Sulle note di ‘Bella ciao’, una folla commossa ha applaudito il tenente Di Bello. “Avessimo dato più retta ai generosi, e meno ai cinici, sarebbe andata meglio per questa terra…”
“Avessimo dato retta più ai generosi e meno ai cinici, forse sarebbe andata meglio, per questa terra”. Queste parole, pronunciate, in chiesa, durante l’ultimo saluto a Peppe Di Bello, da parte di uno dei suoi 4 figli, suonano come monito futuro, ma anche come un atto mancato e (non volendo) anche come una sonora beffa. Giù applausi scroscianti, sentiti, veri, per la folla accalcata per per dare l’ultimo saluto “all”eroe”, al “generoso”,”testardo”, “caparbio” tenente della polizia provinciale (così era conosciuto nonostante poi fosse diventato maggiore) che ha dato tutto se stesso per le cause (non solo) ambientali della Basilicata. Un pezzo di storia ‘lunga’ ha seguito il feretro dall’abitazione del tenente fino all’estremo saluto.
“Questa canzone me l’ha insegnata mio padre quando avevo 3 anni”, ha detto una delle sue due figlie, mentre dietro il corteo che lo accompagnava in chiesa, è partita, emozionante, ‘Bella Ciao’. “E questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà”, si sente intonare lungo il corteo, con un acuto, che pareva di vederlo, Peppe, in una delle sue tante arringhe sociali che in molti ricorderanno. Viene in mente la battaglia ‘prima’ per cui si è speso, quella contro il controllo della Basilicata da parte delle compagnie petrolifere, Eni Total, la corruzione e la malapolitica. Mai un passo indietro da parte sua, anche quando ci avrebbe rimesso molto, in termini personali, familiari. Compreso un periodo di (quasi) isolamento sociale vissuto da “mummia” al museo Provinciale, per usare parole a lui care. Gli scarichi di Teconoparco, i pozzi e le nuove richieste di Eni, il Pertusillo, i fanghi radioattivi di Tito. “No a nuove trivellazioni”. Questo il senso solo di alcune delle battaglie che lo hanno reso noto in questi anni, molto spesso in rete, spesso al di fuori di quella che è l’informazione ufficiale, filo governativa, filo qualcosa. Peppe era filo nulla, a petto scoperto combatteva contro quelle che riteneva ingiustizie perpetrate dai più ricchi e potenti ai danni di un popolo che ha sempre amato e rappresentato col carisma del generale, più che del tenente.
Le cause rimaste in piedi, la costituzione di parte civile contro il presunto “disastro ambientale” di Eni. Sempre nemici più grandi contro cui battersi ed esprimersi. Non ultima la battaglia urbanistica nel cuore di Potenza. “Grazie Peppe”, è ciò che oggi si trova impresso nei manifestini funebri fatti affiggere da amici, associazioni. “Peppe aveva due famiglie”, è un’altra espressione che si sentiva pronunciare stamani. Già, perché oltre alla famiglia sua, propria, di sangue, animava, e ispirava, una famiglia molto più ampia, la “Lucanità”, intesa questa volta non come tentativo di appisolarsi al sole degli interessi propri, ma come voglia di riscatto, come forza che muove e agita il cuore a quei lucani che continuano a credere che ci sia un punto di demarcazione tra bene e male. Tra interessi e bene pubblico. Ecco, è a costoro che è dedicato l’esempio di Peppe. A non perdere di vista quella linea. Che a far carriera e utilizzare il prossimo, c’è già chi ci pensa.
La Basilicata perde un pezzo importante, che resterà nel Pantheon dei personaggi pubblici che hanno combattuto fino all’ultimo respiro le battaglie civili, per l’acqua pubblica, per i diritti ad essere cittadini consapevoli. “Si è chiuso un ciclo”, vociferava qualcuno, sempre stamani, davanti la chiesa dell’Immacolata, a Potenza. Già, ma speriamo che il ciclo non si sia chiuso invano. Questa sì che sarebbe l’ennesima beffa. Grazie Peppe!