Giornali oltre il giornalismo: il caso “Cronache Lucane”

La narrazione mediatica come tentativo di imporre nella percezione pubblica un’estetica del potere
Mi è ricapitato tra le mani uno scritto di Pantaleone Sergi del 2005. Sergi racconta del mensile “Il dibattito” che si stampava a Reggio Calabria dal 1979, sequestrato nel 2004 per disposizione della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Non s’era mai visto – scrive Sergi – un periodico incriminato, sequestrato e sospeso perché mafioso, un mensile utilizzato da un clan o da suoi membri e sodali per «organizzare e reiterare negli anni una vera e propria campagna di aggressione mediatica», con articoli «intrisi di contenuto calunnioso, falso, allusivo, violento», con l’obiettivo di colpire i nemici. Quel giornale, in sostanza, era l’organo di un clan mafioso.
Diretto da Francesco Gangemi, giornalista pubblicista, già sindaco di Reggio Calabria per tre settimane. Qualcuno aveva provato qualche tempo prima a farlo sequestrare quel mensile. “Ci aveva provato, per esempio, Eduardo Lamberti Castronovo, medico, editore di una tv privata, Rtv, quando s’era visto accusare di essere un ladro. Ebbe un incontro con Gangemi. «Mi chiese 10 milioni di euro. Il prezzo per cessare la campagna contro di me», ha raccontato Lamberti Castronovo denunciando l’episodio. In tanti, pilatescamente, se ne lavarono le mani”, come l’allora procuratore di Reggio Antonino Catanese. “L’ha sequestrato, invece, la Procura di Catanzaro, con soddisfazione di quanti, in questi anni, sono stati “vittime” delle attenzioni del giornale.” Tace l’Ordine dei giornalisti – aggiunge Sergi – tace il loro sindacato, c’è imbarazzo nel giornalismo reggino tirato per la giacchetta nell’inchiesta, visto che nelle pagine dell’istruttoria – soprattutto nelle lunghe informative della polizia e nella massa di intercettazioni – circolano diversi nomi di giornalisti a volte protagonisti, altre volte “vittime” delle pungenti ironie o critiche attenzioni di alcuni degli inquisiti. Per chi volesse approfondire la faccenda del mensile “Il dibattito” trova qui lo scritto del giornalista e autore Pantaleone Sergi.
La traccia giornalistica, e anche sociologica, che ricavo da quella vicenda esclude, qui in Basilicata, qualsiasi riferimento alle mafie, ma è applicabile come spunto di riflessione ad altri, seppure legittimi, poteri. E questo per una evidente analogia del metodo adottato da alcuni media che tutelano e difendono vasti interessi, anche questi legittimi, ma oltre i confini del giornalismo. Soprattutto in questi mesi in cui abbiamo assistito a inediti episodi che hanno suscitato un qualche scalpore nell’opinione pubblica. Penso ai curiosi intrecci tra dirigenti di enti pubblici e imprese editoriali, alle “amicizie” tra imprenditori, editori e esponenti di partito e delle istituzioni. Penso alle polemiche sull’intitolazione di spazi pubblici a personaggi discussi. Penso all’evento Gran Galà della Comunicazione in cui è andata in scena la rappresentazione plastica di un sistema di potere trasversale i cui esponenti si sono esibiti in spot pubblicitari a favore di un Gruppo Editoriale tra l’altro, a quanto pare, formalmente inesistente.
Nell’analizzare il linguaggio di una delle testate del Gruppo, ossia il giornale in Pdf distribuito gratuitamente, “Le Cronache Lucane”, colpiscono la carenza di tecnica professionale, la ricchezza di omissioni e di adattamenti soprattutto quando alcuni articoli hanno come bersaglio persone non gradite all’editore o non gradite ai poteri di cui l’editore si fa portavoce. In questi casi, la testata si presenta molto simile a un giornale di partito, con un linguaggio da libello, o da comizio e da arringa”. Insomma, a tratti – questa è la mia modesta opinione – siamo di fronte “all’invettiva come modello di scrittura.”
Questo modello di scrittura diventa strumento necessario per “aggredire” mediaticamente i nemici di un pezzo di potere e per favorire gli amici di quel potere e i suoi stessi esponenti. Uno strumento necessario che potrebbe servire anche a persuadere il bersaglio ad accordare benefici all’editore o a chi per esso.
In questo contesto si verifica una saldatura tra poteri economici-politici-istituzionali-burocratici- imprenditoriali-mediatici a tutela di interessi reciproci di diversa misura. Una saldatura che raggiunge il livello maturo di reciprocità in un simbolismo che punta a fornire un modello d’interpretazione della realtà che renda normale l’anormalità della presenza di imprenditori, politici, forze dell’ordine, colletti bianchi e altri esponenti delle istituzioni alla “corte” di un editore”. Attraverso la narrazione mediatica il tentativo è di imporre nella percezione pubblica quella realtà.
Ci è parso di capire che il patron del cosiddetto Gruppo Cronache intenda organizzare la sessione estiva del Gran Galà andato in scena il 23 dicembre scorso. Staremo a vedere se la saldatura tra quei poteri si sarà sciolta, almeno in apparenza, o se ci troveremo di fronte a una manifestazione di arroganza che non potrà non suscitare ulteriori preoccupazioni in quella parte dell’opinione pubblica dotata di senno.
Intanto, Giuseppe Postiglione ha prodotto istanza di mediazione civile nei confronti del sottoscritto e di Giusi Cavallo. Ha chiesto 100mila euro di risarcimento danni per diffamazione a mezzo stampa. Si è sentito diffamato dai nostri editoriali, dalle nostre inchieste e dai comunicati stampa da noi pubblicati a firma di altre organizzazioni civiche, politiche e sociali che contestavano l’intitolazione a Bonaventura Postiglione di uno spazio pubblico della città di Potenza.
Noi al primo, e ultimo, incontro di mediazione, chiuso con esito negativo, ci siamo andati per spiegare le nostre ragioni. E soprattutto per confrontarci con Giuseppe Postiglione. Ma lui non si è presentato, sostituito da un avvocato con procura speciale. Peccato, avevamo tante cose da dirci, tante domande da ribadire a cui non ha mai risposto. Davvero un peccato.
©Riproduzione riservata