Basilicata elezioni. Hanno vinto i gattopardi e i camaleonti: perché?

23 aprile 2024 | 14:31
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Basilicata elezioni. Hanno vinto i gattopardi e i camaleonti: perché?
Pittella, Marrese e Bardi

Il miscuglio clerico-imprenditoriale-sinistroide di Marrese e compagni ha fallito. La paccottiglia elettorale del generale Bardi ha vinto. I lucani hanno perso ancora una volta e ancora una volta non l’hanno capito

La rivolta degli elettori non c’è stata. Il Sistema di potere ha retto alla lieve scossa astensionistica. Anche se un calo di 4 punti nell’affluenza rispetto al 2019, quando si è votato in una sola giornata, resta un segnale, debole, ma da cogliere. Ma non siamo ottimisti.

Nel caso Basilicata ci troviamo di fronte a un astensionismo consapevole che non cerca vendetta, ma un riscatto in politica e in democrazia. Una forma, questa, che caratterizza almeno il 15% del non voto complessivo attribuibile ai residenti. Si tratta di lucani e lucane pronti a tornare al voto in presenza di un’offerta politica completamente rinnovata in un quadro di partecipazione diffusa e di rispetto nei confronti dei cittadini.  Per costoro, infatti, la democrazia va ben oltre il momento del voto. La loro astensione assume una soggettività politica che fornisce una spinta al cambiamento. È un astensionismo non distruttivo, ma costruttivo.

Detto questo, la verità oggi è che la Basilicata non solo ha perso ma è stata nuovamente sconfitta. A vincere non sono solo Bardi e il centrodestra con tutti gli appetiti vecchi e nuovi rappresentati dai candidati e dagli eletti, ma anche tutti i gruppi di interesse legati agli eletti nell’opposizione, a parte qualche eccezione.

Siamo punto e a capo, ma con un centrodestra più forte e con uno schieramento opposto molto indebolito. Il dato che riguarda i partiti maggiori è stato influenzato senza dubbio dai leader nazionali Meloni, Schlein, Conte e Tajani. Questa influenza ha consentito nuovamente, come accadde con Salvini nel 2019, di “nazionalizzare” la competizione inquadrandola anche in una cornice “ideologica”: destra-sinistra-centro. Cornice che si è trasformata in uno specchietto per le allodole giacché in Basilicata questa distinzione non ha senso da almeno 30 anni nelle competizioni regionali. Ma tant’è. Il risultato è evidente.

Basilicata Casa Comune, oltre a creare confusione nella campagna elettorale e danneggiare tutto il fronte del centrosinistra porta a casa una bella fetta di voti, sottratti al campo opposto al centrodestra. Chiorazzo non ha aggiunto nulla, ha tolto, facendo incetta di preferenze. Missione compiuta, sarà uno dei leader del centrosinistra in Basilicata, la qualcosa non fa sperare nulla di buono per il futuro.

La lista Volt, che avrebbe dovuto pescare dall’astensionismo, ha pescato nello stesso lago del centrosinistra. Ma qui il danno è lieve. Le altre liste minori del “campo largo” che avrebbero dovuto rappresentare l’alternativa anche all’interno dell’alleanza Marrese-Chiorazzo-M5S-Macchia e compagni, non hanno fatto altro che portare acqua al mulino del Sistema. L’avevamo anticipato. Gli elettori non si sono fidati, non hanno avuto fiducia nella capacità di questi candidati alternativi non solo di essere eletti, ma nel caso lo fossero stati, di promuovere il cambiamento necessario all’interno della politica. Anche loro come Volt avrebbero dovuto pescare nell’astensionismo, ma l’esca non ha funzionato. Il famoso esempio delle mele marce di Pietro De Sarlo è la sintesi perfetta di quello che gli elettori avrebbero pensato in questi casi: “Una mela sana in un cestino di mele marce non ha mai sanato quelle marce!”.  Il risultato è che la lista Avs ha riportato dentro l’istituzione un già vicepresidente del Consiglio Regionale e già Amministratore unico del Consorzio Industriale di Potenza. Un socialista figlio del Sistema. Un bel passo indietro per chi voleva il cambiamento e sperava nell’elezione di facce nuove e competenti. Ma, ripeto, lo avevamo anticipato, senza essere ascoltati. Il M5S ha grosse responsabilità.

Sarebbe andata diversamente, forse, se tutte le “mele che si ritengono sane” si fossero coalizzate in un progetto politico chiaro, alternativo, radicale e frontalmente contrapposto al vecchio sempreverde e trasversale sistema di potere. Sarebbe andata diversamente nel senso della costruzione di un campo culturale e politico che avrebbe puntato alle prossime elezioni regionali. E questo perché solo un ingenuo o un vanitoso avrebbe potuto immaginare la sconfitta della destra.

Ci auguriamo che questo progetto politico abbia fiato sin da oggi. Perché, lo ripetiamo, fuori da ogni recinto ideologico la Basilicata può vincere soltanto se entra in campo un fronte politico anti-sistema, alternativo al campo di dominio e di potere trasversale consolidato sia a “destra che a “sinistra” che al “centro”. E lo diciamo subito, anzi lo ribadiamo: senza cultura politica, senza riferimenti ideali non si va da nessuna parte. Con l’autoreferenzialità, con i personalismi, con la pretesa di essere i migliori si torna indietro. C’è una verità che assomiglia a un motto: tutti sanno qualcosa e nessuno sa tutto, tutti sanno fare qualcosa e nessuno sa fare tutto. È una verità importante. Le buone intenzioni di alcuni, in una condizione come quella lucana, rischiano di trasformarsi in alimento per le cattive intenzioni degli altri. È accaduto. Si può ripartire, ma da una forte opposizione sociale, perché da quella in Consiglio regionale non ci sarà molto da aspettarsi.

Molto di quanto accaduto con l’esito delle urne lo abbiamo previsto e scritto nelle settimane e nei mesi scorsi, anzi in qualche caso lo scriviamo da anni. Ma l’ascolto e il confronto non sono doti diffuse.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il Sistema si è riaccomodato più forte di prima. Basta guardare gli eletti, a parte qualche novità che misureremo nel tempo. Carmine Cicala, Michele Napoli, Francesco Cupparo, Aliandro Gianuario, Pasquale Pepe, Mario Polese, Marcello Pittella, Piero Lacorazza, Roberto Cifarelli, Giovanni Vizziello, Cosimo Latronico, Michele Casino, Nicola Morea, Domenico Tataranno, Antonio Bochicchio, Angelo Chiorazzo e Piero Marrese, ringraziano. Come accade da 30 anni tutto si muove senza nulla spostare. Da domani partiranno le richieste nel centrodestra, o meglio le pretese di chi per cento voti non è stato eletto, pur avendo raccolto un consenso di tutto rispetto. Da domani nel centrosinistra e nel M5S partiranno gli editti, le richieste di dimissioni, la caccia ai colpevoli. È una storia infinita. Non siamo ottimisti e come scrive Pietro De Sarlo in un articolo pubblicato oggi, sarà dura.

Ma perché vincono sempre i gattopardi e i camaleonti? Partiamo da quella che definiamo “base sociale del consenso”. Chi sono gli elettori lucani? In una regione dove quasi il 50% delle persone è analfabeta funzionale, la base sociale del consenso è qualitativamente scarsa. Che cosa significa qualitativamente scarsa? Vuol dire che il cittadino non ha gli strumenti intellettuali per distinguere il buono dal cattivo, una proposta seria da una farlocca, un personaggio ambiguo da una persona perbene. Non ha gli strumenti sufficienti per interpretare in modo corretto un testo, un ragionamento, un discorso. Vuol dire che ha una capacità critica, nel senso dialettico, pari a zero. Soprattutto, vuol dire che semplifica fatti e accadimenti e si fida esclusivamente della propria percezione intorno alla quale sviluppa un ragionamento rozzo che la confermi. “È un amico”, “Mi ha aiutato in ospedale”, “Mi piace come parla”, “Ci difende dagli immigrati”, e così via, sono semplificazioni che consentono a tutti di motivare una decisione, altrimenti irragionevole.

Ora, sarebbe complicato qui spiegare le ragioni di tanta scarsità. Concentriamoci sull’affermazione che “una base sociale del consenso di scarsa qualità, genera rappresentanti eletti di scarsa qualità e istituzioni scadenti.” E questo accade da sempre, soprattutto nei territori non a caso più disagiati e non solo del Mezzogiorno.

Forzando un po’ la mano, e semplificando a nostra volta, diciamo che almeno il 50% del voto espresso non è un voto di opinione qualificata. Eppure, è proprio questa tipologia di voto a influenzare nettamente l’esito elettorale. Si tratta di elettori che si informano prevalentemente sui social e che confondono l’informazione con la conoscenza. A questo 50% dobbiamo aggiungere una parte di elettorato che, seppure alfabetizzato, organizza il consenso sulla base degli interessi personali, corporativi o erroneamente ideologici.

Dunque, non è con gli elettori che dobbiamo prendercela se non votano secondo le nostre aspettative, ma con la loro incapacità di scegliere in base all’interesse generale. E questa incapacità deriva dal fatto che siamo una società egoista nella quale ognuno egoisticamente si adatta. E perché questo? Per tante ragioni, anche storiche, tra le quali la cattiva pedagogia di una politica che ha alimentato e continua ad alimentare comportamenti elettorali sbagliati. Ora viene da sé che quella politica ha bisogno di quelle comunità e viceversa. Una sorta di circolo vizioso che nessuno al momento è riuscito a spezzare.

Che fare? Sarebbe facile proporre l’idea per cui solo la cultura potrà salvarci. Eppure, è solo da una qualificazione della base sociale del consenso, da una crescita della sua qualità, che passa il cambiamento reale, in meglio, delle condizioni civili ed economiche di un territorio. Cittadini intellettualmente e culturalmente attrezzati eleggono rappresentanti all’altezza delle sfide di qualità. E quando diciamo “cultura” non lo diciamo in riferimento alla sola istruzione ma soprattutto in riferimento alla qualità della dotazione simbolica degli individui e delle comunità. Vale a dire la capacità di leggere e interpretare fenomeni politici, sociali, economici. La capacità di leggere e interpretare discorsi pubblici e di accedere con cognizioni di causa alle decisioni pubbliche. Ripetiamo, sarà dura.