L’economia della paura: guerre vere e guerre inventate

26 marzo 2025 | 14:25
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L’economia della paura: guerre vere e guerre inventate
Immagine generata con l'IA

Boom nel mercato dei bunker e dei kit di sopravvivenza: l’angoscia è una miniera d’oro per i mercanti delle distopie

L’Unione Europea raccomanda ai cittadini: dotatevi del necessario per sopravvivere almeno 7 giorni in caso di emergenza. Scorte di acqua, di cibo, di energia… E’ un modo come un altro per abituare lentamente i cervelli ad una possibile guerra futura o, nel migliore dei casi, ad una imprevedibile calamità. Nei talk show televisivi si parla di questa evenienza e di queste raccomandazioni con leggerezza e naturalezza disarmanti.

Nel frattempo la televisione dedica servizi e reportage giornalistici al mercato dei bunker. Sono pieni gli annunci immobiliari, affari miliardari. I nuovi luoghi del rifugio diventano pertinenze abitative, proprietà accessorie all’abitazione. Un bunker è come un nuovo garage. Le offerte abbondano: villa con bunker, palazzo con bunker condominiale, eccetera. In Franciacorta dovrebbe nascere il primo bunker Village italiano. Naturalmente è roba da ricchi o comunque da benestanti. I poveri possono crepare.

Ci auguriamo che tutta questa propaganda della paura finalizza a preparare le popolazioni ad eventi tragici “probabili”, non sia una strategia di profezia autoavverante. Vale a dire “quel meccanismo mentale che porta a realizzare una previsione, anche se in realtà non è vera”. In sociologia è una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. In psicologia, una profezia che si autoavvera si ha “quando un individuo, convinto o timoroso del verificarsi di eventi futuri, altera il suo comportamento in un modo tale da finire per causare tali eventi.”  Il dubbio che si stia puntando, ancora una volta, all’alterazione dei comportamenti di massa a scopo politico e commerciale, è legittimo. Insomma, governi, imprese e media a che gioco stanno giocando? Alla guerra o agli affari? Ci stanno preparando ad altre guerre o a sborsare denaro per la paura delle guerre?

L’economia della paura è simile all’economia di guerra e all’economia delle catastrofi: agisce sull’angoscia intensificandola a spese della speranza. Propagandare, perché di questo si tratta, l’inasprimento di possibili conflitti in corso è un’operazione mediatica, politica ed economica che uccide le speranze. Non solo. Intensifica l’egoismo nel quadro della “salvezza” della “mia famiglia” e alimenta le forme di isolamento sociale.  “L’angoscia – scrive il filosofo e sociologo Byung-Chul Han – si aggira come uno spettro. Solo la speranza può farci recuperare quel vivere che è qualcosa in più del sopravvivere”.

Nel quadro del culto neoliberista anche l’economia della paura fa leva sull’individualismo come condizione di benessere. L’individuo in ansia si evolve in angoscia collettiva. E l’angoscia diventa una variabile del mercato che fa crescere il consumo di beni e servizi, compresi gli armamenti, legati alla sicurezza individuale e alla protezione della propria famiglia da eventi catastrofici. L’angoscia è una miniera d’oro per i mercanti delle distopie. E invece c’è bisogno di utopia, quell’utopia intricata nella speranza. E la speranza per alimentare utopia deve essere collettiva e fondarsi su altri paradigmi: la fraternità tra gli umani e la sana convivenza dell’umanità con il resto degli esseri viventi. Solo allora i bunker e le bombe troveranno posto nei fondoschiena dei mercanti.

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