Operaia Stellantis: “Con queste auto elettriche moriremo di fame”

15 gennaio 2025 | 16:03
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Operaia Stellantis: “Con queste auto elettriche moriremo di fame”
Foto di repertorio

Parla una lavoratrice di Melfi che non va in fabbrica da oltre un mese. “Perché i sindacati non verificano chi viene chiamato dai capi a lavorare e chi no. Loro possono farlo. E invece niente”

“Genzano, Banzi, Palazzo San Gervasio, Ripacandida: fatevi un giro, per strada non c’è più nessuno, solo negozi chiusi e deserto”. Inizia così il racconto di una lavoratrice del Vulture, operaia Stellantis, la quale stigmatizza una tendenza: “In molti si stanno licenziando dalla Fiat (ex, ndr) per andarsene o per seguire i figli che studiano o lavorano altrove”. Una tendenza tangibile, unita al calo produttivo del più grande sito lucano e alla transizione all’elettrico. “Qualcuno ci dovrà spiegare perché l’Europa si sta impuntando mentre la Cina e l’America fanno che vogliono loro, solo noi tra un po’ moriremo di fame”. Tradotto: i sette nuovi modelli che si inizieranno a produrre a Melfi da quest’anno, di cui tre ibridi, stanno facendo segnare il passo allo stabilimento un tempo fiore all’occhiello della produzione italiana.”Personalmente non mi chiamano in fabbrica da oltre un mese -spiega, affranta – non ho un calendario sicuro e quello che so, lo so perché me lo dicono i colleghi che stanno andando al lavoro”.

Quest’anno, ad esempio, il grande enigma, che a lei pare “un bluff”, è legato ai calendari e ai turni. “Quello che si è capito è che ad oggi, nelle giornate segnate in verde, si producono 160 auto, un solo turno e con la stessa forza lavoro, o quasi, dello scorso anno”. Cosa vuol dire, in soldoni, è presto detto. “Vuol dire che con gli stessi operai si producono ancora meno auto, quindi la Cassa integrazione aumenterà e saranno ridotte ancora di più le giornate operative. Saranno ridotte all’osso. E gli stipendi saranno sempre più alla fame”. Non solo. C’è sempre chi è “più uguale degli altri” però. “Non si è capito, ancora una volta, in base a quale logica qualcuno continua a lavorare, anche quelle poche giornate segnate ‘verdi’, mentre qualcun altro è costretto a stare a casa, senza un perché e senza una spiegazione”.

Una rotazione sui turni “approssimativa”, per usare un eufemismo. “I sindacati, se veramente volessero fare gli interessi dei lavoratori, dovrebbero verificare in azienda chi scende e chi no. Dovrebbero chiederne conto ai capi. E invece niente”. “Invece niente” vuol dire che l’inizio dell’anno appare ancora più oscuro e impenetrabile di quello precedente, che pure era stato battezzato come l’annus horribilis per Melfi, con un calo produttivo pari al 63% rispetto al 2023. “E invece niente”, vuol dire pure che al di là delle poche giornate di lavoro “è sempre più guerra tra poveri” e chi non lavora neanche un giorno si sente penalizzato anche rispetto al collega che qualche giorno in più lo fa e non è costretto quindi a soli “1200 euro al mese”, che è la paga di chi non lavora affatto o fa solo 2 giorni al mese.

Guerra tra poveri e disperazione. In molti, tra gli operai, ormai camminano tra i paesi col capo chino. Poca voglia di parlare. Un senso di vuoto. Un’onta non cercata. “Invece bisogna parlarne”, rilancia la lavoratrice puntando l’indice contro chi finge ancora di non vedere. “I sindacati verificassero chi lavora e chi no a Melfi, in base alle postazioni, alle limitazioni e ai parametri che ben conoscono”. Infine, con lo sguardo rivolto all’Europa: “Il 5 febbraio ci sarà uno sciopero a Bruxelles, contro la deindustrializzazione, perché con queste nuove regole su elettrico e transizione energetica, ci moriremo di fame”.