Sanità lucana, lo sfogo di un paziente oncologico: “paghiamo gente incapace”

11 gennaio 2024 | 19:02
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Sanità lucana, lo sfogo di un paziente oncologico: “paghiamo gente incapace”
Foto di repertorio

“Assessori, dirigenti e manager hanno fatto qualche volta un giro negli gli ospedali, nei pronto soccorso, nelle strutture sanitarie della Basilicata? Hanno chiesto ai cittadini lucani quanto tempo devono aspettare per operarsi ad una cataratta o fare una banale radiografia? Auguro a costoro le stesse pene e le stesse traversie che stanno riservando ai cittadini indifesi ed incolpevoli”

Gentile Direttore, ho letto l’articolo sulla vicenda di Carmelisa. Nulla di nuovo sotto il sole. I fatti raccontati confermano quanto scrissi circa un paio di anni fa in un articolo da lei gentilmente pubblicato col titolo “Sanità in Basilicata: i dirigenti non provano alcun imbarazzo verso i cittadini?”, intendendo per dirigenti sia i funzionari amministrativi che quelli che normalmente definiamo politici. Nell’articolo mettevo in evidenza lo stato vergognoso della sanità lucana e il ruolo, peraltro molto ben pagato, di coloro che hanno il dovere e la responsabilità di organizzare e fornire i servizi di cui i cittadini hanno bisogno e diritto. Intascando un sacco di soldi anche in barba a tutti gli operatori, medici infermieri ed altri, costretti a lavorare in condizioni a dir poco disumane. Ma a quanto pare finora non è cambiato niente, anzi dall’ultimo contatto che ho avuto con la sanità potentina e a cui accennerò di seguito, pare che le cose siano addirittura peggiorate. E questi tecnici e politici invece di rassegnare delle oneste e doverose dimissioni quali corresponsabili dello sfascio di questo settore continuano ad occupare pervicacemente quelle poltrone che vengono loro assegnate principalmente per volontà politica e meno per competenza.

Sarebbe molto semplice dare la responsabilità dei disservizi agli operatori di prima linea che hanno diretto contatto con i pazienti. Ma basta guardare qualche numero statistico per capire le dimensioni del disastro nazionale e regionale in termini di condizioni di lavoro, di fabbisogno di figure professionali e stato delle strutture sanitarie. E questa catastrofe non si verifica per caso o per volontà divina ma per precise responsabilità umane e personali oltre che politiche, naturalmente! Riguardo al settore oncologico un elemento fondamentale è costituito proprio dall’impianto organizzativo dei servizi. Anche io sono un paziente oncologico presso lo IEO di Milano, considerato fra i primi migliori al mondo, un minimo di esperienza la sto facendo.

Quello che istantaneamente colpisce entrando in questo Istituto è l’aspetto organizzativo, certamente supportato da grandi professionalità, ma che già di per sé trasmette un grande senso di sicurezza molto importante per queste patologie. Quando, poi, si entra nel meccanismo di ricovero si rimane stupiti nel rendersi conto che immediatamente si è avvolti da un sistema discreto ed efficiente che prende in carico automaticamente il paziente in maniera non impersonale e anonima come invece succede in altre strutture di nostra esperienza. Da quel momento, in base al problema da risolvere, ci sarà un medico, un chirurgo, un oncologo, un infermiere o qualsiasi operatore necessario, che sarà a conoscenza del problema e seguirà il malato anche se non ricoverato nella struttura e se il paziente vuole conoscere la sua situazione in tempo reale non deve fare altro che collegarsi al sito dell’Istituto e tramite delle credenziali personali accedere al proprio dossier dove potrà trovare tutti i referti delle visite fatte e tutti i risultati delle analisi eseguite. Inoltre quando a Milano mi hanno operato al tumore i miei familiari e il mio medico da Potenza hanno potuto seguire in tempo reale attraverso una app tutte le varie fasi dell’intervento. E si parla di un intervento di una certa complessità che è durato oltre quattro ore.

E in Basilicata che succede? Quando si parla di tumori la questione assume un significato particolare: molto spesso, purtroppo, si tratta di vita o di morte, ed il tempo si riveste di un significato del tutto diverso rispetto ad altre patologie, per cui anche il ritardo di un solo giorno può essere pregiudiziale per l’ammalato. Ma negli altri settori le cose non vanno meglio. La vicenda ben descritta da Carmelisa è paradigmatica non solo riguardo all’aspetto oncologico ma per tutti i settori della sanità lucana. Qualcuno ricorda la vicenda dell’ASM materana? Non molto tempo fa ad una paziente fu negata la priorità di una indagine a cui aveva diritto e fu necessario l’intervento d’urgenza del TAR per ripristinare la legittimità della richiesta ed imporre all’Azienda sanitaria l’obbligo di compiere il proprio dovere. Ma vi pare possibile che si debba scomodare la magistratura per far applicare una legge dello Stato quando ci sono i dirigenti che le leggi dovrebbero conoscerle ed applicarle? E quindi delle due l’una: o sono degli ignoranti o sono in malafede. E allora che li paghiamo a fare? (Ho scoperto, poi, che la dirigente cui spettava tale compito era anche stata incaricata di dirigere temporaneamente il CROB di Rionero: vale a dire che non si poteva trovare in tutta la Basilicata un medico o un dirigente capace di ricoprire con competenza e nel rispetto degli interessi del cittadino sia pure temporaneamente questo ruolo in una delle poche strutture di eccellenza del nostro territorio!).

Soprassiedo, poi, alla vergogna delle liste di attesa: quanti infermieri, medici e operatori sanitari si potrebbero assumere con le retribuzioni dei dirigenti generali, dei cosiddetti manager, dei consulenti esterni ecc.? Uno dei principali compiti di questi dirigenti consisterebbe solo nell’organizzazione, razionalizzazione e ottimizzazione dei servizi e delle risorse ma i vergognosi risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ultima chicca. Come ho accennato all’inizio, alcuni giorni fa ho avuto un ulteriore contatto con la sanità potentina in occasione della vaccinazione anti influenzale e anti covid consigliatemi per la mia condizione di paziente oncologico. Mi sono ritrovato in un contesto che, se non si trattasse di una questione seria, apparirebbe una situazione da commedia grottesca all’italiana. E mi spiego. Per fare la vaccinazione bisogna recarsi in via dell’Edilizia, sede di una struttura dell’ASP. Dove soprattutto in periodo di recrudescenza di covid ed influenza ci si aspetta di trovare dei locali igienicamente aerati, spaziosi e forniti di sedie nei quali i pazienti (non clienti) possano attendere ordinatamente il proprio turno per effettuare la vaccinazione in tutta sicurezza dal punto di vista di un accidentale contagio.
Invece si finisce in uno scantinato interrato, probabilmente destinato originariamente a garage o a qualcosa di simile, senza alcuna decente apertura per ricambio di aria, insieme ad una moltitudine di persone di età media presumibile intorno ai 65 anni o forse più, che tentano di scavalcarsi a vicenda (alcuni involontariamente, altri meno).

Dietro ad una scrivania di fronte all’ingresso, una signora prende i nominativi dei pazienti in entrata e dopo la registrazione dei nominativi su qualche foglio di carta invita gli stessi a mettersi in fila e a non farsi scavalcare da altri che arrivano dopo. Naturalmente in questa confusione dopo qualche minuto è veramente difficile rendersi conto di chi sta prima o chi sta dopo e trattandosi di persone di una certa età (anche io ho 74 anni) si rischia spesso qualche…incidente verbale! Quando finalmente (io paziente), aiutato da mia moglie, riesco ad allineare un po’ di sedie per far accomodare i convenuti e ordinarne il flusso, si verifica una scena piuttosto comica, consistente nel vedere queste persone sedute che ogni due o tre minuti si alzano contemporaneamente dalla loro sedia per occupare quella successiva lasciata libera da chi entra nei box di vaccinazione all’inizio della fila. Parrebbe di assistere ad una quadriglia! Purtroppo, invece, si tratta di un’abominevole mancanza di rispetto nei confronti di portatori di dignità e diritti, impunemente calpestati da chi profumatamente pagato ha il dovere di provvedere professionalmente alle legittime esigenze dei cittadini. E la questione è tanto più vergognosa trattandosi dei soggetti tra i più deboli e indifesi del nostro sistema sociale. Ci vuole molto a sistemare degli apparecchi eliminacode o a dare indicazioni di fornire bigliettini numerati ai pazienti? Almeno questo i dirigenti organizzatori e responsabili dei servizi sono in grado di farlo? Pare di no. Ripeto: noi paghiamo (e con che cifre!) gente che non riesce a dare indicazioni nemmeno per gestire un banale traffico pedonale in un garage!

Un po’ di tempo fa ho letto degli articoli su un assessore alla sanità che decantava le meraviglie della sanità lucana e di un manager che faceva altrettanto. Ma dove vivono costoro? Hanno fatto qualche volta un giro per gli ospedali, per i pronto soccorso, per le strutture sanitarie della Basilicata? Hanno chiesto ai cittadini lucani quanto tempo devono aspettare per operarsi ad una cataratta o fare una banale radiografia? Per un cittadino disperato sembra facile e naturale scagliarsi contro gli operatori più a portata di mano come i medici e gli infermieri, rimuovendo così l’attenzione dai veri colpevoli dei disastri sanitari locali e nazionali. Non è giusto però che coloro che hanno la responsabilità della sanità territoriale la gestiscano in questa maniera catastrofica nonostante i soldi che percepiscono per questo compito. E’ una vergogna. Dovrà pur succedere qualcosa che inverta questa rotta. E nel frattempo che ciò si verifichi, per parafrasare Erri De Luca, mi appello al mio diritto alla maledizione: nella speranza che imparino dall’esperienza diretta, auguro a costoro le stesse pene e le stesse traversie che stanno riservando ai cittadini indifesi ed incolpevoli.
P.S. La condizione di paziente “emigrante” comporta, oltre a difficoltà psicologiche, esistenziali, organizzative anche disagi economici di rilievo: quante persone possono permetterselo?

Firmato, Eduardo Bellarosa