Storie incredibili. Chiediamo scusa a Marcello Pittella
I paradossi della giustizia: per causa di una querela inesistente abbiamo subito un abuso: clonata la memoria del computer della giornalista Giusi Cavallo
Il 30 maggio 2016 i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Potenza, su mandato della Procura di Catanzaro, notificano un avviso di garanzia alla giornalista Giusi Cavallo, allora direttrice responsabile di Basilicata24, per un articolo del 29 ottobre 2014 firmato a quattro mani con il collega Michele Finizio. Il reato contestato, non anche a Finizio, ma solo a Cavallo, è la diffamazione a mezzo stampa ai danni di Marcello Pittella, all’epoca presidente della Regione Basilicata. Reato di diffamazione in concorso (con chi?).
Con l’informazione di garanzia, a firma della pm Graziella Viscomi, alla giornalista viene notificato un ordine di esibizione di corpo di reato o cosa pertinente al reato. Lo stesso giorno pubblichiamo un articolo dal titolo “Marcello Pittella denuncia il direttore di Basilicata24. Carabinieri in Redazione”
Il presidente Pittella risponde su altro giornale: non ricordo di aver mai sporto querela nei confronti di Basilicata24… difficilmente potrei dimenticarlo…” Ma come? La diffamazione è un reato a querela di parte. E così la dichiarazione di Pittella causa la nostra ironia con un articolo in risposta dal titolo “Pittella querela a sua insaputa”.
Quel giorno, il 30 maggio 2016, nella prima mattinata Giusi Cavallo si reca nella Caserma di via Pretoria dove è stata convocata dai Carabinieri. Un maresciallo le consegna un’informazione di garanzia e la informa che devono accompagnarla in redazione per le operazioni di clonazione dell’hard disk del suo computer.
La giornalista cerca di capire perché per un articolo di due anni prima, e per un ipotizzato reato di diffamazione, debba subire la clonazione del suo pc. Non avendo la possibilità di reperire un avvocato seduta stante la cronista si rifiuta di eseguire l’ordine di esibizione. Il maresciallo allora contatta qualcuno al telefono, asseritamente la pm titolare dell’indagine, e evidentemente riceve l’ordine di procedere.
Accompagnata da due militari e un tecnico informatico, con un’auto dell’Arma, Giusi Cavallo viene portata in redazione dove, alla minaccia di sequestro dei computer, è costretta ad arrendersi alla clonazione. Magari con un avvocato presente le cose sarebbero andate diversamente. Le operazioni di copia vanno avanti dalle 11 fino alle 17 circa, tempo durante il quale l’indagata non potrà nemmeno andare in bagno. Concluse le operazioni di copia, Cavallo viene riaccompagnata in Caserma per le ultime formalità e con il suo avviso di garanzia può finalmente tornare a casa.
Dopo aver cambiato il titolo di reato da diffamazione a calunnia, il fascicolo viene definitivamente archiviato nel giugno 2019. A distanza di anni, siamo finalmente riusciti ad avere accesso al fascicolo e, sorpresa delle sorprese, scopriamo che l’ex presidente della Regione Basilicata aveva ragione: “non ha mai querelato basilicata24, tantomeno la giornalista Cavallo.
Nella richiesta di archiviazione della pm titolare delle indagini si legge: Ad oggi non risulta a questi uffici la presentazione di alcuna denuncia da parte del Pittella in relazione al contenuto di tali articoli…e poi la stessa pm va oltre il ridicolo: sostenendo che le affermazioni contenute in quell’articolo ritenuto diffamatorio nei confronti di Pittella sono supportate da documenti quindi nell’articolo non è stato scritto il falso. Nell’articolo no, ma nell’informazione di garanzia? Il gip, Pietro Carè, che archivia il caso, afferma che la pm ha aperto il fascicolo per diffamazione e conclude dicendo che la notizia è infondata.
Dunque Marcello Pittella non aveva denunciato, la pm apre un fascicolo per diffamazione ai danni di Pittella, Cavallo viene indagata con ordine di esibizione mediante clonazione dell’hard disk del suo computer e vissero tutti felici e contenti? Evidentemente no, non può essere questo il finale di una pagina di giustizia “creativa”.
E allora, se la diffamazione è un reato a querela di parte è mai esistita una querela contro la giornalista? No: lo disse Pittella all’epoca dei fatti e lo dicono poi un magistrato (lo stesso che apre il fascicolo) e poi ancora un giudice. E allora? La pm che ha indagato la giornalista per diffamazione sulla base di una querela inesistente ha commesso una irregolarità? E chi avrebbe avuto interesse a fare una cosa del genere? Quel che è certo è che oggi nel fascicolo non v’è traccia di querela e quindi sarebbe stato commesso un falso e un conseguente abuso.
Ancora una volta i conti non tornano e molte cose non quadrano. È doveroso porgere le nostre scuse pubbliche a Marcello Pittella. Siamo stati tratti in inganno da un documento ufficiale della Procura di Catanzaro, come si può leggere dalla foto qui pubblicata. Per il momento, a Pittella chiediamo scusa, mentre alla Procura e al Tribunale di Catanzaro chiederemo conto. Perché Catanzaro? Perché la vicenda da cui prende le mosse questa sceneggiata coinvolge un giudice di Potenza. Abbiamo provato a semplificare, a circoscrivere su un fatto, cioè una querela inesistente. Ma la vicenda è molto più complessa e anomala, e merita un approfondimento a cui stiamo lavorando.