“Senza lavorare i giorni diventano incubo”

Il diario aggiornato di un padre di famiglia e operaio di Melfi (Stellantis) alle prese con settimane “infinite” di cassa integrazione. “Oltre a rischiare di morire di fame, così si muore dentro”
Un’altra settimana a casa. “Le giornate sono tutte uguali, incubi notturni, ti senti come se fossi malato, inabile al lavoro quando in realtà hai forza, grinta, vorresti sudare di lavoro e ritornare a casa stanco, come accadeva un tempo”. Cosa è diventata la Basilicata te la racconta bene l’operaio di Melfi (Stellantis) alle prese con mesi di psicodramma, senza quasi mai scendere in fabbrica.
“Vivere di Cassa integrazione non è affatto piacevole. Un padre di famiglia ha bisogno di lavorare, di sentirsi perno della famiglia, così invece ti senti solo umiliato e alle prese con cattivi pensieri che ti accompagnano nelle intere settimane in cui non si lavora”. Quello che ci pone dinnanzi, l’operaio, è uno strano diario in cui le annotazioni sono tutte in neretto. Non ci sono momenti felici, spensierati, nè cuoricini (metaforici). “E’ diventato sempre più complicato portare avanti la famiglia, pagare spese e mutui. L’ultima giornata di lavoro l’ho fatta due settimane fa e non so quando ci sarà la prossima. Capite quanto è difficile vivere con questa incertezza sulla testa, con questo senso di precarietà che si basa spesso su singole chiamate, neanche facessimo l’elemosina”. E intanto c’è la salata rata del mutuo che incombe. Giovanni (nome di fantasia) ha 50 anni. Trenta vissuti sulla linea di Melfi.
“Se me l’avessero detto 10 anni fa che sarebbe andata a finire così non ci avrei creduto”, confessa. Poi apre a ragionamenti vaghi, ipotetici, ma al contempo comprensibili. “Ho i figli ancora piccoli, non sono autonomi, hanno bisogno di assistenza, della figura paterna, altrimenti rifletterei anche io sulle trasferte che continuano a proporci negli ultimi tempi”. Il riferimento è agli ultimi inviti giunti agli operai Stellantis di Melfi e che aprono a nuove possibili trasferte. Con mete che spaziano da Mirafiori fino alla Serbia. “Se avessi i figli più grandi, o non avessi famiglia, me ne andrei, emigrerei, non ci penserei due volte”. E ancora. “Questa sta diventando una terra sempre più desolata, rischiamo di morire non solo di fame, ma di morire dentro, che è ancora peggio”. Parole forti. Saranno i pensieri “tristi” di chi non scende al lavoro da qualche settimana e che non conosce il suo futuro. Sarà anche “la paranoia” di un attimo, acuita dalla stasi noiosa della Cassa integrazione, ma descrive bene come sta diventando arduo “sopravvivere” in questo profondo sud che è la Basilicata. Una sorta di morbo da cui si fugge con sempre maggiore frequenza. Fuggono giovani e meno giovani dalla Lucania. A ritmi vertiginosi. E’ un morbo divenuto epidemia. Mancano le politiche necessarie a placarne gli effetti. Tante parole, tavoli istituzionali alla Regione, nuovi bandi fumosi e allettanti promesse di incontri al Ministero del Made in Italy. Ma poi tutto svanisce e resta il nulla.