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Stellantis Melfi: “A febbraio ho lavorato solo 4 giorni”

11 marzo 2024 | 17:27
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Stellantis Melfi: “A febbraio ho lavorato solo 4 giorni”

La voce degli “esclusi” dal ciclo produttivo. Spesso si tratta di lavoratori con limitazioni. E intanto sulle postazioni si corre e non c’è spazio per chi si ferma. Saturazioni sempre più sù. “Stiamo lavorando al 120%, mai andati così veloci”, dicono al Montaggio

Cresce un fenomeno che avevamo già segnalato le scorse settimane, sulla linea di San Nicola di Melfi. Giungono conferme dalla Meccanica, dalla Qualità e dal Montaggio. “Il mese scorso – spiega un lavoratore che preferisce non specificare il ‘Reparto’ – ho lavorato solo 4 giorni. A marzo finora un giorno solo”. E ciò, accade, a suo avviso, “non solo tra coloro che sono appena rientrati da Pomigliano, ma anche tra chi è rimasto sempre a Melfi”.

Sarebbe la cosiddetta “Cassa integrazione a rotazione” a non funzionare. “Ci sono casi ancora più eclatanti del mio – assicura l’operaio – colleghi che lavorano un giorno al mese. E a voi sembra giusto che in alcune Ute i capi chiamano sempre gli stessi, mentre si tende ad escludere altri dalla catena produttiva?”. Il rischio, aggiunge “è che possano esserci serie conseguenze sia sulla busta paga, sia su ratei, ferie e tredicesime. Dobbiamo chiamare per forza un sindacalista per farci rispettare. E chi non ha la tessera?”. Ciò che ipotizza, in sintesi, è che su alcune linee si sia sviluppato il predominio dei capi che “decidono loro chi chiamare, nonostante la regola dovrebbe essere Cassa a rotazione per tutti”. Aumenta quindi la quota di lavoratori, i quali, vuoi per limitazioni, vuoi perché “non simpatici a chi decide” sono costretti a stare “a casa sempre più tempo”. E questo è un problema, un punto di vista che sta prendendo sempre più corpo nei ragionamenti degli operai.

A sentire però chi opera al Montaggio, quindi nel cuore della produzione, ciò che sta accadendo sulla linea è qualcosa che non si era mai visto. E getterebbe una luce anche sul perché di talune “esclusioni”. “Sì, è vero che la rotazione non è omogenea e c’è chi lavora di più – spiega la fonte – però vi posso assicurare che lì si sta lavorando a velocità che prima non si erano mai viste. Chi ha limitazioni, o chi non è abituato, fa bloccare la linea, mentre i capi vogliono che si produca sempre di più”. Inquietante come concetto, ma a quanto pare, “continuano a togliere personale e meno persone devono produrre anche per quell’unità tolta per postazione”.

Per chiarire meglio, l’operaio si affida al concetto di saturazione, con cui si intende il massimo della produzione possibile con quelle unità di lavoro. “Se nel 2015 andavamo fino al 80% e in molti protestavano perché sembrava esagerato, ora quella soglia l’abbiamo ampiamente superata”. A suo dire, infatti, rispetto alle operazioni al minuto che si eseguono, “a questo punto, senza esagerare, saremo arrivati ad una saturazione del 120%”. Lascia intuire, l’operaio, che “se ti cade una vite a terra mentre la infili, il tempo di raccoglierla e l’auto te la ritrovi già 5 metri più avanti, non ce la fai”. E ancora: “Guardate, siamo abituati da tanti anni, e oggi anche chi è più abituato e veloce si sta chiedendo fino a che punto vogliono tirare la corda”. Fino a che punto si possono “aumentare” le saturazioni, si chiede il lavoratore. Anche in questa chiave si potrebbe leggere la presenza più massiccia di “alcuni” operai più abituati, a discapito di altri ormai alle prese con problemi fisici e che non ce la fanno più a rincorrere i ritmi di “quando erano giovani”. Ma se è vero che le saturazioni sono schizzate così in alto, la domanda è: perché non intervengono direttamente i sindacati, con le loro segreterie e rappresentanze, invece di annunciare tavoli (ministeriali) su tavoli (regionali), che poi conducono puntualmente ad un nulla di fatto?