La delocalizzazione dei CPR in Albania e il comportamento ambiguo dell’Italia

13 ottobre 2024 | 12:42
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La delocalizzazione dei CPR in Albania e il comportamento ambiguo dell’Italia

Un accordo discutibile e carico di terribili incognite. I dubbi della Corte di Giustizia UE

La delocalizzazione dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) dall’Italia all’Albania è un’operazione che solleva serie preoccupazioni e indignazione. Questa mossa, oltre a rappresentare un problema legale ed etico, si configura come un allontanamento strategico delle strutture dai riflettori delle associazioni e degli avvocati che finora hanno denunciato le gravi violazioni dei diritti umani nei CPR italiani. Un atto che appare come un tentativo di ridurre la trasparenza e di eludere la responsabilità.

I CPR italiani sono stati a lungo al centro di denunce per maltrattamenti, sovraffollamento e condizioni inumane, con indagini giudiziarie che hanno evidenziato abusi sistematici. Invece di affrontare seriamente queste problematiche, l’Italia sceglie di spostare queste strutture in Albania, allontanando così i migranti dai luoghi dove sono stati finora sotto l’attenzione vigile di chi ha a cuore il rispetto dei diritti umani. Questo rende ancora più difficili i controlli, creando un ambiente dove le violazioni rischiano di moltiplicarsi senza essere adeguatamente documentate.

E mentre tutto questo accade, il governo italiano decide di impegnare circa 120 milioni di euro all’anno in questo progetto. Una cifra che potrebbe essere investita molto meglio: in politiche di integrazione, in strutture di accoglienza dignitose, in programmi che offrano reali prospettive di inclusione. Solo con un approccio serio e inclusivo si può garantire una vera sicurezza sul territorio italiano, non certo con politiche repressive che scaricano il problema oltre confine.

L’aspetto più sconcertante di questa vicenda è il modo in cui l’Italia si sta comportando con l’Albania. Un Paese amico, con cui avrebbe potuto collaborare su temi economici o strategici importanti, viene invece sfruttato in nome di un accordo che solleva numerosi dubbi. Non è difficile pensare che, dietro questo trattato, ci siano promesse implicite di un’accelerazione nel processo di integrazione dell’Albania nell’Unione Europea. È una strategia che solleva interrogativi etici, poiché invece di promuovere una vera collaborazione, si approfitta di una nazione amica per spostare altrove problemi che l’Italia non vuole o non sa gestire direttamente.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è già espressa chiaramente su questo tipo di operazioni, affermando che non è possibile considerare sicuro un Paese solo per determinate categorie di migranti. Questo mette in discussione l’intera legittimità dell’accordo con l’Albania, rendendo evidente che tali manovre non possono più essere tollerate nel contesto europeo.

In sintesi, l’operazione di delocalizzazione dei CPR è una scelta sbagliata, costosa e moralmente discutibile. L’Italia dovrebbe assumersi la responsabilità delle persone che arrivano sul suo territorio, investendo in integrazione e nel rispetto dei diritti umani. Scegliere di allontanare questi centri dall’attenzione pubblica non risolverà i problemi, ma rischia di perpetuare abusi e violazioni su persone che già fuggono da situazioni di estrema vulnerabilità.

Dobbiamo alzare la voce contro questa operazione che disumanizza e sfrutta esseri umani e Paesi amici. È tempo di dire basta a queste politiche che non portano altro che sofferenza e ingiustizia. Questa non è la strada per affrontare la migrazione, e dobbiamo fermarla, prima che sia troppo tardi. Enzo Briscese- Attivista