Autonomia differenziata: Il Bardi pensiero su La7
Il presidente della Basilicata sbaglia su almeno due questioni
E così nella puntata odierna, 4 settembre 2024, di Coffee Break abbiamo conosciuto il ‘Bardi pensiero’ sulla autonomia differenziata che consiste nella definizione di ‘autonomia differenziata temperata’. Cosa voglia dire non l’ho ben capito, salvo a leggerci dietro il solito retaggio cerchiobottista democristiano che evoca il dialogo tra il Conte Zio e il Padre Provinciale (‘due potestà, due canizie, due esperienze consumate’) con il compito specifico di ‘sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire’ sperando che, nella logica della conservazione del potere, nel mentre si ‘rinvii, si ammorbidisca, si svuoti, si rinvii nuovamente’ in modo che un pezzetto dopo l’altro si smonti quello che in quaranta anni con costante determinazione leghista si è messo in piedi verso la secessione di fatto del Paese.
Ma non riuscendo a capire in cosa consista all’atto pratico la ‘temperanza’ auspicata mi permetto di sottolineare al generale Bardi, che di potere e della sua conservazione se ne intende, un paio di errori basici nel suo ragionamento.
Il primo è nella affermazione che questa legge è figlia della conclamata inefficienza di gestione del potere centralizzato. Che sia una falsità lo dimostra il fatto che proprio il governo ‘Autonomista’, come ha ricordato lo stesso Bardi, ha accentrato tutta la gestione del PNRR. E lo ha fatto con ragione perché i fatti dimostrano che dall’avvento delle regioni in poi il divario Nord Sud e le difficoltà del Paese siano aumentati e che la classe dirigente politica regionale, se possibile, è peggiore di quella nazionale al Sud e al Nord. Alcuni esempi. In Veneto ricordiamo il MOSE, Antonveneta, la Pedemontana, le Banche Venete. Disastri maturati in sede regionale di cui però si è preteso, e si pretende, che i relativi costi ricadano sulla comunità nazionale. In Lombardia gli scandali ripetuti nella sanità che portarono all’arresto di Formigoni e la gestione del COVID di Fontana. Sempre in Lombardia la Lega di Roma Ladrona deve allo Stato 49 milioni senza considerare l’affaire della Banca Padana, o l’inchiesta The Family che riguarda il Trota, il figlio del senatur. In Piemonte le spese dell’ex governatore leghista Roberto Cota che fanno il paio con lo scandalo di rimborsopoli in Basilicata e delle ‘cozze pelose’ in Puglia. Insomma l’idea che la classe dirigente locale sappia fare meglio di quella nazionale è tutta da dimostrare e basta vedere come sia andata la gestione della sanità italiana negli ultimi venti anni in cui è stata gestita dalle regioni. In sintesi maggiori costi e minori prestazioni.
E però Bardi da amministratore di una regione meridionale dovrebbe avere contezza delle vere origini di questa riforma che nasce, qui ha ragione, dalla sinistra ma ancora di più da una classe dirigente intellettuale e politica meridionale e nazionale che ha in odio il Sud a cui attribuisce per intero le cause del divario.
Le radici sono nel rito dell’Ampolla, quando il senatur Umberto Bossi, con il codazzo di Borghezio, Calderoli, Maroni, parce sepulto, portava l’acqua delle sorgenti del Po dal Monviso alla Laguna Veneta. Erano i tempi di ‘ammazza un terrone risparmia un milione’, del ‘Canale d’Africa’ dove i coccodrilli mangiavano i terroni che cercavano di attraversarli, di ‘Forza Etna’ delle bandiere d’Italia bruciate nelle piazze, del ‘tanko’ a Piazza San Marco e altre facezie di questo tipo.
A supportare la tesi del divario tra Nord e Sud una pubblicistica anti meridionale che dura da 163 anni ininterrottamente e rafforzata da libri vergognosi come ‘Il sacco del Nord’ di Luca Ricolfi. È qui caro Bardi c’è il vero errore della sinistra quando invece di contrastare questa becera deriva culturale l’allora responsabile economico del PD Emanuele Felice scrisse il libro ‘Perché il sud è rimasto indietro’in cui si sostiene che le ragioni del divario siano esclusivamente di tipo antropologico, che il Nord ha già dato e che ora il Sud si deve arrangiare perché i soldi sono finiti. Questa la premessa della Autonomia differenziata.
Il secondo errore di Bardi, e tutti gli altri presenti in studio, è di non sapere, o di far finta di non sapere, che l’autonomia delle regioni a statuto speciale in Italia (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta) sono storicamente figlie della volontà di contrastare le spinte secessioniste di queste regioni. Addirittura in alcune di queste (Val d’Aosta e Sud Titolo) furono utilizzate come strumento per indebolire le richieste di passare alla Francia o all’Austria.
Il Veneto quando chiede l’autonomia guarda alla spesa pubblica della Val D’Aosta ( circa 36 mila euro anno pro capite) e della provincia autonoma di Bolzano (29 mila euro anno) e i veneti pensano di poter mettere anche loro le mani sul bottino avendo una spesa pubblica di 17 mila euro anno pro capite e questa pretesa la basano anche loro su spinte secessioniste che da quaranta anni si cerca di placare con avvicinamenti successivi verso la secessione che ora viene chiamata Autonomia Differenziata. Però il punto è che il Veneto è troppo grande per ‘comperarlo’ come fatto con il Sud Tirolo e farlo compromette la tenuta dello Stato Unitario e dei suoi conti pubblici. Per non parlare della Lombardia.
Comunque non sempre l’autonomia produce gli effetti sperati, e basta vedere i dati di spesa pubblica in Sardegna e Sicilia (rispettivamente 18 e 15 mila euro pro capite).
E quindi, caro presidente Bardi, il tema vero non è contrastare l’autonomia ma smontare i presupposti culturali che hanno portato a questo punto e capire le vere ragioni del divario Nord Sud su cui più volte mi sono espresso.
La questione che lei invece pare porre è quella di anestetizzare il dibattito, quieta non movere et mota quietare, contando nella impossibilità di determinare e finanziare i LEP. Ma questa volta non può funzionare così e se alla base del dibattito continuerà ad esserci una sorta di ‘pietismo solidale nei confronti del Sud’ senza finalmente affrontare alla radice le vere questioni del divario Nord – Sud, aumentato a dismisura dalla Unità d’Italia ad oggi, avrà perso l’intero Paese e non ci sarà nessuna prospettiva utile con o senza autonomia.