Le donne in Basilicata, la fotografia della Cgil: istruite, giovani, povere e precarie

8 marzo 2025 | 13:42
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Le donne in Basilicata, la fotografia della Cgil: istruite, giovani, povere e precarie
Un momento dell'incontro

Anna Russelli (Cgil Basilicata): “Non saranno bonus e misure occasionali a risolvere le problematiche. Anche per questo è fondamentale sostenere i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, affinché si possa migliorare questa condizione e garantire maggiore equità e stabilità nel mercato del lavoro, riducendo le discriminazioni nei contratti e nelle carriere delle donne”

Istruite, giovani, povere e precarie. È l’identikit delle donne lucane fotografato dalla Cgil in occasione della Giornata internazionale della donna in un incontro oggi a Potenza dal titolo “Il voto è la nostra rivolta”, promosso da Cgil Basilicata, Cgil Potenza e Spi Cgil Potenza. Al dibattito hanno partecipato Anna Russelli, segretaria della Cgil Basilicata; Angela Bianco, rappresentante della Rete degli studenti medi; Laura Genovese, delegata Total; Angela Blasi, consigliera comunale di Potenza; Giovanna Galeone, segretaria Spi Cgil Basilicata ed Esmeralda Rizzi, dell’ufficio Politiche di genere della Cgil nazionale.

“In linea con la media nazionale e del Mezzogiorno – ha detto Anna Russelli, segretaria Cgil Basilicata – tutte le statistiche e gli studi dimostrano che in le donne occupate sono molte meno degli uomini e, soprattutto, che il loro lavoro continua ad essere precario, in part time, spesso involontario, con forti discriminazioni nei percorsi di carriera. In Basilicata, infatti, se il tasso di occupazione maschile tendenziale è aumentato al 67,1% (+0,2%), quello femminile è diminuito al 43,3% (-0,6%). Il divario aumenta moltissimo nel Mezzogiorno, dove la distanza tra l’occupazione femminile e maschile passa da 14,2 punti nella fascia di età 15-34 anni a quasi il triplo per le 50-64enni, con 33,1 punti in meno rispetto agli uomini. Inoltre, solo il 53,7% delle occupate in Italia ha una condizione standard”.

Una tendenza confermata anche dai dati lucani del rapporto Ires Cgil: “Evidenziammo a suo tempo – ha aggiunto Russelli – come la Basilicata rispetto ad altre regioni italiane abbia percentuali più alte di donne laureate e formate e che lo sbarramento si crea, quindi, non nella fase formativa bensì nella fase di accesso al mercato del lavoro in cui le donne impattano contro un sistema patriarcale e discriminatorio che le relega a condizioni marginali o comunque difficoltose. La Basilicata ha un ampio numero di donne inattive e moltissime giovani disoccupate, spesso con un percorso formativo brillante alle spalle. La figura tipica del disoccupato lucano è rappresentata da una giovane donna con titolo di studio medio alto, alla ricerca del primo impiego. Tale figura spesso, in poco tempo, si scoraggia cadendo nell’inattività o emigrando. Sono diversi i motivi alla base di detta situazione, come sappiamo. Dal persistere di una resistenza culturale all’assunzione di donne, spesso di alto livello educativo, da parte di piccole imprese familiari e padronali a discendenza maschile nel sistema di governance aziendale, alla isteresi del mercato del lavoro, evidentemente a causa di politiche attive non particolarmente efficaci che generano un tasso di disoccupazione di lungo periodo.

Occorre anche dire – ha denunciato Russelli – che negli ultimi anni si sono notevolmente ridotti gli spazi di confronto a livello regionale sulle stesse politiche attive; non esistono praticamente più spazi di discussione sulle misure da varare e lo stesso Osservatorio regionale del mercato del lavoro è nei fatti rimasto sulla carta”. Per Russelli “c’è in Basilicata un maggiore tasso di assunzione con contratti precari che riguarda le donne, e sappiamo bene gli effetti negativi del precariato sulle condizioni di vita; anche perché l’occupazione femminile in regione è legata soprattutto al settore dei servizi che sappiamo bene essere spesso caratterizzato da lavoro povero e precario. Ribadiamo, qualora ce ne fosse bisogno, che esiste una grave e strutturale carenza di servizi con una bassa presa in carico dei minori lucani da parte dei servizi per l’infanzia, peraltro concentrati solo sulle tipologie più tradizionali (nidi e micro nidi), con pochissimi nidi aziendali o servizi domiciliari, praticamente inesistenti nelle aree interne, ad esempio, laddove potrebbero creare occupazione peraltro.

Evidentemente, i dati previdenziali non sono migliori e confermano come le donne, penalizzate lungo l’intero arco della vita lavorativa, no possano che esserlo anche da anziane, con pensioni mediamente più basse rispetto agli uomini di oltre il 25% e soprattutto con età di uscita dal lavoro più alte a causa della discontinuità lavorativa e dei part time che rendono più difficile il raggiungimento dei requisiti. Da questo governo, però, non ci pare di sentire che demagogia. Si parla di inverno demografico, incentivi alla natalità, quando tutti i dati confermano una child penality che continua a discriminare le donne. Aumentare il congedo obbligatorio di paternità, ad esempio, sarebbe una misura importante, ma il Governo si è limitato a dare attuazione al minimo previsto dalla direttiva europea, portandolo a 10 giorni e dimostrando ancora una volta di non voler davvero fare nulla. La cronica carenza di asili nido, come detto, continua a rappresentare uno dei principali ostacoli alla piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro, spesso costrette a ridurre l’orario di lavoro o ad abbandonare l’occupazione”.

È anche per questi motivi che risultano più spesso vulnerabili le lavoratrici giovani (38,7%), residenti nel Sud (31,2%), con bassa istruzione (31,7% per le donne che hanno fino alla licenza media) e straniere (36,5%). A preoccupare, inoltre, sono i tassi di inattività che in Italia superano quelli di disoccupazione, registrando anche qui un forte gap tra i sessi che si allarga con l’arrivo dei figli. “Gli ultimi dati della Consigliera regionale di parità – ha sottolineato Russelli – confermano ulteriormente il solito trend che vede la stragrande maggioranza delle dimissioni volontarie presentate dalle donne (127 su 157) perlopiù con motivazioni afferenti alla impossibilità di conciliazione del lavoro e della cura familiare”. Lavoro povero e precario significa anche che le donne vanno in pensione più tardi e più povere, con un gap di genere del 36%.

“È evidente – ha concluso Russelli –   che non saranno bonus e misure occasionali a risolvere le problematiche. Anche per questo è fondamentale sostenere i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, affinché si possa migliorare questa condizione e garantire maggiore equità e stabilità nel mercato del lavoro, riducendo le discriminazioni nei contratti e nelle carriere delle donne. Dunque le donne intendono essere protagoniste del cambiamento sostenendo con forza i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza. Grazie ai quattro referendum sul lavoro potremo renderlo tale anche per le donne. Per vincere questa sfida e raggiungere il quorum serve il protagonismo delle donne a partire da oggi. La partecipazione ai referendum della Cgil che mirano a ridurre la precarietà per tutte e tutti, a restituire dignità e sicurezza al lavoro, non può che essere donna”.