Sanità in Basilicata. L’ipocrisia e la retorica della politica
In pericolo la salute di molti cittadini e al sicuro i soldi di pochi privilegiati
Il servizio sanitario regionale assorbe oltre 1 miliardo e 200mila euro all’ anno, un terzo dell’intero bilancio della Regione. Un fiume di denaro. Dal 2014 al 2023, la sanità privata ha assorbito circa 309 milioni di euro di soldi pubblici a cui va aggiunto il fatturato per prestazioni dirette a spese dei cittadini, quelli che possono permetterselo. Soldi, tanti soldi. Ma non bastano. Certo c’è stato il Covid, altri soldi, altri disagi, altri problemi. Aggiungiamo la migrazione sanitaria che ci costa quasi 70milioni di euro. Insomma, non se ne esce.
Il tema del giorno è il buco di circa 80 milioni nella sanità lucana che Bardi ha provato a tappare con risorse non ancora disponibili e con artifici contabili. Perciò si è resa necessaria la nomina del commissario ad acta che entro la fine di questo mese deve trovare le coperture delle spese, ossia del buco. Le polemiche intorno alla vicenda sono accese e a tratti appaiono strumentali. Per tutta la recente campagna elettorale prima del voto del 21 e 22 aprile scorsi, la sanità è stata al centro degli attacchi contro Vito Bardi e della difesa della Giunta uscente. Fuochi incrociati sul famoso buco, sulle liste di attesa e sul “disastro” nei servizi a tutela della salute dei cittadini.
Ebbene, oltre ai proclami generici non abbiamo sentito urlare soluzioni, ma sbraitare anatemi contro quello e quell’altro. Intanto, i problemi restano gli stessi da almeno 20 anni. E nessuno degli urlatori politici può ritenersi fuori dalle responsabilità, di quanto stia accadendo oggi. Eppure, i cittadini non chiedono la luna anche se, tra i miliardi spesi, le decine di poliambulatori privati, cliniche private, altre diavolerie private e una quantità soverchia di ospedali pubblici, ne avrebbero diritto.
Che cosa chiedono i cittadini? Poche cose semplici che a qualcuno fa gioco renderle complicate. Ai cittadini basterebbe che le liste di attesa siano compatibili con l’urgenza delle diagnosi e delle prestazioni; un sistema informatico sanitario che funzioni; basterebbe che le strade di accesso ai presidi sanitari siano decenti, che le ambulanze arrivino in tempo e che abbiano un medico a bordo; che le visite specialistiche non siano rinviate alle calende greche e che nei paesi ci siano i medici di base. È il minimo sindacale.
Perché, forse, sarebbe eccessivo chiedere che i concorsi per il reclutamento di medici e per la nomina dei primari (quelli che ancora sono disponibili a raggiungere la Basilicata, pochi) siano trasparenti. E forse sarebbe troppo chiedere che la si smetta con i piccoli ospedali inutili, con reparti inutili, primari inutili. E forse sarebbe troppo far notare alla politica che non si può migliorare o salvare la sanità pubblica se gli stessi politici – chi più chi meno, per una ragione o per l’altra – sono coinvolti negli interessi della sanità privata. Sarebbe anche troppo chiedere che si impedisca a dirigenti e funzionari mediocri di tenere le mani in pasta nelle aziende sanitarie e negli ospedali. E sarebbe anche troppo far notare medici e primari che lavorano nel pubblico che la medicina non dovrebbe essere un mezzo per accumulare ricchezze personali, per arricchire ambulatori e studi privati a danno delle strutture pubbliche e dei cittadini. A breve aprirà un’altra clinica privata, ne riparleremo. Intanto, la distanza tra chi può permettersi le cure e chi no è cresciuta e si è aggravata, una discriminazione inaccettabile.
E per concludere si sappia che gli intrecci chiari e oscuri tra politica e interessi nella sanità pubblica e privata sono la questione di tutte le questioni. Tuttavia, senza chiedere troppo, si intervenga almeno sul quel minimo sindacale che non viene garantito da decenni. Basterebbero un po’ di competenze, un briciolo di volontà e tanta onestà intellettuale. E questo vale per tutti.