Basilicata. Quando la cultura non è di massa ti cade addosso
La cenerentola dello sviluppo e la serva sciocca della politica
Chiariamo subito che qui per cultura di massa, non si intende cultura per le masse, quella prodotta dai mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità, dalla violenza simbolica che spinge al consumismo in tutte le forme. E neanche si fa riferimento alla cultura popolare. Affrontiamo l’argomento spiegando che la cultura è di massa quando esiste uno spazio immenso di intellettualità e di elaborazione del pensiero che coinvolga la stragrande maggioranza dei cittadini di un territorio. È di massa quando la ricchezza degli strumenti cognitivi appartiene a tutti e non ad un’élite.
È di massa, quando esistono gli strumenti per l’utilizzo di quegli spazi di intellettualità e conoscenza a cui le persone possono e sanno accedere, avendo contezza del funzionamento di quegli strumenti. In breve, è di massa quando non è preconfezionata dai mezzi di persuasione e comunicazione culturale e commerciale e quando non è appannaggio di gruppi sociali elitari.
La cultura per la massa, invece, fa il paio con la società di massa, caratterizzata dall’ omologazione, dal conformismo, dall’eterodirezione, dalla frantumazione sociale. La cultura di massa di cui qui si parla fa il paio con una società intelligente, costruita e vissuta da persone, non da individui, libere, pensanti, colte, capaci quindi di azioni orientate dalla conoscenza e dalla sensibilità artistica: fa il paio con una società autenticamente libera e democratica, aperta. Quindi parliamo di cultura che appartiene a tutti e che tutti sappiano in diversa misura produrla affinché tutti sappiano consumarla attivamente, con intelligenza e nelle forme più svariate. Questo non vuol dire vivere in una società in cui tutte le persone siano grandi artisti, grandi intellettuali, grandi scienziati. No. Vuol dire vivere in una società in cui la maggioranza delle persone possegga le basi elementari dell’arte, della conoscenza, soprattutto umanistica, e della cultura nelle diverse forme e rappresentazioni. È questo il lavoro da fare o, meglio, da provare a fare. Come? Discutiamone.
Un esempio banale. Se non so come funziona un film (soggetto, sceneggiatura, fotografia, inquadrature, regia, eccetera) non avrò la capacità di criticarlo e dunque di consumarlo correttamente. Sapere come funziona un film non significa essere autori, registi, sceneggiatori. Significa essere un “consumatore” consapevole.
Quando la cultura, ossia la conoscenza soprattutto umanistica, sviluppata in tutte le sue forme (arte, letteratura, poesia, filosofia, sociologia e così via), non è appannaggio della stragrande maggioranza delle persone, la società zoppica vistosamente. Ed è per questo che la Basilicata è caratterizzata da una società claudicante, incolta, esposta alle spinte omologatrici imposte dall’alto, conformista, ignorante e anche senza spina dorsale. Vale per tutto il Paese, ma qui e in alcune altre regioni, la situazione peggiora. Qui la cultura da anni è la cenerentola nelle strategie per lo sviluppo ed è la serva sciocca della politica. Perché?
La cultura popolare sta morendo per diverse ragioni, ma anche per causa della eccessiva ludicizzazione a fini turistici dei suoi specifici significanti e significati antropologici ormai dilatati e diluiti nelle manifestazioni ludiche-turistiche, appunto. Tutto è spettacolo, spettacolo degli eccessi in cui la distanza scenica, ossia la dignità dell’arte, lascia spazio agli impulsi dell’abbruttimento. La cultura Alta o di élite, si abbassa continuamente e si rinchiude sempre più nelle torri d’avorio rendendosi ulteriormente inutile, autoreferenziale, esibizionista. Inconsumabile, inaccessibile e tuttavia ormai inesistente. Trattata nei circuiti chiusi come un gioco dell’apparenza e tuttavia sterile. La politica (invasa da incultura essa stessa) non è in grado di capire quanto sia importante investire nell’arte e nella conoscenza. Certo non basterebbe un assessorato, ma se esistesse sarebbe un segnale di riconoscimento come ha correttamente scritto oggi Giacomo Martini.
Perché se la cultura non è di massa ti cade addosso? Perché in una società largamente incolta, produrre innovazione e cambiamenti, rovesciare vecchi e dannosi paradigmi, creare alternative al potere politico diventa difficile: si alzano muri, precostituiti dalla ruggine del pensiero, dallo stupore passivo, dalla diffidenza, dall’ignoranza delle persone.
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