Stellantis, Melfi: “Lo sciopero del 18 ottobre non serve a nulla”
La pancia operaia esprime ‘ritrosia’ verso una protesta ritenuta tardiva. “Come a Santa Chiara, dopo rubato, mettono le porte di ferro”, ironizza un lavoratore del Montaggio
“Ma mi devi spiegare a cosa serve lo sciopero del 18 ottobre. Nel 2004 abbiamo bloccato la fabbrica per 21 giorni e forse allora aveva un senso, ma oggi?”. A parlare è un operaio Stellantis di lungo corso che sa bene cosa sia la disillusione. “Se quell’esperienza di 23 anni ci portò se non altro a sconfiggere la doppia battuta (due settimane a fila di notte, n.d.r.) e ad aumentare le maggiorazioni su quel turno dal 40 al 65%, oggi, invece, sembra davvero di essere giunti alla fine della corsa”. Si guarda indietro il lavoratore, fieramente “non sindacalizzato”. E ci tiene a precisarlo. “Di passare ai sindacati l’obolo mensile non ci penso proprio, ma guardate che cosa hanno combinato in questi anni i nostri rappresentanti”. E attacca: “Vi ricordate il 2014 – aggiunge – quando si ballava ‘happy’ sulla linea e poi col job act Renzi ci tolse l’articolo 18? Sì, proprio quei colleghi che ballavano felici nel video, la maggior parte si sono licenziati con l’incentivo, se ne sono andati tutti, quasi tutti”. È un’ironia sottile e tagliente la sua, che guarda in faccia quella, che, dal suo punto di vista, è la realtà.
“Oggi – prosegue – e siamo al 2024, ognuno pensa solo ai fatti suoi, nessuno è più ‘happy’ e non c’è più alcun collante che ci tiene uniti”. E’ immediato il riferimento al “gioco” sindacale degli ultimi 4 anni, cioè dall’avvento (fusione) in Stellantis. “Quando ci lamentavamo che stavano smantellando una linea, capi e sindacati ci dicevano che non dovevamo preoccuparci, che non c’erano esuberi, né problemi”. E dopo, le cose, sono andate proprio nel senso opposto. “Nel 2021, di preciso a giungo – osserva – i sindacati hanno iniziato a firmare gli incentivi con l’esodo, destinati inizialmente, e per assurdo, proprio ai ‘giovani’ da poco entrati, cioè il futuro dell’azienda, e i sindacati hanno firmato, senza dire nulla, senza opporre resistenza”. Dopo, a sentire le sue parole, tutto è venuto da sé. “Continuavano a smantellare una linea, davanti ai nostri occhi, lasciandoci lavorare ammassati su una sola, e anche lì i sindacati, non hanno detto niente. Hanno lasciato fare”. Il passaggio successivo, è stato lo “smembramento” delle settimane lavorative. “Ricordate quando iniziavano a mandarci i messaggini, dall’oggi al domani, cancellando e riformulando le giornate lavorative? E dov’erano i sindacati? Ci mandavano i messaggi secondo quanto diceva loro l’azienda. Mai una protesta, se non di facciata”. Poi tutto un processo di “degenerazione” delle condizioni lavorative. “Vi ricordate quando ci obbligavano, o quasi, alle trasferte a Pomigliano? Ebbene, anche in quel caso, capi e sindacati, precisamente, cosa facevano?”.
E’ sempre più duro il suo attacco. “Noi sulla linea, e loro coi permessi sindacali, a lavorare sempre meno e a imporre a noi ritmi sempre più accelerati, con le auto ibride, più complicate da assemblare, e su postazioni con sempre meno operai e con operazioni sempre più complicate da portare a termine in minor tempo”. E anche in quel caso “il ruolo dei sindacati era praticamente assente, o al massimo accondiscendente nei confronti dell’azienda”. Un passo alla volta, si è passati poi a togliere il turno di notte, che è quello che frutta qualcosa in più, in busta paga. “E anche in quel caso, dov’erano i sindacati, dov’è la lotta che hanno fatto?”. Infine giungiamo al presente. “E’ un anno e più che lavoriamo 4 giorni al mese perché il passaggio all’elettrico è complicato quindi dobbiamo pagare pegno e stringere i denti, ma verso quale futuro ancora non si è capito”. In soldoni però, e aggiunge, “siamo passati dal produrre auto da 10 mila euro ad auto come la Ds, che costano 60mila e più, un’enormità”.
In questo cambio di prospettiva, a suo avviso, “il ruolo di chi doveva rappresentarci si è limitato a quello notarile di chi fa il passacarte della proprietà”. Un gradino alla volta si è “precipitati” nel burrone. “Nessuno lavora più con interesse, nessuno sa più quando lavorerà e ogni giorno deve farsi il segno della croce sperando nella prossima giornata lavorata. E prima o poi, arriveremo a lavorare solo su un turno, oltretutto la mattina, che costa meno all’azienda”. E arriviamo così allo sciopero romano previsto il 18 ottobre, su cui si sta muovendo con vigore la piattaforma sindacale. “Ora ci chiedono di essere presenti perché ne va del nostro futuro. Ma perché lo fanno proprio ora che tutto sembra al capolinea e non ci sono più prospettive?”. E poi recita la classica battuta, l’operaio, che tanto circola negli ultimi mesi. “Come al monastero di Santa Chiara, dopo che hanno rubato, ci mettono le porte di ferro”.
Il motto è ben noto. E ciascuno può trarne il valore simbolico che crede. “Dopo tutta l’assenza di questi anni, dei sindacati, rispetto a vicende fondamentali, ora, pensare che la protesta a Roma del 18 possa cambiare qualcosa, è davvero da ingenui. Perché non hanno bloccato la produzione mentre ci toglievano una linea, ma credono davvero che siamo così sprovveduti?”. Questo il comune sentire dell’operaio semplice. Che sia giusto, o sbagliato, è pur sempre un sentiment piuttosto diffuso. E il punto centrale, resta. “Andare a srotolare le bandierine a Roma senza una strategia e senza un’idea di futuro, ma ci volete spiegare a che diavolo serve?”. Così chiude il lavoratore con cui abbiamo parlato. Ma cosa ne pensano invece ‘gli altri’ lavoratori Stellantis, sulla chiamata sindacale alla mobilitazione? Il dibattito (in toni pacati e civili) è aperto.