In Basilicata la libertà costa più che altrove
La querela temeraria è un’arma nelle mani dei potenti
Negli ultimi 12 mesi, noi di Basilicata24, abbiamo dovuto affrontare circa 50 udienze tra i tribunali di Potenza e Catanzaro. Udienze relative a una dozzina di procedimenti ancora in corso per diffamazione a mezzo stampa e per concorso in diffamazione. Una dozzina di procedimenti ancora pendenti su circa 100 subiti nel corso degli ultimi 10 anni. Due sole condanne su 100 querele, condanne che attendono il verdetto di appello e di cassazione. Non abbiamo ancora il dato della dozzina di procedimenti in corso: non sappiamo quale sarà l’esito.
Siamo querelati da politici, aziende e imprenditori importanti, magistrati, dirigenti pubblici, toccati in diversa misura dalle nostre inchieste a dai nostri articoli.
I giorni sottratti al lavoro giornalistico in questi 12 mesi, ammontano a circa un terzo delle giornate disponibili in un anno. Questo è il primo risultato ottenuto da chi querela: ridimensionare l’impegno dedicato al tuo lavoro. I processi, le udienze, l’acquisizione e lo studio dei fascicoli, la preparazione delle strategie di difesa, le parcelle al difensore, le giornate trascorse in tribunale, sottraggono energie, tempo, risorse. E’ l’altro risultato ottenuto da chi querela: sabotare il tuo equipaggiamento, indebolire la portata del tuo lavoro, metterti il bavaglio. Alcuni chiedono il carcere per i giornalisti presunti responsabili del reato di diffamazione, altri chiedono, oltre al carcere, l’oscuramento o la chiusura della testata. Ci provano. E’ il loro sogno: continuare a fare quello che gli pare senza il disturbo dei giornali. Le querele temerarie, spesso sono anche intimidatorie, ma in questo caso nei nostri confronti non hanno successo. Certo, in alcuni casi chi ci voleva in carcere ha deciso improvvisamente di ritirare la querela anche a processo in corso e senza condizioni.
Tutto questo rappresenta un grave problema per la libertà di stampa e crea seri impedimenti all’esercizio del diritto di cronaca, di critica e di informazione. La questione assume contorni ancora più gravi quando i giornalisti devono difendersi non nel processo, ma dal processo. In alcuni tribunali, Potenza in primis, capita di trovarsi in situazioni paradossali create da anomalie procedurali e, nel peggiore dei casi, da strane ipotesi creative finalizzate alle sentenze di colpevolezza. E’ il caso delle continue e strane citazioni dirette a giudizio, della carenza di approfondimento e di indagini di alcuni pm e di alcuni giudici. In qualche situazione accade anche di peggio. Ne riparleremo. Accenniamo soltanto allo strano caso della giornalista Giusi Cavallo, rinviata a giudizio per diffamazione senza aver scritto né firmato l’articolo incriminato e senza ricoprire all’epoca dei fatti il ruolo di direttrice responsabile.
Il caso di Basiliata24 è unico nel panorama editoriale e giornalistico lucano, ma è anche raro nel panorama nazionale fatte le dovute proporzioni. Ma non sorprende il fatto che tutto questo accada proprio in Basilicata.
Il presunto reato di diffamazione è ormai diventato un giocattolo pericoloso per la libertà di stampa, di critica e di cronaca. Un giocattolo nelle mani di potenti di ogni specie che, con una leggerezza disarmante, interpretano a soggetto articoli e inchieste giornalistiche. Le motivazioni dei querelanti, almeno nella nostra esperienza, spesso rientrano nella categoria delle “code di paglia.” Non importa se hai diffamato o non hai diffamato, ti querelano perché si sono sentiti attaccati, criticati, denudati su fatti tenuti nascosti all’opinione pubblica. E ti querelano per fermarti. E dunque, se scrivi di lanterne e quelle lanterne svelano episodi e circostanze degne di critica, loro faranno di tutto affinché un giudice le prenda per lucciole. Eppure, basterebbe una legge che scoraggi le querele temerarie. Sarebbe anche un modo per evitare un inutile sovraccarico di lavoro per i Tribunali e inutili costi per la collettività.