Basilicata, il Partito Democratico al bivio: tra autolesionismo e rilancio della politica
Nella Direzione regionale svolta ieri, 30 luglio, decisa una “tregua armata”
Il tema vero, che sembra aggirarsi come un fantasma nella discussione interna dei Dem lucani è squisitamente politico e sposta l’asse su una sola domanda: il Pd vuole esistere o intende farsi sostituire da contenitori civici? In altri termini si tratta di decidere se inseguire la strada che porta al rilancio del Partito o continuare su un percorso vagamente e ambiguamente civico che mette il simbolo in soffitta. Il dubbio emerge quando Vito De Filippo intesta al Pd la vittoria di Vincenzo Telesca a Potenza. Non ci sembra di aver visto il simbolo del Partito tra le liste che hanno sostenuto il neo sindaco del Capoluogo. Lo stesso segretario regionale del Partito ha esultato all’esito del voto. Ci sembra, invece, che dietro le quinte della campagna elettorale abbiano contato i pacchetti di voti di singoli esponenti del Pd, De Filippo compreso. Un maneggiare utile a contarsi e a pesare il potere personale.
Diciamolo, alle regionali e alle comunali i Dem hanno attraversato il campo in modalità “Armata Brancaleone” senza riuscire ad acciuffare il leone. Dicevamo il bivio. Se i Dem non capiscono che bisogna rilanciare il Partito con le sue regole, attraverso una dialettica interna degna di questo nome e riconnettendosi con la società lucana, avrà vita breve. Diventerà un cantiere appannaggio di avventurieri e di improbabili personaggi “civici”. Lo abbiamo già scritto, si è aperto un nuovo problema democratico. Dietro un certo civismo si nascondono gruppi di interesse. E dunque bisogna scegliere se affidare nelle mani di questi gruppi le sorti del Partito o affidarle nelle mani di un’arena democratica fatta di dirigenti eletti, di regole interne, di partecipazione attiva degli iscritti e dei cittadini.
Se si sceglie la strada democratica la fatica sarà enorme perché non è una strada gradita ad alcuni personaggi che oggi spingono in direzione contraria. Il primo passo auspicabile è una pacificazione interna ai gruppi dirigenti i quali dovranno sotterrare le armature e interrogare le proprie coscienze e decidere da che parte stare e, soprattutto, in che modo starci. Bisognerà giocare su un campo etico e politico, anziché nel solito scenario dei calcoli e degli interessi. Ma ho qualche dubbio che ciò accada. Senza una forte spinta dell’elettorato, degli iscritti, degli attivisti la giostra girerà sempre su se stessa. E qui c’è un altro problema: dove sono gli iscritti, gli attivisti e dove sono finite le sezioni?
Il Pd a Potenza non ha vinto, ha perso, perché nei fatti ha rinunciato al simbolo, lo stesso si dica negli altri Comuni. Ridare dignità politica ai simboli è un dovere per chi crede ancora nella politica e nella gestione democratica dei Partiti. Il simbolo non è un giocattolo che metti nelle mani di chiunque sulla base di interessi di bottega.
Non sono ottimista. Perché se il “Pd che vince” è quello di cui parla De Filippo, allora bisogna capirsi. Vincenzo Telesca non ci ha convinti e non ci convince, è un bluff. Alcuni degli uomini e delle donne di cui si è circondato e di cui si circonderà a breve, spiegano e spiegheranno meglio di mille parole dove si andrà a parare. Si andrà a parare laddove i finti civici vorranno: dalla parte degli interessi di alcuni a discapito dell’interesse generale. È questo che vuole il (forse) nuovo Pd? Vuole che Telesca affidi incarichi fiduciari a personaggi discussi? Vuole che la direzione generale del Comune di Potenza venga affidata a esponenti o eredi del vecchio sistema di potere locale? Evidentemente è questo che vogliono alcuni cosiddetti “professori” del Partito. Soprattutto è quello che vogliono Telesca e i suoi pregiati suggeritori dentro e fuori il Pd.