Stellantis, Melfi: “Faremo la fine di Termini Imerese”
Il punto di vista pungente di un operaio con ridotte capacità lavorative: “Dovremmo ribellarci oggi, perché domani sarà troppo tardi”
“Perché non vengono i capi Ute e team leader ad aiutarci sulla linea, che camminano dalla mattina alla sera mentre noi smazziamo…” E’ infuriato un lavoratore Stellantis dell’area preparazione che ci ha contattati. “Dove lavoro io siamo tutti operai con limitazioni, e nonostante ciò, quelle poche giornate in cui siamo in fabbrica, è tutto un sentirsi comandare da persone che sanno solo dare ordini”. L’operaio è stato anche in trasferta a Pomigliano ed assicura: “Lì si lavorava meglio, c’erano diritti, e soprattutto c’era più cortesia sulle linee, i capi ti ringraziavano, a fine turno, per ciò che avevi fatto”.
Tra marzo e aprile di quest’anno il rientro a Melfi. “E’ stato triste e demotivante il confronto, qui a Melfi non si capisce niente, tutti con la testa bassa a fare ciò che ti chiedono senza mai protestare”. E ancora: “Io lo dico sempre, bisognerebbe fermarsi e uscire fuori quando non vengono rispettati i diritti essenziali, ma niente, sembra che per la maggior parte dei colleghi prevalga lassismo e un malessere nascosto”.
Poi invece getta uno sguardo a cos’è diventata S. Nicola di Melfi, un tempo “prato verde” e stabilimento modello, all’avanguardia, a metà degli anni ’90, con il sistema di lavoro ‘just in time’. “Sembra essere passata un’era geologica, e soprattutto pare che il destino di Melfi sia già segnato”. A cosa si riferisca è presto detto. E qui si apre anche uno scenario che, ovviamente, tutti vorrebbero scongiurare. “Faremo la fine di Termini Imerese chiusa nel 2011 e oggi ammasso di capannoni in disuso. E’ già scritto”. Questo il suo attacco. E poi argomenta il perché di una previsione così cupa. “Tavares e chi per lui, stanno puntando sull’elettrico, 5 modelli da noi, ma quando poi si capirà che quelle auto non si vendono, perché costano troppo e perché non c’è un mercato adeguato cui collocarle, ecco, è proprio allora che ci daranno il benservito”. Aggiunge e chiarisce il lavoratore: “A quel punto diranno ‘ci abbiamo provato’ ma visto che le auto non si vendono, chiudiamo e ve ne andate tutti a casa. Con la scusa che non si vendono le auto non si faranno scrupoli e finiremo esattamente com’ è finita Termini Imerese oltre 10 anni fa”. Per questo, a suo avviso, sarebbe questo il momento di “far sentire la nostra voce, in massa, prima che sia troppo tardi. Dei sindacati qui non ti puoi fidare. Prima parlano, predicano, poi vanno a braccetto con chi comanda. E’ sempre stato così”. Punti di vista, certo. Si può anche essere in disaccordo col malessere sviscerato dall’operaio, ma il diritto di espressione è e resta un principio cardine. In democrazia.