La politica dovrebbe imparare dallo sport

21 aprile 2024 | 16:45
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La politica dovrebbe imparare dallo sport
Dino De Angelis

“Esaltare il valore degli antipatici: è di questo che stiamo parlando. Intercettare le critiche come anelito al cambiamento di orizzonti che, per loro natura, sono necessariamente limitati”

Ci sono moltissime cose che lo sport insegna. Ad esempio, nello sport non puoi barare sui risultati: alla fine della gara (o della partita) il risultato sul tabellone è una sentenza inequivocabile e non puoi arrampicarti sugli specchi e giocare con le parole (“ho quasi vinto”, oppure “ho perso ma è come una vittoria”, ecc.). Inoltre nello sport la meritocrazia è la regola principe: se sei bravo giochi, se non sei bravo non giochi. E cosa dimostra la tua bravura? Ancora una volta i risultati.  E avanti così.

Ora però voglio porre l’accento non sul risultato o sul merito, ma sul lungo cammino che si fa per ottenerlo. A chi non fa parte del mondo dello sport, Andrea Trinchieri è un nome che non dirà nulla. È un semplice allenatore di pallacanestro che, dopo aver allenato diversi anni in Italia, ha iniziato a girare il mondo, chiamato da società anche molto importanti, e attualmente è finito in uno dei club più prestigiosi d’Europa, lo Zalgiris Kaunas, in Lituania, uno stato che vive di pane e pallacanestro.

Ebbene, Trinchieri è uno di quegli allenatori che quando va in giro per il mondo non sempre si porta tutto il proprio staff dall’Italia, ha portato con sé un solo assistente (Max Menetti, già capo allenatore in varie squadre italiane) e sul posto come secondo assistente ha trovato nientemeno che il figlio di Arvidas Sabonis, una leggenda del basket, uno dei giocatori più forti di tutti i tempi.

Una delle filosofie di Trinchieri che concerne i rapporti con i suoi assistenti, si basa fondamentalmente su questo concetto: essi devono riuscire a metterlo in crisi, continuamente, sistematicamente.

Perché un “capo” desidera che i membri del suo staff pongano continuamente in discussione le scelte dell’allenatore capo? Perché quel capo ha imparato che è solo attraverso questo confronto fatto di contradditori continui, di messe in discussione delle scelte fondamentali, che si attua e si definisce con sempre maggiore precisione, un vero e autentico processo di crescita del team.

Prendo questa situazione e faccio un raffronto con la politica. Non solo quella nazionale, ma anche le politiche dei territori. In tutti questi casi, assisto al contrario esatto di questa situazione, ovvero a nomine effettuate unicamente verso uomini e donne rigorosamente allineate al pensiero del capo fino al punto di premiare quella fedeltà, quella osservanza pedissequa, quello schieramento fotocopiato che spegne come acqua sul fuoco qualunque contraddittorio, qualunque discussione di merito, qualunque anelito alla critica costruttiva. Assistiamo infatti, in campo politico, ad una pletora di sottoposti che assecondano in maniera spesso nauseante le scelte del loro leader.

A chi non si occupa di politica, appare evidente fino all’ovvietà che è soltanto da un contraddittorio autentico e verace attuato dall’interno che nasce il miglioramento; è solo attraverso l’asperità della dialettica endogena che si arrivano a porre in essere soluzioni strategiche con qualche speranza che esse possano diventare foriere di risoluzioni.

Esaltare il valore degli antipatici: è di questo che stiamo parlando. Intercettare le critiche come anelito al cambiamento di orizzonti che, per loro natura, sono necessariamente limitati.

Nella politica accade invece che gli scomodi sono messi da parte e catalogati come oppositori che si permettono di offuscare la luce del leader, senza riuscire a considerare che è proprio dagli antipatici – e non dagli yes men – che nascono spesso risposte a cui il capo, preso com’è dal suo ruolo, sovente non riesce a concepire. E se comparisse qualche posizione critica, essa viene espulsa dal sistema poiché etichettata come mela marcia: un letame di cui liberarsi in fretta.

Se la politica facesse questo passo in avanti a incoraggiare pensieri contrari, diversi e fondati, quello sarebbe un primo passo per la costruzione di una società con qualche idea in più. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” cantava l’indimenticabile De André. Ma pare che per la politica conti soltanto chi riflette, magari amplificandola, la luce del leader. Dino De Angelis – artista