Basilicata elezioni. Nei programmi elettorali scomparse mafia e criminalità
Tacere su un argomento fondamentale per lo sviluppo e per il futuro della regione è un grave segnale di inadeguatezza della Politica. E nel bordello dei colletti bianchi si festeggia alla grande
La politica non sente, non vede, non parla. Non sente l’odore del malaffare che la circonda e la penetra; non vede quello che accade in alcuni Comuni, nei lavori pubblici e nelle terre del petrolio; non parla di se stessa, delle condanne e dei processi che coinvolgono uomini dei partiti e delle istituzioni. E quando parla, lo fa per autocelebrarsi. E quando vede, evita di guardare. E quando sente, non ascolta. Sarà per questo che nei programmi elettorali diffusi fino ad oggi dai partiti in competizione, non ci sono tracce di un discorso serio sulla criminalità. Come se la faccenda non interessasse anche la Basilicata. Come se il crimine e il malaffare non avessero gravi ripercussioni sull’economia e sullo sviluppo, sulle relazioni sociale. Come se non avesse nulla a che fare con la fuga dai territori. Eppure, hanno voluto la Dia – Direzione Investigativa Antimafia – a tutti i costi, e se vuoi la Dia allora ritieni che ci sia una qualche mafia da contrastare. E se ritieni che ci sia qualche mafia da contrastare allora ne devi parlare, chiarendo quali impegni e responsabilità la politica deve assumere per contribuire a combattere la criminalità nelle sue più vaste e, spesso, oscure, articolazioni.
“La Dia può assestare un duro colpo al crimine organizzato”. È vero, anche se fino ad oggi non abbiamo visto granché, è giusto, è utile. Il contrasto alla criminalità organizzata passa anche dal rinforzo di prerogative, mezzi e uomini a disposizione degli inquirenti. Bisogna intendersi, però, sul fatto che la criminalità non è soltanto quella dei clan perseguitati dalla magistratura in questi ultimi anni, non è soltanto Martorano, Schettino, Riviezzi e compagnia bella. Non è soltanto spaccio, estorsione, gioco d’azzardo, furti di rame, usura, riciclaggio.
È anche corruzione, è assenza di trasparenza, è il bordello dei cosiddetti colletti bianchi che ricevono e offrono vantaggi nell’esercizio delle loro funzioni nell’arena della politica e delle imprese. È tutto quanto accade in alcune stanze delle istituzioni e in alcuni uffici della pubblica amministrazione a diversi livelli. È il silenzio che circonda gli accordi corruttivi e concussori in taluni settori dell’economia. Appalti truccati, furto di beni comuni, tangenti. Un bordello autorizzato da contorsionismi burocratici e formalismi normativi che coprono azioni illegittime travestite di legalità e trasparenza. Stiamo ancora aspettando novità investigative sull’affare eolico e sulle allegre autorizzazioni a deturpare il territorio, sulle anomalie nel “mercatino del lavoro” nelle aree dell’indotto petrolifero, su incarichi, appalti e affidamenti nella gestione dei rifiuti. Ci fermiamo qui tanto per non ripeterci. Le strategie di assalto alla diligenza delle risorse del Pnrr sono in atto da mesi e sarebbe importante evitare che opportunismi e ruberie distruggano le speranze di riscatto di questa terra. Questo è il campo criminale che chiama in causa la politica, i candidati, i partiti. Ma nessuno ne parla e dunque non sappiamo che cosa abbiano in testa i protagonisti della campagna elettorale. Magari nulla, hanno in testa nulla.
Eppure, per impedire che la criminalità semini e raccolga, è necessario negarle terra e concime, ridurre gli spazi della mafiosità e della cultura che la alimenta. Quando un dirigente (o un politico) decide di appalti e di assunzioni, fuori dalle regole, lui è concime. Quando falsifica documenti per farsi assumere, lui è concime. Quando trucca i concorsi, lui è concime. La politica quando consuma fiducia e non la produce è concime. Quando promette e non mantiene, è concime. Quando lascia che interi territori vengano abbandonati nelle mani di imprenditori amici senza scrupoli e di capetti locali porta voti, è concime. E basta questo, per non farla lunga.
Ecco, di questo vorremmo sentir parlare i vari candidati e loro sostenitori in chiaro e nell’ombra. Di questo vorremmo sentir parlare i Zullino di turno, i Pasquale Pepe, i Polese, i Cicala, i Pittella, i De Filippo, i Chiorazzo, i Marrese, i Bardi, i Maruggi, i Braia eccetera eccetera. Vorremmo ascoltare anche i candidati di seconda e terza fila, quelli che in questi giorni parlano, a vanvera, di argomenti che non conoscono. Chi interroga queste persone sul tema della criminalità? Nessuno. Nessuno fa domande. E allora, per l’ennesima volta, la domanda la facciamo noi: avete in mente qualcosa? Avete qualcosa da dire? Ci basta un commento a casaccio. Siamo con le orecchie spalancate.
Una regione povera e a ritardo di sviluppo come la Basilicata non può permettersi che la sua debole e fragile economia venga infiltrata da gruppi criminali. Non può permettersi che si sviluppi un meccanismo di erosione delle potenzialità di crescita e di sviluppo per causa delle mafie. Non si può permettere forme di convivenza tra economia pulita e sporca, tra imprenditoria sana e imprenditoria malavitosa. Ecco perché questo tema deve essere sempre tra i punti all’ordine del giorno di tutti i tavoli istituzionali, tecnici, operativi, regionali e locali che discutono e decidono azioni e misure che riguardano i settori dell’economia e del lavoro.
Ecco perché non devono essere tollerabili “negligenze”, superficialità, errori nei procedimenti amministrativi che trattano di autorizzazioni, concessioni e appalti. Ecco perché occorre tolleranza zero verso episodi di “vicinanza” tra politica e gruppi associativi criminali. Si sappia, le zone grigie, in cui si muovono e crescono “uomini cerniera” tra istituzioni locali e criminalità, si espandono. E le zone grigiesono il prodotto di una cultura della mafiosità che avvicina i metodi di gestione del potere politico e economico ai metodi di gestione del potere criminale. Siamo certi che dopo questo articolo qualcuno si ricorderà di parlare delle questioni sollevate, in modalità campagna elettorale. Benedetta memoria.