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“A Savoia di Lucania le donne tornano in panchina”

25 novembre 2024 | 17:06
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“A Savoia di Lucania le donne tornano in panchina”
Scorcio di Savoia di Lucania

Oggi, unico Comune nella valle del Melandro e tra i pochissimi in Basilicata, in cui la possibilità di un’affermazione di pari dignità politica per genere è stata negata

Di seguito la lettera al direttore di Fabio Faggi, cittadino Savoia di Lucania sull’assenza di donne in giunta comunale. 

Egregio Direttore, Le scrivo approfittando del suo tempo e della sua attenzione per segnalare a lei (che, magari già la conosce) alle sue lettrici ed ai suoi lettori, una grottesca evoluzione che, nel mio piccolo paesino, sta avendo quella che, per comodità, definiremo “vicenda quote rosa”. Come i pochi casi assunti alla “ribalta” addirittura nazionale (fino alle interrogazioni parlamentari) anche Savoia di Lucania, località da cui le scrivo, ha visto la propria amministrazione andare in deroga a quella vincolante indicazione del Testo Unico per l’Ordinamento degli Enti Locali che voleva, pure in comuni al di sotto dei 3000 abitanti, una ripartizione più equa della rappresentanza all’interno delle proprie giunte. Ciò che si richiede, infatti, non è una forzata “supremazia” dell’uno sull’altro ma, semplicemente, la presenza di entrambi: nulla di così trascendentale o di complicato. Normativa di semplice applicazione, sembrerebbe. Ecco: sembrerebbe…Diciamo che “sembrare” è un po’ il concetto base di ciò che sta accadendo, ma torniamo al racconto dei fatti: come detto, a questa regola, ci si è detti costretti ad andare in deroga. A ciò che sembra, le uniche due donne presenti in consiglio per la maggioranza (altre due, ce ne sono, ma tra le fila della minoranza: due su tre consiglierə elettə, per la precisione) si sono dette indisponibili a ricoprire il ruolo. Che sfortuna! Insomma, tra le altre indicazioni ci sarebbe quella dettata dal buon senso che porterebbe ad indagare le disponibilità già in fase di presentazione di una compagine atta ad amministrare e non a fare fronte alle questioni con l’atteggiamento del “giorno per giorno” ma tant’è: se non è stato fatto, allora pazienza, in caso contrario, appunto, mera sfortuna! Ma andiamo avanti.

Da una serie di manifestini per “iniziative di piazza” capita di leggere, però, di deleghe attribuite alla platea consiliare anche in assenza della carica assessorile. Tutto bello, tutto giusto: un’evoluzione dell’uno vale uno che dà la misura, per chi non dovesse accorgersene, di quanto tuttə valgano qualcosa però… però una delega che non sia per prestigio da manifesto imporrebbe studio, applicazione, valutazione e competenza: esattamente ciò che si richiede ad un assessore o una assessora lasciando fuori proprio quella parte di “potere” e possibilità che ne discende. Una trasposizione dell’antico concetto per cui “a casa comanda mia moglie ma il capofamiglia sono io”. Triste, triste davvero. Triste davvero ed ancora di più pensando alla nostra storia locale che ci vede interpreti, nel passato più prossimo, di un assoluto protagonismo femminile nelle passate giunte vedendo una donna affermare la sua presenza ai massimi livelli (come sindaco o vice). Storia passata, appunto. Oggi questo non è più possibile.

Oggi, unico Comune nella valle del Melandro e tra i pochissimi in Basilicata, la possibilità di un’affermazione di pari dignità politica per genere è stata negata. Negata in maniera disarmante e disarmata. Nulla per farvi fronte, nulla per porvi rimedio: nessun tentativo. Piuttosto l’impressione di un’accettazione felicemente supina di una situazione utile a non intaccare gli equilibri di potere, di “maschio” potere, interni alla maggioranza. Si sarebbe potuto provvedere diversamente? Sì. Si sarebbe potuto cambiare il regolamento interno per poter richiamare un’assessora esterna? Probabilmente. Ci sarebbero state donne pronte ad assumersi questa responsabilità e vicine alla attuale maggioranza? Questo, considerato il silenzio rispetto alla vicenda, non saprei dirglielo ma, come per don Abbondio, vale l’adagio “il coraggio, chi non ce l’ha, non se lo può dare”. Oggi, indicativamente, a supplire a questo vuoto ci è stata data una panchina: una panchina rossa.

Beh, in realtà, si tratta di una ulteriore panchina, atteso che ve n’è già una e dal 2018 e, quindi, il dubbio si tratti di un mero tentativo di captatio benevolentiae voluto e volto unicamente a dissimulare in maniera, francamente, anche maldestra, la gravità di una scelta quale quella di abdicare al proprio ruolo per favorire uno o più uomini appare più che legittimo. I più moderni parlerebbero di pinkwashing, a noi basta sottolineare l’ipocrisia. Un simbolo: quella panchina è il simbolo di un posto che una donna lascia vuoto in seguito ad un femminicidio, il rosso simboleggia il sangue che quella donna ha versato. Per noi, purtroppo, sarà anche altro: diventerà, con massimo dispiacere, il simbolo che le donne oggi occupano nella nostra piccola realtà e il disagio di dover assistere, ancora una volta, a molte parole e pochi fatti. Ecco, noi preferiamo lo splendido brocardo: “Rem tene, verba sequentur”.

Risposta.Gentile Fabio, purtroppo non sempre la storia fa passi avanti ed è questo il motivo per cui bisogna impegnarsi quotidianamente a scardinare quelli che lei definisce “gli equilibri di maschio potere” che siano essi all’interno di una maggioranza consiliare o più semplicemente in un contesto familiare. E parlarne, come lei fa in questa sua lettera, è già un passo avanti per demolire quell’idea, che ancora resiste in talune realtà territoriali, secondo cui le donne possono o non possono fare qualcosa. Michele Finizio