Basilicata elezioni. La memoria corta di Chiorazzo e il messaggio pasquale del vescovo Ligorio

1 aprile 2024 | 14:14
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Basilicata elezioni. La memoria corta di Chiorazzo e il messaggio pasquale del vescovo Ligorio
Salvatore Ligorio

“Non vogliamo che i cittadini siano ingannati dalla politica com’è accaduto negli ultimi dieci anni”. Chi lo avrebbe detto?

“Non vogliamo che i cittadini siano ingannati dalla politica com’è accaduto negli ultimi dieci anni”. Lo ha detto in questi giorni Angelo Chiorazzo. La gravità di questa affermazione emerge su due piani. Sul piano politico è evidente che il riferimento all’ultimo decennio riguarda i candidati avversari Pittella e Bardi. L’imprenditore clericale candidato nella coalizione che vorrebbe Piero Marrese presidente, non può prendersela con i suoi amici Vito De Filippo, Vincenzo Folino, Filippo Bubbico, Roberto Speranza e tutti gli altri protagonisti del disastro lucano in questi 30 anni. Se la prenderebbe con se stesso. E dunque attribuisce a Pittella prima e a Bardi dopo la responsabilità di aver ingannato i cittadini. Come se le condizioni attuali della regione siano l’esito di soli 10 anni di malapolitica. Anche le pietre sanno che la Basilicata di oggi è il risultato di almeno 30 anni di governi “inadeguati” e di carriere di una classe politica e dirigente assolutamente mediocre, tra cui il “suo” candidato presidente Marese e i suoi sostenitori della prima ora. Certo, gli ultimi dieci anni di governo non sono stati migliori dei 20 anni precedenti, diciamo mediamente uguali, con le dovute differenze sempre in peggio.

Sul piano storico, quindi, la carenza di analisi è disarmante. Chiorazzo o lo fa apposta oppure dimostra ancora una volta la sua inadeguatezza politica. E allora proviamo noi a spiegarlo.

Perché la Basilicata è in queste condizioni? Tra le tante cause, una delle più evidenti risiede nel campo delle scelte politiche. La storia economica di questa regione si intreccia più che altrove con la storia del ceto politico e dirigente che l’ha governata. Quasi tutto quanto accaduto nell’ultimo secolo nella struttura sociale ed economica è riconducibile al prosaicismo di una politica fuori luogo o, magari, di politici fuori luogo. Se ci fermiamo a riflettere sui piani di sviluppo e non solo di sviluppo, partoriti negli ultimi decenni dai governi regionali, scopriamo un dato allarmante. Miliardi di euro spesi per ottenere risultati deludenti. Il punto critico della questione è identificabile nella mancanza di un approccio alla complessità della programmazione dello sviluppo. Spesso ci siamo trovati di fronte a misure e provvedimenti, finanziati con copiose risorse, reciprocamente contrastanti. Con un provvedimento si intendeva favorire la produzione di farina e con un altro si disincentivava la coltivazione di grano. E’ una metafora che calza a pennello. Ma il peggio è accaduto subito dopo la fine della “fase democristiana” di governo regionale, diciamo dalla dipartita della Dc e del Pci e l’ascesa di Berlusconi e i suoi, tra i quali gli amici dell’imprenditore clericale che oggi si lamenta degli ultimi dieci anni. Dunque se vogliamo analizzare il peggio dobbiamo partire esattamente da 30 anni fa. Non stiamo qui a fare l’analisi dei decenni precedenti al berlusconismo.

Da allora, una Basilicata sbandata esposta ai compratori più spregiudicati, perché spregiudicati, senza arte né parte, sono stati quelli che l’hanno svenduta. Così hanno ingannato la Basilicata, non solo quelli di ieri, ma anche e forse soprattutto quelli dell’altro ieri, oggi tornati alla ribalta, con cui l’imprenditore clericale ha avuto molto a che fare. Prebende, favori, soldi finalizzati ai soldi, carriere, clientele, nel quadro di un’assoluta mancanza di visione, nel quadro di una classe politica cinica negli affari e incapace nel governare.

Altrettanto curiose appaiono le parole di Salvatore Ligorio. Nel messaggio di Pasqua l’amministratore apostolico della diocesi di Potenza richiama la politica, e i candidati alle elezioni, affinché sia estirpata una volta per tutte la malapianta del clientelismo. Nello stesso tempo invita a non disertare le urne. Sarebbe un esercizio retorico, magari ingenuo, ma non lo crediamo, se non emergesse nelle sue parole una contraddizione palese. Il vescovo descrive alcune delle gravi condizioni in cui versa la Basilicata attribuendo la responsabilità alla classe dirigente e alla politica. Nello stesso tempo dice che bisogna andare a votare: a votare chi? I candidati dietro cui si nascondono gli autori del disastro lucano? I protagonisti, attivi e passivi, di questi 30 anni di clientelismo e di semina di tutte le altre male piante? E lui, il vescovo, in questi anni dov’era? Non vedeva, non sentiva? Ha spettato la Pasqua 2024, a poche settimane dalle elezioni per ribadire l’ovvio? Tra le righe delle parole di monsignore leggiamo altro, ci siamo capiti.

Tuttavia, la realtà è più complessa. Si va a votare in presenza di candidati adeguati, liberi da condizionamenti dei gruppi di interesse, affidabili, credibili. In mancanza chi va a votare fa il gioco del peggio e del meno peggio. Perché? Perché i pochi candidati affidabili, credibili e liberi difficilmente saranno eletti in un quadro di interessi economici e di potere radicati in 30 anni. Saranno nuovamente quelli di prima e di prima ancora a vincere a “destra” e a “sinistra”. Loro hanno ancora una patologica e forte ascendenza sulla maggioranza della base elettorale che è essa stessa inadeguata, incapace di pensare e di guardare oltre il ballatoio della cucina. Ai candidati liberi e affidabili manca una base sociale elettorale intelligente, una base elettorale che va costruita nel quadro di una prospettiva di forte rottura col passato politico in questa regione. E se qualcuno di loro venisse eletto, servirebbe a nulla, perché non cambierebbe nulla. Lo abbiamo verificato in tutti questi anni. Non bisogna dare altri anni di vita al sistema di potere che invece va combattuto. La Basilicata rischia di trovarsi in una situazione di non ritorno. Ecco perché bisogna astenersi in massa per una volta, questa volta. Per togliere l’alibi democratico del consenso malato a un sistema patologico. E ripartire.