Basilicata delle meraviglie: breve viaggio nel catalogo delle incertezze

4 febbraio 2024 | 13:12
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Basilicata delle meraviglie: breve viaggio nel catalogo delle incertezze
Uno scorcio della Rabatana

Dalla Rabatana di Tursi al saccheggio della cultura

Il Borgo della Rabatana di Tursi è qualcosa di meraviglioso. Appena mi sono lasciato andare tra le sue braccia ho trovato la sintesi per descriverlo: silenzio nell’immensità di un paesaggio sospeso nel tempo. La storia di passi antichi, millenari, la leggi sul selciato di pietre dei vicoli storti. E pensi al via vai dei goti prima, dei saraceni dopo e dei bizantini più tardi. Oggi poche anime abitano quello scrigno incantevole.

Su e giù per quelle stradine che conducono al castello che non c’è più. Sali e scendi in un percorso che non è mai lo stesso: dipende da chi sei, da come sei, dal tuo rapporto con l’imprevedibile. Cammini nelle viscere di qualcosa che ti prende dentro: un silenzio che ti porta a ballare nelle strettoie del viaggio.

Stasera c’è una festa: si inaugura una locanda nel cuore della Rabatana. Ci vuole coraggio, e Diego ne ha da vendere. Tante persone accorrono ad applaudire. E scopri subito che sono persone, non individui. Parlano, ridono, suonano, si abbracciano. Senti energia di comunità, di amore, di rispetto gli uni degli altri. Una piccola folla di donne, uomini, bambini che mette in scena la quiete nel chiasso dell’allegria: sì, perché in mezzo a loro avverti una catarsi aristotelica, il mondo della falsa modernità smette di contaminarti. Ecco, la Rabatana è la quiete che si materializza in una corazza simbolica di cui tutti abbiamo bisogno. Non è un’armatura, ma un guscio di piume che ti allontana dalla “morte del prossimo” di cui parla Luigi Zoia (2009). Ovunque qui volgi lo sguardo nessuno è orfano dell’altro. La solitudine è benefica o non esiste. E tuttavia, quella quiete si muove nell’inquietudine raccontata da Vito Teti nel suo libro “Terra inquieta” (2024). Diego, invece, è l’emblema dell’erranza e della restanza di cui ancora Teti scrive nel suo “La Restanza” (2022).

Antonio, uno degli esponenti dell’associazione “Non solo 58”, ci porta a visitare il convento di San Francesco d’Assisi risalente alla prima metà del XV secolo. La struttura si trova sull’omonima collina che affaccia sul dirupo oltre il quale svetta la Rabatana. Il convento e il borgo si guardano in faccia e chissà di che parlano. Attraversiamo a piedi un sentiero mal curato, qualche centinaio di metri ed ecco il convento. Qui capisci che la bellezza sopporta tanta sofferenza. La storia e la magnificenza degli uomini vittime di altri uomini. Incuria, vandalismo, disprezzo per se stessi. Un luogo abbandonato al vacuo saccheggio della cultura. Un disastro. E qui il desiderio di tornare nella Rabatana si fa bisogno fisico, necessità psichica. Avverti l’urgenza di ubriacarti di quiete, di bellezza, di storia, di rare persone. Mi saltano in mente, come una consolazione, i versi del mio amico poeta Alessandro Cannavale nel suo ultimo libro L’agguato della tenerezza: …S’è fatta notte: camera con vista sul catalogo delle incertezze.

Alcuni scorci della Rabatana

Rabatana

Le condizioni del convento di San Francesco

convento

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