Agricoltura, in Basilicata nel 2024 crolla l’occupazione

28 ottobre 2024 | 12:12
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Agricoltura, in Basilicata nel 2024 crolla l’occupazione

Simonetti (Cseres): A 60 giorni dal termine dell’annualità monitorata, risultano assunti solo 36.139 lavoratrici e lavoratori. Si tratta di 22.785 avviamenti in meno rispetto all’anno scorso

La crisi occupazionale in Basilicata non riguarda solo le attività manifatturiere, l’edilizia e i servizi. Nel comparto agroalimentare la situazione è peggiorata molto, neanche nel periodo della pandemia furono registrati tali crolli nelle assunzioni. Nel 2023 sono stati assunti, secondo i dati comunicati dal servizio informatico Basil, circa 58.924 braccianti e qualche tecnico, quasi tutti a tempo determinato. Nel 2024, a sessanta giorni dal termine dell’annualità monitorata, risultano assunti solo 36.139 lavoratrici e lavoratori. Si tratta di 22.785 avviamenti in meno rispetto all’anno scorso. Un vero crollo. I dati ufficiali raccolti in tempo reale non tengono conto del lavoro nero che è aumentato rispetto al 2023. Le ragioni sono collegate alla crisi idrica, alla resa produttiva e contestualmente, in termini minori, agli esiti della mancata accoglienza dei lavoratori stagionali nel Bradano e nel Metapontino. Non accadeva dal 2014.

Nessuna struttura di accoglienza è stata organizzata dalla Regione a seguito del fallimentare avviso andato deserto due volte. Almeno 400 migranti nel Bradano sono stati “consegnati” ai caporali e ammassati nei ruderi. Circa mille stagionali nell’area metapontina sono stati costretti a vivere nei ruderi e sotto i ponti. Nel 2023 furono 18.540 i migranti extracomunitari assunti, solo 12.012 in questo anno. Per quanto riguarda la componente femminile: 20.587 le donne avviate nel 2023 e solo 13.261 nel 2024. Un dato allarmante. Al momento nessuna iniziativa è stata presa dalla Regione e dalle Prefetture per organizzare l’accoglienza tenuto che che in alcune aree la stagionalità è lunga anche 9 mesi.

Allo stato ci sono i seguenti organismi preposti alla lotta al caporalato, alla lotta al lavoro nero e per gestire l’accoglienza: due Comitati territoriali nelle Prefetture, un Comitato Regionale per il lavoro di Qualità, un tavolo Regionale Anticaporalato presso la Prefettura di Potenza. Il Tavolo Regionale Migranti previsto dalla legge 13 del 2016 non viene convocato da anni. Lo stesso vale per l’organismo Regionale dei Progetti Su.Pr.Eme. che ha ricevuto dalla UE oltre 7 milioni negli ultimi 4 anni.

Nel silenzio quasi generale, a parte la componente sindacale che ha più volte chiesto interventi, regna la gestione a cura dell’Ufficio Autonomia e sicurezza della Regione che gestisce risorse, programma interventi o chiude il Centro di Palazzo, il tutto in aperta violazione della Legge Regionale e del Piano Nazionale Anticaporalato. Attualmente sono inutilizzati i due milioni dei fondi Fami che sostenevano l’avviso per 300 posti andato deserto.
A queste risorse occorre sommare un altro milione del nuovo fondo Su.Pr.Eme 3. La Giunta Regionale il 1 agosto scorso ha approvato una delibera senza pubblicare l’allegato con i contenuti progettuali verosimilmente predisposti dal Comitato di Pilotaggio e dal Consorzio Nova per i soliti interventi di integrazione, tirocini formativi, assunzione di esperti, sportelli telefonici e web ma nessuna accoglienza nei centro o abitazioni.

Non solo. Restano bloccati da anni gli interventi finanziati dal PON Legalità per i nuovi centri di Boreano, Gaudiano, Scanzano per 450 posti e servizi.
Il finanziamento complessivo, dopo il rifasamento effettuato dai Rup, è passata da 10 ad oltre 15 milioni. Nel contempo il Centro antiviolenza donne e contro la tratta di Palazzo San Gervasio, finanziato nel 2018 con un milione dal Pon Legalità ed ultimato da tempo, resta inutilizzato. La riunione prevista nella Prefettura di Potenza per lo scorso settembre per verificare lo stato avanzamento degli interventi non è stata convocata. La legge approvata dal Consiglio Regionale per fronteggiare la mancata apertura del Centro di Palazzo risulta non applicata. *Pietro Simonetti, Cseres Centro studi e ricerche economiche e sociali