Stellantis, ormai è tutto chiaro: le chiacchiere del ministro Urso stanno a zero

21 gennaio 2024 | 12:03
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Stellantis, ormai è tutto chiaro: le chiacchiere del ministro Urso stanno a zero
Il ministro Urso e Vito Bardi

Tavares sta disinvestendo in Italia e gli impegni assunti sono smentiti dai fatti

Il ministro Urso, in questi giorni in Basilicata, è apparso – a buon ragione – in difficoltà. Sa bene che Stellantis aveva assunto l’impegno di portare la produzione in Italia a un milione di veicoli: oggi il dato è un misero 400mila auto. Rispetto al 2022 nel 2023 la multinazionale ha subito un calo della quota di mercato di circa due punti. Intanto, anche gli operai di Mirafiori stanno per tornare in cassa integrazione. Urso, tanto per calmare gli animi, nel suo realismo ci mette una pezza improbabile: “Stiamo lavorando perché una seconda casa automobilistica possa insediarsi nel nostro paese”. L’idea è che con il nuovo investitore si riesca a raggiungere la produzione di 1,4 milioni autovetture in Italia. Dunque, neanche Urso sa bene che fare, se non aggiungere qualche goccia di speranza sui malumori e le preoccupazioni del sindacato e dei lavoratori.

La Fiom Cgil ha capito più degli altri quello che sta accadendo e per questo – a giusta ragione – fa prevalere le preoccupazioni sull’illusione che tutto andrà bene. La Fiom non si fida di Tavares e tanto meno del ministro Urso e dei politici locali. In questo legittimo eccesso di preoccupazione propone, però, soluzioni alla Urso: vale a dire irrealizzabili. “La transizione ecologica dovrà realizzarsi – afferma la Fiom – investendo su innovazione e formazione e non con il peggioramento delle condizioni di lavoro e di salario”. E ancora: “Abbiamo chiesto di fermare i licenziamenti, di investire sulla formazione dei lavoratori, di trovare forme di riduzione di orario per garantire il lavoro a tutti a parità di salario.” Siamo tutti d’accordo, ma c’è un problema: questo non accadrà. Il mercato mondiale dell’auto è entrato nel vortice di una competizione senza precedenti e le giuste rivendicazioni della Fiom se accolte indebolirebbero le capacità competitive della Stellantis, nel fare profitti si intende, e di qualunque casa automobilistica volesse investire in Italia.

La competizione è sui costi e sull’innovazione tecnologica, le due cose stanno insieme: più tecnologia meno costi, vale a dire meno lavoratori più automazione. Elettrico o no, è questa la realtà, specie nella logistica e alla catena della fabbrica. E allora? Bisogna pensare su due tempi: presente e futuro.  Il tempo attuale, continuamente sottoposto all’emergenza occupazione e salari per gli attuali lavoratori. Da questo punto di vista la lotta sindacale deve farsi più “feroce”, superando la fase di indebolimento che dura ormai da decenni, specie a Melfi.  A parte questo, sul tempo attuale i sindacati non possono fare altro di diverso da quanto stanno già facendo. Il tempo futuro riguarda la domanda “che fine faranno i lavoratori delle fabbriche automatizzate?” In breve, che fine farà il lavoro salariato? Una brutta fine o un magnifico nuovo inizio. Dipende dalla capacità e dal coraggio e dalla volontà della politica, dei governi e del sindacato di rovesciare le logiche novecentesche del lavoro. Il futuro è nella liberazione delle persone dal lavoro salariato. Perciò bisogna occuparsi oggi del tempo futuro, per non arrivare impreparati all’appuntamento con la storia. Gli attuali lavoratori di Stellantis e dell’indotto forse riusciranno ad arrivare alla pensione, forse, magari non tutti. Tra crisi, cassa integrazione, patti di solidarietà, riduzione delle giornate lavorate, più o meno potranno farcela, anche se è ragionevole dubitare.