affianco integra le informazioni mancanti. Sembra funzionare! Suggeriamo un ventaglio di soluzioni al call center, ci rendiamo disponibili ad accettare dei compromessi pur di rientrare a casa, tiriamo fuori le doti migliori di ognuno di noi: creatività, empatia, problem solving, educazione, gentilezza… Niente! Il call-center è un muro di gomma. “Capisco la vostra situazione” dice l’operatrice, “ma io non posso far altro che inoltrare la segnalazione alla sala di controllo”. Siamo punto e a capo. Soli e abbandonati sulla banchina. Qualcuno suggerisce soluzioni creative e qualcun altro cerca sul telefonino la fattibilità di tutte le soluzioni suggerite. Niente! Per rientrare a Potenza, soluzioni non ce ne sono. La rabbia, mista a delusione ci assale e qualcuno prova ad alzare la voce nelle telefonate successive. È quasi terapeutico, sfogarsi; considerata l’impotenza verso una situazione in cui nulla possiamo.

Ore 22:00. L’ultima supercazzola! Due ore dopo l’orario previsto dell’arrivo, non sappiamo ancora nulla. Davanti a noi abbiamo una lunga notte e nessuna prospettiva. Facciamo l’ultima telefonata all’assistenza telefonica, informandoli del fatto che avremmo preso una camera in albergo e poi chiesto il rimborso a Trenitalia. L’operatrice ci dice che nulla verrà rimborsato. Non è così che funziona! Avremmo dovuto attendere la valutazione della sala operativa e nell’eventualità in cui non sarebbero stati in grado di proporci una soluzione per rientrare ce ne avrebbero proposta una per alloggiare a Napoli e rientrare il giorno dopo. “Dovete avere pazienza ed attendere. Ho segnalato e sollecitato il vostro caso. Ho segnato tutto, ho scritto il vostro numero di telefono, ho aggiunto anche che siete adirati”. Ah, beh, meno male! Ora che hanno scritto che siamo furiosi, ci sentiamo decisamente meglio e fiduciosi che qualcosa stavolta si smuoverà.

Purtroppo, sarà che il nostro realismo ha imparato ad associare il senso contrario a certe promesse, tranquilli non siamo riusciti a stare. Qualcuno cerca ospitalità da amici a Napoli, noi ci organizziamo per farci venire a prendere e qualcun altro forse è rimasto sulla banchina in attesa della telefonata.

Ore 02:30, ormai è lunedì. Finalmente a Potenza. Esausti, sfiniti, ma con una certezza granitica: la chiamata, quella promessa (entro breve), non è mai arrivata. Almeno ci hanno lasciati dormire, senza disturbarci con inutili aggiornamenti fantasma. Ci siamo organizzati da soli. Abbiamo incrociato un autobus, non di Trenitalia, che da Napoli andava a Salerno. Qui gli amici sono venuti a prenderci con la loro auto.

Trenitalia, ci hai abituato a tutto, ma la sparizione totale di un autobus e la non-esistenza dell’assistenza ci sembrano un tantino troppo, persino per gli standard italiani. La prossima volta ci organizziamo direttamente con un carretto trainato da muli. Quelli si sa, son testardi e se si mettono in testa di portarci a Potenza son sicuro che lo faranno. Magari con un tantino di ritardo, ma almeno assicurano il servizio.

Il diritto alla mobilità non è un lusso, ma una necessità. Eppure, in un Paese che si vanta di alta velocità e di innovazione nei trasporti, esistono ancora tratte che sembrano appartenere a un’epoca preindustriale. I viaggiatori pagano un servizio, ma troppo spesso si ritrovano a combattere con ritardi, soppressioni e una comunicazione inesistente. Trenitalia e le istituzioni dovrebbero chiedersi se sia normale che, nel 2025, spostarsi tra due capoluoghi italiani possa ancora trasformarsi in un’avventura surreale, dove l’unico vero consiglio utile resta sempre lo stesso: armatevi di pazienza e soprattutto di un piano B. Carmine Paternoster