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Mussolini cittadino onorario di San Fele

3 marzo 2025 | 15:29
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Mussolini cittadino onorario di San Fele
Scorcio di San Fele (Potenza)

La richiesta di revoca della cittadinanza avanzata al Consiglio comunale è rimasta senza risposta: “chissà se per indifferenza al tema, per contiguità politica o per altra insondabile ragione”

Il Consiglio comunale di Salò, cittadina tristemente nota come cuore della Rsi, qualche giorno fa, dopo oltre un secolo, ha riscattato il suo nome procedendo alla revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Il centro gardesano fu luogo di quella Repubblica sociale italiana, non solo succube e complice della ferocia nazista, ma anche inerme, di fatto, è utile ricordalo ai sedicenti patrioti di destra, di fronte all’occupazione tedesca delle province di Bolzano, Trento, Belluno (OZAV) e del litorale adriatico (OZAK), annessi all’Italia col sangue di centinaia di migliaia di contadini-soldati caduti nella Prima Guerra mondiale. Il provvedimento dei Consiglieri salodiani è esemplare e pieno di significato politico, anche perché due giorni prima, Blocco studentesco, un gruppo fascista costola della famigerata CasaPound, con un’azione ad hoc concertata in molte scuole d’Italia, aveva esposto striscioni che equiparavano l’antifascismo alla mafia, nell’indifferenza generale e nel silenzio vergognoso del ministro dell’istruzione, sempre attento a reprimere voci dissonanti nella scuola e nelle Università.

Il rito concessorio, che riguardò invero molti Comuni italiani, seguì alle elezioni del 6 aprile 1924, a fascismo ormai al potere dopo una competizione elettorale segnata da diffusa illegalità e senza la necessaria libertà personale nell’esercizio del voto: minacce, intimidazioni, aggressioni, bastonature e olio di ricino delle camicie nere a danno degli elettori, oltre che brogli nei seggi. Forte si levò, il 30 maggio successivo, nell’aula parlamentare, il grido di Giacomo Matteotti per chiedere la nullità della competizione, in un appassionato intervento fra interruzioni, urla e avvertimenti, il cui epilogo fu la tragica fine del deputato rodigino il mese dopo. Il coraggioso uomo politico, nella sua vibrante protesta nell’aula di Montecitorio citò, fra le altre località, la nostra Melfi: “A Melfi… (Rumori vivissimi – Interruzioni) a Melfi è stata impedita la raccolta delle firme con la violenza (Rumori)”1.
Il suo assassinio, voluto da Mussolini, suscito un’ondata di sdegno nel Paese e fece barcollare il Duce e il fascismo non ancora consolidatisi al potere, tanto che, “non per spontaneismo e convinzione ma per adesione ad un preciso disegno politico di alimentare il culto del Duce” ai fini della costruzione “organizzata” del consenso dal basso all’edificando regime, una fetta importante – non tutti per fortuna – di enti periferici della penisola accordò la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini.

Non fu da meno il Municipio di San Fele, dove vivo e a cui mi sono rivolto prima che Salò deliberasse la revoca, per chiedere di assumere la stessa decisione, stante che il 16 maggio 1924, con determinazione numero 17, il Commissario prefettizio, “delibera nominarsi cittadino onorario di S. Fele S. E. il Presidente del Consiglio dei ministri On. Benito Mussolini”, sul quale il giudizio storico è definitivamente impietoso quale artefice della spietata dittatura, della persecuzione degli Ebrei, della soppressione di avversari e di ogni libertà personale, politica, civile e sindacale e della catastrofe bellica, per citare solo qualche “impresa”. A Consiglio comunale vacante, dunque, uno zelante funzionario di Prefettura, in un luogo fortemente nittiano e, quindi, nella presumibile avversione dei suoi cittadini, si allinea alle pressioni politiche e ne decide l’assegnazione.

Ritenendo che tale atto non potesse continuare ad essere nell’Italia democratica e antifascista e che gli stessi sentimenti siano condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini, soprattutto oggi che il fascismo, sotto altre vesti, sta facendo la sua ricomparsa, e credendo che San Fele sarebbe stato il primo Comune della nostra regione a dare l’esempio, mi sono rivolto al Presidente del Consiglio comunale, il giorno 31 gennaio scorso con nota protocollata numero 942, affinché il disonore dell’onorificenza – si perdoni il bisticcio di parola – trovasse la risposta consequenziale. Con rincrescimento devo constatare che, dopo oltre un mese dalla notifica della richiesta, dalla Presidenza dell’Ente locale non è giunta alcuna risposta, chissà se per indifferenza al tema, per contiguità politica o per altra insondabile ragione. Qualunque sia la motivazione, sconcerta che una figura istituzionale, e non è la prima volta che accade anche in relazione a Uffici statali superiori, non avverta il dovere di riscontrare una nota dalla quale si può legittimamente dissentire. E’ un sintomo della distanza della politica dai cittadini, un tempo inconcepibile o, forse, dei conti mai fatti col fascismo. D’altronde anche in Germania, malgrado si ritenga l’opposto, i conti non sono stati fatti fino in fondo, come sostiene Tommaso Speccher in La Germania sì che ha fatto i conti con la propria storia, Editori Laterza. Ad ogni modo, lì sì è almeno posto e affrontato il problema, qui mai e a pagare con la fucilazione – lo si ricorda per i più giovani – sono stati solo il duce e quindici suoi stretti collaboratori sulle sponde lariane, a fine aprile 1945, su disposizione del CLNAI. Prof. Donato Ricigliano