I paesi d’estate si animano come luna park, ma poi quando le luci si spengono?
Quando la festa finisce restano le pietre che nessuno calpesta più, i vicoli orfani di bambini, le piazzette vuote, la luce sempre più fioca di lampioni che illuminano la solitudine di chi rimane
Sono numerosi i paesi lucani che si preparano agli eventi estivi che li trasformeranno in luna park luminosi e rumorosi ed io, che ho sempre detestato le vigilie, penso già a quando la festa sarà finita. Vedo le piazze che si svuotano, i genitori che salutano i figli in partenza e immagino i comunicati stampa di quelli che, puntualmente, commentano i dati sui “giovani lucani in fuga” e lo spopolamento. Insomma, so come va a finire la storia e non riesco a godermi sagre, sagrette, eventi e strombazzamenti vari a cui seguono annunci roboanti sulle presenze che si ripetono ogni anno come un mantra. Sì, i paesi d’estate si animano, proprio come un luna park, ma poi quando le luci si spengono?
Sul finire di gennaio passeggiavo in un piccolo paese lucano, era già buio e per strada non c’era nessuno. Ad un certo punto scorgo una sagoma, di nero vestita, illuminata da una chioma chiara, che quando mi si è avvicinata era chiaramente bionda. Una donna di poco più di 50 anni che mi ha subito sorriso quando l’ho salutata. Il suo sguardo acceso dalla curiosità di sapere cosa ci facessi lì, a passeggiare, sola, in un tardo pomeriggio d’inverno. Deve aver percepito la mia svogliatezza nel rispondere e l’inquietudine che mi accompagnava in quel momento. Quel luogo che avrebbe dovuto darmi pace, mi turbava. Quella bellezza che mi circondava mi provocava una strana angoscia. E allora ci ha pensato lei a togliermi dall’imbarazzo. Mi ha detto subito che stava andando a casa di un’amica “per fare due chiacchiere” spiegandomi che è diventato difficile vivere dove “nessuno ha più voglia di scambiarsi del tempo”. Poi, pensando che io potessi darle una risposta, mi ha chiesto perché la gente fosse diventata così chiusa anche in un paesino di “poche anime”. “Vedi, qua sembra tutto morto, mi fa quasi paura camminare in questi vicoli, anche se li conosco come le mie tasche perché da piccola ci giocavo a nascondino. Queste pietre su cui mi appiattivo per non farmi trovare ora trasudano gelo”. Sono rimasta in silenzio ad ascoltarla, incredula di fronte al suo bisogno di comunicare con una sconosciuta. Poche altre parole e dopo avermi salutata ha affrettato il passo, lasciandomi sola a guardarmi intorno.
Dicevo dell’angoscia che sentivo in quel luogo di rara bellezza. Cresceva in me come un’onda che sconfina sulla sabbia travolgendo tutto quello che trova. E ho capito che la meraviglia che ho sempre provato, scoprendo angoli sconosciuti della mia terra, è un’illusione feroce. In questi luoghi, in cui il tempo è andato avanti senza però aggrapparsi al futuro, sono rimaste le pietre che nessuno calpesta più, i vicoli orfani di bambini, le piazzette vuote e le finestre chiuse, la luce sempre più fioca di lampioni che illuminano la solitudine di chi resta.