Il Giorno del ricordo e la vicenda delle Foibe

Il racconto di Carmen Lucia
Il presidente Napolitano rimase fedele nel tempo alle valutazioni storiche e politiche del suo primo discorso nonostante le polemiche. Io, personalmente, non credo ad un lucido progetto di pulizia etnica, ma ad un esplicito disegno politico di annessione che si incontrò con gli scontati odi e vendette incrociate che ogni guerra inevitabilmente porta con sé. Ebbe certamente ragione quando pose l’accento sulla congiura del silenzio, sulla rimozione diplomatica, e sull’ingiustificabile dimenticanza che detto da un comunista della prima ora assume un forte valore.
Probabilmente vi fu anche il desiderio, violento, di prevenire il rischio ed il fastidio di eventuali oppositori politici, pensiero espresso da Paolo Sardos Albertini, Presidente della Lega Nazionale di Trieste, in Il Piccolo, e ribadito dalla Relazione della Commissione storico-culturale italo-slovena. Per paura e diffidenza verso il nascente stato comunista fuggirono anche sloveni e croati.
Alla fine della guerra l’area fu tagliata a metà, la zona A, in cui rientrava Trieste fu amministrata dalle forze alleate, la zona B dagli iugoslavi. Fino al 1954 Trieste fu dichiarata città libera, nel 1954 si decise di assegnare la zona A all’Italia e la zona B alla Iugoslavia. Tanti, nell’illusione di tornare presto a casa, depositavano parte dei loro bagagli nel Magazzino 18 del porto di Trieste, che oggi è una specie di museo. Gorizia, ai tempi della Guerra fredda era tagliata a metà; da una parte la città italiana e dall’altre la slava: Nova Gorica. Oggi hanno una piazza in comune ove si può stare con un piede in Italia ed uno in Slovenia.
Durante l’esodo tanti gli episodi ignobili fomentati dai comunisti che li ritenevano fascisti in fuga dal paradiso comunista. Uno dei più gravi accadde alla stazione di Bologna dove fu impedito ad un convoglio di profughi la sosta e dove il latte preparato per i bambini fu rovesciato sui binari.
L’esodo massiccio in alcune città come Fiume ebbe come contraltare il blocco dell’attività produttiva, in particolare del cantiere navale, ma si ebbe, in risposta l’emigrazione da altre regioni del nuovo stato ed una massiccia emigrazione di monfalconesi, operai specializzati di fede comunista. Quando tuttavia, nel 1948, Tito, accusato di deviazionismo, ruppe con Stalin ed il Partito comunista italiano si allineò con Stalin, questi operai, considerati nemici o finirono nei campi profughi o nei Gulag dell’isola Calva, o addirittura nelle foibe. A quanti tornarono in Italia fu ordinato di farsi da parte e di tacere.
I profughi di queste terre furono accolti in 109 campi profughi ed in quello di Roma una neonata morì di freddo, e poi emigrarono nel resto d’Italia, soprattutto tra il Veneto ed il triangolo industriale e tanti all’estero ed in Oceania.
Gli esodati persero le loro proprietà, solo parzialmente risarciti dal Governo italiano, e l’economia di quelle terre risentì per numerosi anni del contraccolpo causato dall’esodo.
Un numero di persone, che secondo stime autorevoli si aggira tra le 250.000 e le 270.000, ivi compreso un certo numero di croati e sloveni antititini, scelse di abbandonare i luoghi di residenza e le relative proprietà.
Appare chiaro da queste cifre che i profughi scelsero i nuovi territori di residenza sia per ragioni economiche sia per ragioni sentimentali, nell’illusone di tornare presto nella propria terra. Cosa che mai avvenne.
Tra i profughi il cantante Sergio Endrigo che alla sua terra dedicò la canzone “1947” in cui espresse la sua nostalgia ed in cui molto significativa è la seguente frase: “Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà”[2]. Il cantante Simone Cristicchi ha dedicato uno spettacolo a questa triste e complessa pagina di storia, Magazzino 18, ma è stato per un certo tempo sotto scorta a dimostrazione di quando questa vicenda, nonostante il tempo trascorso, accenda ancora gli animi.
Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace parlò di queste terre, senza alcun risultato, poiché come disse tutto era contro di lui, eccetto la benevolenza degli uditori, dovette, infatti, lungamente insistere perché gli fosse concessa la parola. Finita la guerra gli italiani si attendevano un miglior trattamento dalle potenze vincitrici, ma così non fu ed Alcide De Gasperi spese invano tutte le sue forze per ricordare ai paesi vincitori che dopo l’8 settembre 1943 l’Italia aveva combattuto al fianco delle potenze vincitrici anche a prezzo di una sanguinosa guerra civile. A nulla valse il suo tentativo di spiegare che il popolo italiano che aveva subito la dittatura e la guerra non poteva pagare le colpe dell’uomo Mussolini. L’Italia di Mussolini si era lanciata nel conflitto con superficialità, la guerra l’aveva persa e la cessione alla ex Iugoslavia era risarcimento di guerra. Gli italiani, poiché con la lotta partigiana avevano affiancato gli alleati, si erano illusi di sedere vittoriosi al tavolo della pace, il risultato fu che i territori del confine orientale pagarono per tutti il prezzo della sconfitta. Fino alla caduta del Muro di Berlino parlare di questa triste pagina di storia era tassativamente vietato, tuttavia per me legittimo è porsi una domanda: è possibile far entrare la vita propria e quella della propria famiglia in una valigia? E si dimenticano gli odori, i sapori, i colori della propria terra se la storia decide il nostro destino senza il nostro permesso? È quanto l’Italia, per opportunismo e calcolo politico, ha preteso dai profughi dell’Istria, della Dalmazia, del Quarnaro e delle città di Pola e Fiume, di Trieste, città, come detto, divisa in due blocchi fino al 1954. Il 10 febbraio è, come scritto, il giorno della firma di quei trattati. Una pagina della storia contemporanea con cui i conti in molti casi sono ancora da fare. La Seconda guerra mondiale fu un conflitto ideologico e si concluse con un ulteriore conflitto ideologico, come questa vicenda ed altre dell’immediato secondo dopoguerra, dimostrano. Nel 1939 si scontrarono il totalitarismo di Hitler e le democrazie, figlie della rivoluzione francese, il secondo dopo guerra, invece, comportò lo scontro di due blocchi: il comunismo di Stalin e le democrazie mutilate del Patto atlantico (non è affatto vero che la Guerra fredda rimase un guerra combattuta senza armi poiché i russi e gli americani si confrontarono militarmente sia in Cambogia sia in Vietnam) in questo scontro, che comportava una diversa visione del mondo, gli italiani del confine orientale si trovarono presi nel mezzo e pagarono con la vita (gli infoibamenti,) con la perdita della patria, della lingua e delle tradizioni, ed anche con l’obbligo e la consegna del silenzio, con l’oblio della memoria. Un carissimo prezzo che l’Italia tutta non ha finito di pagare. Fra le colpe storiche che hanno consegnato al silenzio, e che ancora oggi, a circa ottant’anni dai fatti, a ventuno da quando il giorno del ricordo è stato istituto, suscita polemiche negli opposti schieramenti politici, la presenza in Italia di uno dei più forti partiti comunisti del mondo occidentale, insieme a quello francese. Pietro Di Loreto, in un libro del 1991, Togliatti e la «Doppiezza». Il PC tra democrazia e insurrezione (1944-49), racconta che il partito aveva due anime, una disposta al dialogo e certa della scelta democratica ed un’ala militarizzata, guidata da Longo, pronta a scatenare la guerra civile.
Togliatti mediò sapientemente queste due anime, persino dal letto d’ospedale dopo l’attentato del 14 luglio 1948, ma questo non bastò a salvare il confine orientale e la sua gente, anzi, questi italiani che fidavano nell’Italia e nei trattati di pace furono traditi e derisi dai loro connazionali e dai comunisti italiani, poiché abbandonavano il paradiso di Tito per l’Italia di De Gasperi. Offesi da altri italiani umanamente e politicamente. Dal 30 marzo 2004, con legge n. 92 è stato istituito il giorno del ricordo con il desiderio di rinnovare la memoria, di raccontarla alle nuove generazioni, di salvaguardare l’identità di coloro che furono vittime di quella pagina ignobile. Una considerazione però è d’obbligo, Giorno del Ricordo e non della Memoria. Il ricordo è la possibilità di rievocare il passato riconoscendolo e dandogli un valore temporale e spaziale, la memoria è il persistere di un evento nel tempo avvertito come una minaccia pronta a ripetersi. Evidentemente, data la localizzazione geografica e temporale del massacro delle foibe, si ritiene che sia una pagina di storia conclusa, ma non un rischio per il futuro, tuttavia averla chiamata giorno del ricordo e non della memoria, suona come un declassamento e legittimo è pensare che per l’ennesima volta l’Italia è stata vittima di odi e risentimenti, anche a molti anni dal 1943. La storia la scrivono i vincitori e gli animi, nonostante il tempo, ancora accesi, si dimostrano indifferenti di fronte al dramma di altri esseri umani la cui sola colpa è sentirsi profondamente italiani, sebbene siano nati in una terra di confine. Carmen Lucia
[1] Discorso del Presidente della repubblicaGiorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo”. Roma, 10 febbraio 2007
[2]Sergio Endrigo, “1947”.