Stellantis, il racconto di un operaio: “A Pomigliano mi hanno trattato come un essere umano”
Giovanni, di rientro dalla trasferta campana: “L’ultimo giorno è scappata la lacrimuccia. A Melfi invece i capi sono scorbutici, ti controllano ad ogni passo. Si lavora senza sorriso”
Storie che non ti aspetti, persone che si incontrano per caso su una linea ma che si affezionano. Nuove amicizie. L’esperienza di chi da Melfi è stato in trasferta a Pomigliano porta con sé anche questi aspetti che hanno a che fare con l’umanità, con i sentimenti. Racconta un operaio del Montaggio (Giovanni, nome di fantasia) da poco rientrato a Melfi. “Forse per la prima volta dopo tanti anni mi sono sentito trattato come un essere umano, non solo come quel ‘numero’ che sei sulla linea”. All’inizio, racconta, “tutti ci siamo sentiti spiazzati, pensavamo che la trasferta che ci è stata imposta sarebbe stata come una nuova caserma, una sorta di leva obbligatoria”. Invece, nell’hinterland napoletano tanti lucani hanno scoperto dei valori aggiunti, che, partendo dal lavoro quotidiano, hanno lasciato segni più profondi.
“Lavorare senza il capo che ti tiene il fiato sul collo e ti controlla – sottolinea l’operaio – Sapere che devi fare il tuo e vieni apprezzato per quello che fai..”. A Melfi, probabilmente, era da tempo immemore che non si creavano condizioni di lavoro così agevoli. “Da noi non ho mai sentito dire ad un capo: grazie per quello che hai fatto. Non mi sono mai sentito così apprezzato”. Ad emergere sarebbe anche il clima di ‘odiosa’ sudditanza che da troppo tempo si respira nella piana lucana di San Nicola, dove intere Ute sarebbero gestite come condomini. “A Melfi non ti guardano neanche in faccia, e c’è un controllo quasi ossessivo su ciò che fai, su come lo fai. Ognuno tenta di farsi bello e di far valere la propria posizione di comando. Capi scorbutici, torni a casa sempre nervoso pur avendo fatto il tuo. Alcune volte ti chiedi: cosa ho fatto per meritarmi il rimprovero, perché quello sguardo così freddo del superiore in grado..?”.
Una condizione del tutto diversa rispetto a quanto vissuto in Campania. “I capi sono più gentili, i colleghi più affabili, credo che questa differenza l’abbiano potuta notare un po’ tutti i colleghi in trasferta. Se lavori vieni apprezzato”, ribadisce il lavoratore. E così l’ultimo giorno è stato un po’ come il suggello di un’amicizia, più che di un ordinario rapporto di lavoro. “Ritorna a trovarci, sarai nostro ospite”, si è sentito dire l’operaio subito prima di rientrare in Basilicata. “Saremo amici per sempre”, gli ha detto il collega campano al Montaggio. E ancora: “Speriamo di ritornare a lavorare insieme”. Più un arrivederci, che un addio. Sembrano quelle amicizie di altri tempi, ormai desuete, che vanno ben oltre i convenevoli formali e di rito. In una realtà veloce e fredda, su una linea in cui sono i numeri di matricola e di produzione a contare, sentire storie di vicinanza emotiva, fa un certo effetto.
“Adesso basta perché sennò scappa la lacrima”, si congeda l’operaio. Ma commuoversi forse è eccessivo. Infatti è già tempo di rientri. Su una linea, quella di Melfi, dove troppi operai insistono su spazi ristretti. Troppa competizione. I capi col fiato sul collo. E con la multinazionale che sarebbe perfino intenzionata a concedere ‘nuovi incentivi al licenziamento’. Anche offrendo qualche euro in più rispetto al passato, pur di sfoltire le troppe maestranze presenti. Il passaggio all’elettrico è come un brutale giro di vite. Poche le strette di mano. Ancor meno gli attestati di stima. Eppure, a poche centinaia di chilometri, pare esserci ancora un pianeta un po’ più umano. Seppur nella ‘galassia’ Stellantis. Storie che fanno riflettere. Almeno per un attimo.