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Stellantis Melfi: “Qui un giorno di lavoro stanca come 30”

27 gennaio 2025 | 15:54
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Stellantis Melfi: “Qui un giorno di lavoro stanca come 30”
Stabilimento Stellantis Melfi

Un operaio dopo una settimana “all’inferno” del Montaggio. “La sera torni a casa con le braccia rotte. I capi chiamano solo chi regge questi ritmi. Tutti gli altri li lasciano a casa, tanto la Cassa la paga lo Stato”

“Ho letto sul vostro giornale che molti operai si lamentano perché non vengono chiamatie che chiamano solo i privilegiati, ma vi assicuro che non è così, ho lavorato tutta la scorsa settimana e vi spiego come funziona”. Inizia così la lunga chiacchierata con un operaio Stellantis di Melfi che non ci sta a passare per “lecchino” dei capi. Tutt’altro. “La scorsa settimana – chiarisce – ho lavorato quasi tutti i giorni, toccava al mio turno, ma alcune volte mi chiamano anche nelle altre settimane, sull’altro turno, non certo perché sono benvoluto. Ai capi interessa solo chi produce. Chiamano solo i top player”. Per chiarire il concetto, fa un esempio concreto. “Al Montaggio, sulla mia linea, siamo una sessantina, ma la scorsa settimana eravamo poco più di 10 al lavoro. Chiamano solo chi riesce a fare 2 o 3 postazioni. La scelta ricade su chi garantisce queste prestazioni, il resto sono chiacchiere”.

Su come siano peggiorate le condizioni di lavoro e sui ritmi, però, ammette: “La velocità è più bassa, 160 auto a turno, ma comunque è un inferno: le operazioni da fare sono sempre più complicate, più lunghe. Ora si lavora su Renegade, Compass e sulla nuova Ds8, in più partirà la nuova Compass e ci sono 5mila ordinazioni di 500x su cui lavoreremo a breve. Ad ogni modo vi assicuro: “Non ti fermi un attimo neanche per bere”. Talmente tante e complicate le operazioni da fare sul Montaggio che “pur essendo allenato, la sera, dopo il turno, le braccia sono a pezzi. Puoi mettere il Voltaren, ma non risolvi niente, la notte le braccia ti si addormentano”.

Tra di loro, i pochi operai che scendono sulla linea, a fine turno scambiano opinioni. “Qualcuno scherzando dice che un giorno di lavoro vale per 30, per la fatica e la stanchezza che si prova, e ha ragione”. Così, in molti, dopo essere scesi un giorno “chiedono a i capi di rimanere a casa, perché non ce la fanno a seguire il ritmo”. Ed eccoci al nocciolo della questione. “Per quello che si guadagna in più a fare qualche giorno sulla linea, in molti al Montaggio preferiscono rimanere a casa in Cassa integrazione, portando così a casa 1200 euro, piuttosto che sottoporsi a turni sempre più duri in cui devi coprire 2 o anche 3 postazioni. Oppure fanno un giorno e si arrendono”. In sintesi, quindi, vista coi suoi occhi, la scelta dei capi e dell’azienda sarebbe chiara: “La rotazione non c’è più, l’azienda preferisce lasciare in Cassa integrazione la maggior parte delle maestranze, tanto paga lo Stato, mentre sulla linea chiama solo chi davvero se la sente di tenere quei ritmi infernali”. A conferma delle sue parole aggiunge anche un dettaglio: “Tra i pochi che vedo sulla linea, donne non ce ne sono quasi più, perché è talmente veloce, fisico e complicato tenere le postazioni, che evidentemente partono svantaggiate e faticano molto di più a tenere il passo”. Queste le sue verità, tirate fuori dai denti. Inoltre aggiunge: “Io spero che non mi chiamino più, ma vi garantisco, non è affatto bello rientrare a casa con le braccia a pezzi. Sono questi i ritmi che ti impongono”.

Ma allora, gli chiediamo, perché non rivolgersi ai rappresentanti sindacali per denunciare come vanno le cose? “E’ già stato fatto – assicura – i sindacati chiamano il capo (supervisor, ndr), che a sua volta viene sulla linea, dice che le postazioni si posso fare e il giorno dopo non cambia niente. Punto e a capo. Quindi si fatica, a testa bassa e si tira avanti”. E “anche dopo che avrete scritto questo articolo – si dice convinto – cambierà poco. Continueremo a lavorare esattamente allo stesso modo, e chi non ce la fa resterà a casa. Altro che rotazione”.