Di lavoro si muore e poi si torna a morire

23 luglio 2024 | 15:05
Share0
Di lavoro si muore e poi si torna a morire

Milioni di uomini e donne nascono per lavorare, lavorano per vivere, vivono per lavorare e poi cominciano a vivere davvero quando smettono di lavorare, se nel frattempo non muoiono

Sul lavoro si muore e poi si torna a morire. Un giorno o una settimana di cronaca, il cordoglio delle istituzioni, dei sindacati, della politica. L’ansia di prendere la parola per dire le stesse cose ogni volta che una lavoratrice o un lavoratore cadono vittima del dovere (o del diritto?)

E’ evidente che la maggior parte delle morti si verifica nei settori più esposti al rischio di infortuni. Nell’edilizia, in agricoltura, nella manifattura, nel trasporto, nella logistica, nella manutenzione delle infrastrutture stradali e ferroviarie, tra le forze dell’ordine e nei corpi addetti alla sicurezza dei cittadini. Il lavoro dei Vigili del fuoco e delle forze dell’ordine sono rischiosi a prescindere, è come andare in guerra, ogni giorno. Mentre un carpentiere, un raccoglitore, un autista, un magazziniere, un metalmeccanico, non affrontano incendi o malviventi. Il loro lavoro dovrebbe essere più sicuro. Tuttavia, sono loro più spesso a non tornare a casa. L’incidente è quasi mai una fatalità, anche se in molti casi, dopo lunghe maratone giudiziarie, le responsabilità appartengono a nessuno.

Sabato scorso intorno alle 11, sul percorso che da Potenza Nord porta sulla statale 658 per Melfi, all’altezza di contrada Botte, c’è un semaforo, è rosso, mi fermo. Fa un gran caldo. Nell’attesa osservo: stanno ripulendo le cunette e tagliando cespugli, rami e alberi che creano problemi alla circolazione stradale. In breve si stanno preoccupando di mettere in sicurezza gli automobilisti. Vedo però, tra gli operai, un ragazzo di colore, avrà massimo 20 anni, che respira la polvere da cui è circondato. Prova a ridurre il danno coprendosi naso e bocca con la maglietta che indossa. Non ha una mascherina, non ha un casco, è lì sul ciglio della strada a prendersi in faccia polvere e schegge. Gli altri operai sono di spalle piegati a fare il loro lavoro, uno di loro usa il taglia erba ed ha la maschera protettiva, gli altri anche. Il ragazzo di colore, no. Lui è l’ultimo degli invisibili.

A parte gli incidenti mortali, il lavoro può ucciderti a rate. Una morte dilazionata nel tempo, per causa delle schifezze che respiri, per gli abusi e l’arroganza del capo, o per lo stress che sopporti ogni giorno. Oppure per qualsiasi altra condizione che incide lentamente, subdolamente, sulla tua salute. E’ così che le persone muoiono. Sì, persone, perché un metalmeccanico fa il metalmeccanico, non è metalmeccanico, ma è una persona con nome e cognome, con una vita e un vissuto, con una cultura e dei sogni da inseguire. E’ una persona con un’identità e una dignità. E quella identità e quella dignità non dipendono dal lavoro che fa, ma da ciò che lui è. E dunque non è neanche un lavoratore o una lavoratrice, è una persona. Sono uomini e donne, ragazze e ragazzi che per mangiare devono soccombere a un lavoro che, in presenza di alternative, non farebbero mai. Molti di loro non sono felici, perché fanno un lavoro che non hanno scelto. In quel lavoro, spesso, si perde sia la dignità sia l’identità.

Le nuove tecnologie, l’automazione avanzata, sono la chiave per liberare donne e uomini dall’ignobile sacrificio del lavoro. Ma questa è un’altra storia. Un argomento tabù. La liberazione dal lavoro grazie alle tecnologie è un argomento di cui i lavoristi del sindacato e della politica, i riformisti della sinistra, non vogliono sentir parlare. In molti preferiscono aderire al vecchio slogan “chi non lavora non mangia”. Una scemenza.  Sono tutti figli della Genesi 3:19: “mangerai col sudore della tua fronte “. E’ la conseguenza del peccato di Adamo. E’ una punizione, un dovere, ma loro lo definiscono un diritto. Di quella Genesi non hanno capito nulla, mentre la sfruttano a dovere i turbocapitalisti. Il ragazzo di colore di contrada Botte, secondo questi signori, esercita un diritto. Gli operai ai forni delle acciaierie esercitano un diritto. I 150 morti per amianto all’ex Enichem di Pisticci, esercitavano un diritto. Gli operai Stellantis stressati e vessati da un’organizzazione del lavoro ai limiti della sopportazione, esercitano un diritto.

Per circa due milioni di anni gli uomini nascevano, lavoravano e morivano (…) La vita di tutto il genere umano consisteva soprattutto di la­voro”. Ancora oggi, milioni di uomini e donne nascono per lavorare, lavorano per vivere, vivono per lavorare e poi cominciano a vivere davvero quando smettono di lavorare, se nel frattempo non muoiono. Sono tutti quelli che portano sulle spalle l’ingiustizia di insaziabili plutocrati. Sono vittime dell’idiozia del lavoro a tutti i costi, vittime di un mondo che va cambiato, da cima a fondo.