In Basilicata il Partito Democratico è sull’orlo del fallimento politico
Un partito confuso e nello stesso tempo abitato da “cacicchi” capaci di tutto tranne che di guardare con passione politica e umana all’interesse generale dei lucani. C’è una “verità nascosta”
“Sembrava di essere alla presentazione di un libro noioso invece che all’assemblea regionale del Pd”, lunedì scorso nel teatro Don Bosco a Potenza. La sala grande sarebbe stata scelta perché qualcuno si aspettava la partecipazione di almeno la metà dei 300 invitati. Delusione: erano all’incirca una quarantina, forse meno. Eppure, sono 103 i componenti l’Assemblea regionale, 58 i membri della Direzione, oltre 100 i segretari di sezione, 40 i sindaci riconducibili al partito, due parlamentari, un presidente di Provincia.
A guardare questi numeri sembra che il Partito Democratico di Basilicata si sia trasformato in una specie di confraternita, tra l’altro litigiosa, in cui i soliti predicatori se la cantano e se la suonano tra di loro. Il potere contro la partecipazione. In sala non c’era il Pd come ce lo raccontano i suoi esponenti locali, c’era un partitino sull’orlo del fallimento politico sancito dall’indifferenza e dal disinteresse della sua stessa base. Un partitino che ha perso il controllo e il contatto con la società lucana. Un ring su cui si combattono a suon di ipocrisie, di interessi, di inganni reciproci, i soliti generali senza esercito. Ma veniamo ai contenuti. Quei pochi che c’erano hanno discusso e in qualche modo deciso qualcosa: gli assenti hanno sempre torto. Il segretario regionale, ancora per poco, Giovanni Lettieri, ha provato a rilanciare. Egli stesso ha lamentato la scarsa coesione del gruppo dirigente, confessando un senso di solitudine. Infatti oggi Lettieri non ha una maggioranza a sostenerlo nel suo ruolo. A volerlo mantenere in sella ci sono Vito De Filippo e Roberto Speranza. Quest’ultimo, però, farebbe il doppio gioco, avendo in mente un altro nome, Carlo Rutigliano. Tutti gli altri sono tra il ni e l’opposizione chiara a Lettieri. Sul fronte materano è meglio stendere un velo pietoso.
Oltre i diplomatismi del linguaggio politico tipico dei Dem, fuori dai denti si è capito che cosa succederà a breve. Intanto si farà un congresso che servirà a mettere sul tavolo del confronto (o dello scontro?) le tessere, ossia il numero di “azioni” possedute dai gruppi di scalata alla segreteria del partito. Si discute di congresso, di segretari provinciali, di un possibile documento unitario che nessuno vuole firmare, di liste civiche e dei danni provocati dal civismo “taroccato”. Non si parla di politica, ossia di crisi della partecipazione, della morte dell’attivismo, della sonnolenza delle sezioni, quelle rimaste ancora aperte. E nessuno dei leader del Partito in campo dai tempi della fusione fredda e senz’anima con la Margherita, sembra accennare a un minimo di autocritica circa le responsabilità di questa situazione.
Un Partito senza un’idea di Basilicata, incapace di costruire un’alternativa vera a Vito Bardi, confuso e nello stesso tempo abitato da “cacicchi” capaci di tutto tranne che di guardare con passione politica e umana all’interesse generale dei lucani. Di questo passo, il centrodestra regionale sarà destinato a vivere altri sonni tranquilli, nonostante i gravi errori di gestione e l’approssimazione politica esibiti in questi anni. Purtroppo, e questa è la “verità nascosta”, un Partito che tra i suoi dirigenti ha ancora coloro che hanno “rovinato la Basilicata”, difficilmente può diventare un’alternativa credibile alla destra. Questa verità dovrebbe essere al centro del dibattito pubblico dentro il partito. Il problema è che non c’è il pubblico (assemblea praticamente disertata) né il coraggio di affrontare la questione. Intanto, si tira a campare. E ognuno disegna il proprio futuro personale, in vista delle prossime elezioni e delle prossime postazioni. Ignorando che la Basilicata è proprio di loro che non ha bisogno.