Una storia lucana incredibile: giovani che si creano un lavoro e il Comune gli impedisce di lavorare

31 gennaio 2024 | 13:13
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Una storia lucana incredibile: giovani che si creano un lavoro e il Comune gli impedisce di lavorare

In una terra dove i ragazzi emigrano, loro si rimboccano le maniche e si danno da fare, ma chi dovrebbe aiutarli li ostacola. Inspiegabile

Gentile Redazione di Basilicata24,

Fino a che punto può arrivare il potere di un ufficio comunale?

E’ una domanda che mi sono posto quando ho visto notificare la sospensione dell’attività ad una cooperativa che gestisce un ristorante e una pizzeria: per lo più giovani, ex disoccupati, che decidono di rimboccarsi le maniche (perché tanto il lavoro in certe aree del sud non arriverà mai) e provare a costruirsi un futuro.

E’ una storia che si fa fatica anche a raccontare.  Giovani disoccupati costituiscono una società cooperativa a cui ognuno parteciperà conferendo il proprio lavoro: pizzaiolo, cuoco, cameriere, barman. Tutto è regolare, dai locali ad ogni altro aspetto; tutto è pronto: scorte di merce, volantini promozionali, programmazione di eventi per il fine anno, prenotazioni per gennaio e febbraio. Pronti ragazzi?… via!

Il commercialista invia la Scia (segnalazione di inizio di attività) e con entusiasmo si parte.  Tre giorni dopo una doccia gelata su tutti! Il dirigente dell’ufficio comunale invia una pec con l’ordinanza di sospensione dell’attività! Perché? “Avete debiti tributari pregressi, la legge ci permette di chiudere la vostra attività”. Ma come facciamo ad avere debiti se siamo aperti da tre giorni?

Eh no cari, la società che era insediata nei locali prima di voi non ha pagato la Tari e adesso dovete pagarla voi se volete proseguire l’attività. Ma noi cosa c’entriamo con quella società debitrice? Nessuno si degna di rispondere scrivendo due righe. Silenzio.

Allora i soci decidono di fare ricorso al dirigente in autotutela, spiegano che sono appena nati, che non possono già avere peccati originali di cui pentirsi, che non hanno nulla a che fare con qualsiasi altra precedente società debitrice, che non hanno nessun debito, che hanno bisogno di lavorare ecc… Nessuno si degna di rispondere. Ancora silenzio.

Allora non rimane che fare ricorso al Tar, dice l’avvocato, per la sospensiva dell’ordinanza comunale che inibisce l’attività. Quattro giorni dopo il Tar risponde, in sintesi, che “non ci sono gli estremi per la sospensiva, non c’è la prova dell’urgenza, quindi fate pure ricorso ordinario…ne riparliamo tra un anno se tutto va bene.”

Non c’è urgenza? Sei persone che non possono più lavorare per ordinanza di un dirigente…non è cosa urgente per il Tar? Nel frattempo cosa si fa? Gli affitti dei locali bisogna pagarli comunque, così come tutte le altre imposte locali! E i soldi già spesi per avviare l’attività e i mutui? No, non c’è urgenza.

C’è da chiedersi se siamo ancora in uno stato di diritto. Se queste cose accadono solo perché siamo in un paesino di 4500 abitanti della Basilicata o accadono anche altrove. Se l’amministrazione comunale, che si definisce di sinistra, è davvero sinistra e diabolica.

C’è da chiedersi se si possa amministrare una città o dirigere un ufficio senza un minino di cultura giuridica, di rispetto per chi lavora, senza la consapevolezza della necessità di un uso attento e responsabile degli strumenti amministrativi affidatigli, che possono arrivare ad uccidere, aziende e persone.

E il Tar che liquida in quattro giorni la vicenda (rimandando alle calende greche per il giudizio di merito) senza degnarsi di richiedere un minimo di approfondimento, senza volerci vedere chiaro, senza pensare che la prima cosa da tutelare è il lavoro e chi lavora? A che ci serve, a chi serve un Tar così? Che ci resta da fare?

Se una cooperativa non riesce a pagare un tributo comunale, il rimedio giusto è quello di impedirgli di lavorare? Ma se non può lavorare…come farà a pagare i suoi dipendenti e gli stessi tributi arretrati?  Davvero in uno stato di diritto si può arrivare fino a tanto? Se è così io ho paura. Scusate lo sfogo. Firmato, Felice Moccia

Egregio signor Moccia, in effetti abbiamo verificato. Non risulta che la nuova cooperativa sia stata interessata da alcuna cessione aziendale, o fitto di ramo d’azienda o da fusione con altra azienda, ancor meno con la società che aveva in mano la precedente gestione. E dunque, avendo letto la nota del Comune con la quale si determina il divieto di prosecuzione dell’attività appena intrapresa, non riusciamo a spiegarci l’episodio. Sappiamo che è stata coinvolta anche la Prefettura, ci auguriamo che qualcuno in tempi brevi risolva la questione. Questione che a noi pare kafkiana. In punta di diritto, è davvero assurda. Siamo certi che il Comune di Rapolla saprà spiegare e risolvere questo che appare come un grosso equivoco.Qui il provvedimento del Comune

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