L’Università diffusa: dall’Unibas ai piccoli Comuni

27 agosto 2024 | 17:37
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L’Università diffusa: dall’Unibas ai piccoli Comuni
L'ingresso sede di via Nazzario Sauro a Potenza

Aree interne e spopolamento: mancano gli impulsi utopici verso nuovi orizzonti

In molti atenei italiani si è sviluppata, in vario modo, l’esperienza dell’Università diffusa. In genere si tratta di protocolli di collaborazione con altri attori del territorio: scuole, associazioni culturali e di categoria. Consiste mediamente nell’organizzazione di percorsi tematici aperti a studenti, genitori, cittadini, svolti in spazi esterni alle sedi universitarie. Altre esperienze, come quella di Trapani, riguardano la diversificazione degli spazi all’interno della stessa città in cui ospitare corsi di laurea. In questi casi per diffusa si intende un’articolazione dell’ateneo diversificata sul territorio della città e della provincia: la facoltà di enologia a Marsala, per esempio.

Non abbiamo riscontri di iniziative di Università diffusa in Basilicata. Le sedi, come spesso accade anche altrove, sono concentrate nei due capoluoghi di provincia, Matera, e di regione, Potenza. Nelle sedi di Macchia Romana e Francioso a Potenza si concentrano la maggior parte delle attività didattiche, accademiche e di gestione dell’Ateneo.  Il Campus universitario di via Lanera a Matera ospita alcuni dipartimenti e alcuni corsi, da ultimo la laurea triennale in Design.

Diciamo che all’Unibas di diffuso c’è ben poco. Concentrare tutto in un unico spazio-luogo consente una maggiore tenuta del potere interno e un controllo più forte sul mondo che lo circonda. È una questione di potere, ma anche di risorse.

Se volessimo superare almeno una parte della retorica sui piccoli comuni e sullo spopolamento dovremmo immaginare l’Unibas almeno come università diffusa, il che sarebbe già qualcosa, ma soprattutto e in prospettiva, come un Ateneo diffuso e decentrato. Se sprecassimo di meno le risorse sia quelle destinate all’università da vari canali, sia quelle che affluiscono nella programmazione regionale, potremmo costruire un sistema-rete universitario che coinvolga direttamente una decina di Comuni e altrettanti con ruoli di supporto e correlati. Sarebbe costoso, ma i benefici per i Comuni lucani, per il territorio che li circonda, sarebbero interessanti: la presenza di studenti e docenti, iniziative legate al corso di laurea o al master oppure al gruppo di ricerca o anche ai laboratori per la ricerca applicata, scambi culturali anche con l’estero, riadeguamento di immobili in disuso, case vuote destinate agli studenti e ai docenti, digitalizzazione di alcune funzioni amministrative e didattiche. Con un po’ di fantasia si possono immaginare le ricadute a raggiera.

Una prospettiva del genere richiede però condizioni che vanno costruite in una visione di lungo periodo. Occorrono infrastrutture fisiche: pensiamo alla viabilità interna di collegamento tra i comuni e tra questi e le arterie principali, stradali e ferroviarie, la qualcosa servirebbe già a prescindere. Occorrono infrastrutture digitali e un sistema di trasporto pubblico interurbano efficiente e moderno. Questo sarebbe un esempio di programmazione sottratta all’improvvisazione, inquadrata in una visione del territorio e del suo sviluppo in cui i Comuni piccoli e grandi assumano una vera centralità. È evidente che un percorso di questo tipo richiede anche e forse soprattutto la mobilitazione di forti competenze, una volontà politica accompagnata da una inedita capacità di pensare il futuro e di guardare oltre l’ombelico del consenso bancomat. Non sarebbe male una progettualità di scopo che preveda un coordinamento regionale interdipartimentale insieme all’Università. Naturalmente, c’è bisogno che l’Unibas funzioni. Certo, questi orizzonti non si raggiungono con l’autoreferenzialità, con il campanilismo e con gli interessi egoistici. Difficile vero? Però si può provare. Il dibattito è aperto. Parlarne è già un bel passo avanti. L’ipotesi è generica, fornisce un impulso, è un’idea non un progetto. L’idea si può raffinare, modificare, migliorare. L’unica cosa da evitare è dire “non si può fare”.

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