Elezioni in Basilicata: Perché un oculista e non un geriatra?

14 marzo 2024 | 11:46
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Elezioni in Basilicata: Perché un oculista e non un geriatra?
De Filippo, Chiorazzo e Letta (Foto da FB)

Dopo le ruspe sulla democrazia, meglio che arrivi la tempesta. Non rimane che l’arma della protesta eclatante, quale?

La popolazione lucana è invecchiata e continua ad invecchiare drammaticamente perciò sarebbe stato meglio proporre un geriatra come candidato presidente anziché un oculista. Ma tant’è. In fondo le persone anziane hanno problemi alla vista. Ma qualcuno pensa davvero che un medico del taglio di Domenico Lacerenza possa guidare una Regione? Ne vedremo e ne sapremo delle belle. A parte le battute, veniamo al dunque.

Il travaso dei poteri dalla vecchia nomenclatura alla compagnia dei sacri affari

Quando non si ha una visione, una prospettiva di futuro, si ricorre ai punti di vista. E quando quei punti di vista riguardano le collocazioni di potere, il posizionamento elettorale, le questioni di affari, metterli insieme in quadro comune diventa complicato. Ecco che dal cilindro, nell’ultimo istante utile, il centrosinistra lucano azzoppato dalle faide interne, tira fuori un personaggio che di vista dovrebbe intendersi. Un signor nessuno, almeno politicamente, utile a perdere una partita già persa. Ma se per miracolo dovesse vincere nessuno dei nuovi gattovolpisti del Sistema avrebbe nulla da temere. Qualcosa non quadra. Abbiamo assistito, in questi mesi nel centro sinistra, a uno spettacolo indecoroso di colpi bassi, inganni, guerra tra bande armate di cinismo e interessi per decidere il nome di un candidato. E come va a finire? Il nome di un medico mette tutti d’accordo. Qui i politici sono ossessionati dalla sanità, chissà perché. Sembrerebbe che all’improvviso tutti abbiano messo da parte gli interessi dei gruppi di appartenenza, tutti abbiano sacrificato una costola del proprio potere sulla politica e sull’economia. Tutti, dopo una guerra che ha provocato disastri.

Invece, così non è. Nessuno ha messo da parte niente. I clericali, legati a vasti mondi della finanza e dell’imprenditoria, puntano a costruire un partito, Italia Bene Comune, con un leader nominato da chissà quali cerchi dell’Olimpo dei poteri in crisi di astinenza. Questo fronte, ha ottenuto quello che voleva: disgregare il campo largo, spaccare il Pd, ridurre in frantumi il M5S per prepararsi a dominare la scena futura. Scelgono un medico – di cui avremo modo di occuparci con maggiori dettagli – la cui carriera pare sia stata caldeggiata dalla politica e da esponenti come Vito De Filippo. Quel medico, gradito all’uomo del clero autore del crollo di tutti i ponti di collegamento tra le forze progressiste, è la persona giusta per il travaso di potere dalla vecchia nomenclatura di “sinistra” alla nuova “compagnia dei sacri affari”. Dicono che l’oculista sia stato scelto da Elly Schlein e da Giuseppe Conte. Non è vero, ma se fosse vero, potremmo dire che la decisione è stata assunta da due leader che conoscono a malapena la Basilicata ritenendola marginale nei calcoli elettorali che contano. Ad ogni modo, Lacerenza non è un altro Trerotola, non lasciatevi ingannare: sarà un ottimo “compagno di merenda”.

Appena diffusa la notizia della nomina del medico, alcuni del Pd si sono affrettati ad invitare il segretario regionale a convincere quel signor nessuno a ritirare la disponibilità a candidarsi. Il segretario neanche ci ha provato. Quest’ultimo è autore di una commedia senza precedenti, confuso come un camaleonte in una vasca di Smarties, al pari di Arnaldo Lomuti. Sono alcuni dei maggiori responsabili del disastro. E gli altri? Speranza, Bubbico, Folino, Santarsiero eccetera eccetera: tutto bene, vedrete che dopo la cocente sconfitta del campo sempre più ristretto, tutti addosseranno la responsabilità a tutti gli altri. E tipi come Donato Macchia, Giampiero Maruggi e compagni rideranno facendo finta di piangere. Ad ogni modo non è detto che Lacerenza resti il candidato, ormai siamo abituati ai colpi di sceneggiata.

Le dichiarazioni seguite alla nomina del candidato sono a dir poco offensive dell’intelligenza dei lucani. Le tralascio tutte tranne una, esemplare, quella di Chiorazzo: “Domenico Lacerenza rappresenta una nuova storia per la Basilicata. Il lavoro ha dato frutto, siamo uniti e competitivi”. Uniti chi? Competitivi come? Di quale nuova storia parla? L’imprenditore clericale non smette di prenderci in giro. Certo è che Azione, Italia Viva e Socialisti al momento stanno decidendo se andare a destra o costruire una coalizione alternativa a Lacerenza e a Bardi, puntando allo stesso modo di Chiorazzo sullo smembramento del Pd e sull’inconsistenza del M5S.

Per avere un quadro più completo e analizzare altri aspetti di tutta la vicenda occorre attendere ancora qualche giorno. I nomi dei candidati nelle liste ci sveleranno altri arcani.

Trasformare lo sfascio in un formidabile progetto di riscatto

E adesso? La matita non servirà. Servirà una vergata d’orgoglio, una rivoluzione, questa sì pacifica e democratica, che sia da esempio al Paese intero. Per tutto questo tempo nessuno dei partiti in campo ha avuto rispetto degli elettori e dei cittadini, alla faccia della democrazia. Il dibattito elettorale ridotto a scontro interno alle “confraternite” in conflitto e riservato a pochi azionisti di quelle aziende che si ostinano a chiamare “partito politico”. Spesso sigle senza contenuto politico né ideale. Sigle senza un programma, una prospettiva, una visione da sottoporre al discorso pubblico e alla pubblica deliberazione. Cittadini tenuti fuori dalla porta delle stanze riservate in cui si decidono le sorti del denaro pubblico e del patrimonio di risorse della Basilicata.

E allora? Che continuino a fare tutto da soli, anche nell’urna. Si votino tra di loro, senza il sostegno della partecipazione figurativa alla sceneggiata del “voto dovere civico”. Domani non potranno dire: i lucani hanno scelto, il popolo ha deciso. No: avrete fatto tutto voi, ma la democrazia vi avrà seppellito sotto le vostre stesse pretese “monarchiche”. Chiunque andrà al governo della regione, governerà senza il consenso della maggioranza dei lucani. Nessuno potrà cantare vittoria su un terreno democraticamente e politicamente dissestato. Anzi, chiunque siederà in consiglio regionale perderà credibilità e autorevolezza.

Chi si affanna ad insistere con la solita giaculatoria del “voto dovere civico”, del “voto protagonismo dei cittadini”, mente. Anche il non voto è una forma democratica di partecipazione, un modo per esprimere una scelta. É dunque un dovere civico, un voto anch’esso. Se l’astensione si trasforma in protesta organizzata finalizzata a ridare senso e potere al voto, qualcosa potrà cambiare. Il non voto è l’altra faccia della medaglia del voto, ed ha la stessa dignità attribuita alle urne, purché non sia una forma di pigrizia civica, di rassegnazione e qualunquismo.

In Basilicata, in queste condizioni, occorre dare un valore politico di partecipazione popolare all’astensionismo che si organizza per lanciare l’allarme e dare una spinta al cambiamento. Il messaggio sarà chiaro. E dunque, si esprima un voto alternativo per dire basta.  Si organizzi una forma di attivismo del voto di protesta contro il Sistema Basilicata che diventi movimento per costruire un percorso culturale, politico alternativo con l’obiettivo di portare alle urne, tra qualche anno, la maggior parte dei lucani e ripristinare la democrazia, la partecipazione e il diritto al voto, per ripoliticizzare l’azione sociale e civile e le relazioni comunitarie. Ecco, i movimenti politici e civici alternativi che si svegliano soltanto nelle fasi elettorali, adesso hanno una possibilità: organizzare il non voto per farne un movimento politico e culturale. “Il voto non voto” si può esprimere recandosi alle urne per ritirare la scheda senza entrare in cabina e restituendola al presidente del seggio. Oppure l’elettore si reca al seggio e rifiuta la scheda. Si può votare scheda bianca o si può annullare la scheda con una frase o una parola di protesta intestata al movimento dell’astensionismo generativo: “non ci sto!” Questo è già il seme, mai coltivato, di un “partito di massa”. L’astensionismo generativo trasforma il non voto da gesto individuale e privato a protesta collettiva e sociale. Può sembrare una provocazione, ma qualcuno ci pensi seriamente. L’obiezione banale a questa ipotesi: “ma così vince la destra!” La destra ha già vinto, a prescindere. Tuttavia, è il Sistemache bisogna combattere, altrimenti a perdere saranno sempre i lucani e la Basilicata, comunque vada.

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