Pari opportunità e piccoli Comuni: le candidate partono in svantaggio, bisogna cambiare la legge
Anche in questa ultima tornata elettorale amministrativa salta agli occhi l’annoso problema della rappresentanza femminile
Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Angela Lombardi sulla rappresentanza femminile nei consigli comunali.
Anche in questa ultima tornata elettorale amministrativa salta agli occhi l’annoso problema della rappresentanza femminile. In tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud, nei Comuni fino a 5 mila abitanti, si insediano per lo più Consigli Comunali composti di soli uomini. Questa è una immagine della realtà che certifica, qualora avessimo bisogno di conferme, la necessità di lavorare ancora e meglio per affermare un’uguaglianza il più possibile sostanziale e non solo formale, intanto tra donne e uomini. Molto difficile rimanere indifferenti a questo dato che, al pari di altri fenomeni che interessano le nostre società occidentali, contrasta fortemente con i principi che proclamiamo, con la nostra storia di emancipazione e con il contributo essenziale nella crescita della democrazia che il movimento femminista ha saputo imprimere nel corso degli anni in tutti i settori della società, compresa la politica.
Purtroppo in tempi di decadenza generale del dibattito pubblico questo tema diventa un casus belli tra le diverse parti politiche maschili che invece di dibattere e agire nella risoluzione del problema stesso contribuiscono a rafforzare una cultura antica e purtroppo resistente che umilia e offende proprio le donne. Provo ad argomentare meglio questa mia affermazione. Di fronte all’assenza di elette nei Consigli Comunali emergono due atteggiamenti comuni agli schieramenti. Il primo è quello di molti sindaci che, di fronte ad un Consiglio o una maggioranza composta di soli uomini, scelgono la soluzione lampo, chiamiamola così, con l’inserimento di una donna in giunta, come assessora esterna. Al di là di ogni collocazione politica trovo questa scelta giusta e opportuna poiché segnala un problema e sottolinea anche una sensibilità e una attenzione di chi amministra nei confronti non solo delle donne ma della democrazia che per essere effettiva deve saper includere diversità e differenze. Questa scelta, che condivido, tuttavia, è parziale dal momento che non risolve il vero problema, l’assenza delle donne in Consiglio. È infatti il Consiglio l’organo deputato alla discussione, all’identificazione e soluzione dei problemi ed è prioritariamente il Consiglio che necessita di un punto di vista articolato in cui dovrebbero avere voce le tante diversità presenti nella società. Purtroppo il nostro tempo ha una insidiosa curvatura autoritaria e spesso nelle istituzioni la centralità politica è erroneamente, dal mio punto di vista, assegnata agli esecutivi.
Il secondo atteggiamento, che non condivido, è quello che chiamo di accettazione del verdetto popolare. In questi casi ci si limita ad un lamentoso brusio e alla segnalazione di una bruttura fatale ed estetica del Consiglio. Le minoranze vanno all’attacco e strumentalizzano il problema fino ad abbatterlo sul corpo vivo delle stesse donne che vorrebbero difendere.
Purtroppo è noto che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno e quindi si procede a ricorsi al Tar, a Prefetti, a Commissioni Pari Opportunità perché si intervenga a garantire la necessaria presenza femminile. A questo punto i Sindaci in questione producono un avviso pubblico per far posto ad una donna, come assessora esterna. Così chiede la procedura. Niente di più umiliante, non a caso questi avvisi spesso vanno deserti. Una donna dunque per essere assessore deve rispondere ad un avviso pubblico, come se dovesse esercitare una professione, come si chiede ad un consulente, come se una donna dovesse ancora una volta dimostrare ai maschi di essere all’altezza, di essere quella giusta, ammesso che questo sia possibile. Mi chiedo ma i maschi nominati assessori esterni hanno mai risposto ad un avviso pubblico? Naturalmente no. Nelle grandi città è una pratica diffusa da tempo, si scelgono quasi sempre maschi e lo si fa senza alcun avviso pubblico. Purtroppo, ancora oggi e nonostante l’uguaglianza formale una donna resta quella che, per essere riconosciuta, deve dimostrare di essere una sorta di wonder woman.
Questo dibattito non meriterebbe alcuna attenzione se non fosse pericoloso, proprio perché si insinua, si insedia in modo sottile, sposta l’attenzione dal problema e fa crescere quella opinione che intende la democrazia come un fatto “burocratico” , distaccato dalla realtà e dalle sue tante disuguaglianze e l’esercizio delle democrazia come una mera applicazione delle leggi. Le donne, le diversità solo un orpello da mostrare e tollerare.
Bisognerebbe invece chiedersi perché le donne non superano agilmente la prova delle preferenze? Sono inadeguate o le preferenze rappresentano una sorta di prova muscolare in cui i candidati maschi partono in vantaggio?
È evidente che le candidate donne partono da uno svantaggio ed è quello che bisogna sanare. Sono brave, titolate, ma alla prova delle preferenze valgono altre logiche che i maschi conoscono ed esercitano meglio. Sanare questo svantaggio a vantaggio della società tutta è quanto deve fare la politica nei regimi democratici. Risolvere il problema avvicinandosi alla radice. Abbiamo bisogno di Consigli Comunali vivi, vivaci dove la presenza femminile può essere rilevante e quindi come si fa a “rimuovere l’ostacolo che si frappone all’uguaglianza”? È necessario adeguare la legge, quindi bisogna cambiarla. Del resto la doppia preferenza, inserita recentemente, vale in tutte le elezioni e allora perché non nei piccoli comuni?
Sotto la canicola di luglio, quando si perde un po’ di lucidità, mi viene in mente che si potrebbe introdurre anche nei piccoli comuni la doppia preferenza, oppure si potrebbe alzare il numero delle donne in lista in modo tale che matematicamente possano essere elette o stabilire che, in caso di mancata elezione di una rappresentante di sesso femminile, l’ultimo degli eletti di maggioranza e minoranza è sempre la prima delle donne non elette. Tre proposte di soluzioni ad un problema annoso. Soluzioni facili e possibili. I Comuni non legiferano ma votano Ordini del Giorno in cui chiedono alle istituzioni preposte di legiferare. Mi piacerebbe che i Sindaci che hanno nominato la propria assessora approvassero anche un Ordine del giorno in questo senso. Alle Pari Opportunità possiamo chiedere tutti a gran voce, di farsi portatrici di soluzioni che adeguino le leggi e non di ricorsi che si appoggiano a leggi inefficaci e finiscono con imporre soluzioni discutibili. Le donne non abbelliscono, prendono parola e la democrazia si esercita nelle Assemblee non negli Esecutivi. Anche questo aiuta i piccoli paesi a non morire. Angela Lombardi, già parlamentare