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“Lavorare senza diritto alla maternità. Ma che ne sanno lor signori”

11 dicembre 2023 | 17:23
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“Lavorare senza diritto alla maternità. Ma che ne sanno lor signori”
Maria Lucia

Il grido di Maria Lucia, lavoratrice atipica lucana, che si rivolge, per sé e per altri 1800 colleghi (Rmi e Tis) alla Giunta Bardi. “Ma che ne sanno loro, che stanno comodamente su una poltrona, cosa vuol dire non poter fare neanche un regalino al proprio figlio per Natale”

“Avete idea cosa vuol dire partorire e dopo tre mesi dover parcheggiare il proprio figlio in una ludoteca, senza usufruire della maternità, e devi anche correre a lavoro sennò ti licenziano?. E tutto per soli 550 euro al mese”. E’ un grido di dolore che esce fuori tutto d’un fiato, quello di Maria Lucia, lavoratrice atipica che rientra nel progetto regionale Rmi (Reddito minimo di inserimento). Una platea a cui si unisce un’altra costola, i Tis (Tirocini di inclusione sociale). In tutto 1800 lavoratori che gravitano in un circolo dei dannati senza una collocazione certa. Procedono di proroga in proroga.

“E’ dal 2017 che faccio parte dei lavoratori Rmi – racconta Maria Lucia – Dopo una dolorosa separazione avevo bisogno di lavorare e ho avuto questa proposta. Mi avevano detto che dopo tre anni di tirocinio, sarei stata inserita nel mondo del lavoro”. E invece sono passati sei anni “e sono ancora qui a sperare”. Ha fatto di tutto, questa giovane donna. “A Ferrandina prima lavoravo a scuola, come supporto agli insegnanti, poi all’Ufficio Tributi del Comune. E ora nella biblioteca comunale”. Ma è un lavoro senza diritti. “Pensate che quando ho partorito, in pieno Covid, dopo tre mesi mi è stato detto che dovevo tornare al lavoro, sennò lo perdevo. Ho lasciato un figlio appena nato in una ludoteca, affidato alle cure di specialiste, a mie spese, perché non avevo diritto alla maternità, come se fosse un reato la maternità”. Un “dolore” e un “senso di impotenza”, quello espresso dalla giovane donna, che non tocca solo lei, ma anche tante compagne e compagni di sventura che condividono la stessa dannazione: un lavoro senza diritti. “Sapete che vuol dire avere e crescere dei figli disabili senza stipendio fisso e senza neanche il tempo di stare dietro a loro come si deve?”. E ancora: “Sapete cosa significa lavorare con un tumore e non poter usufruire della malattia perché questo progetto non lo consente? O perdere un figlio e non poterlo neanche assistere nelle sue ultime ore perché devi lavorare?”. Tutte situazioni, queste, sperimentate da colleghe e colleghi a cui esprime piena solidarietà. “Sapete cosa vuol dire morire durante il lavoro sempre di questo progetto regionale, ma senza assunzione?”. Le parole di Maria Lucia sono rivolte a “coloro che stanno dall’altra parte, seduti comodamente su una poltrona”.

Il riferimento, chiaro, è alla gestione lucana della vertenza Rmi e Tis. Si rivolge alla Giunta regionale e agli assessori vari che se non sono occupati. “Quando parli con loro durante gli incontri sembra che ti capiscono, ti sorridono, ma poi torni a casa e ti rendi conto che ti hanno solo preso in giro e che quel lavoro non sarà rinnovato, possiamo solo accontentarci di proroghe. Ma sono solo boomerang che si ritorceranno contro di noi. “Ma cosa ne sanno loro – rincara Maria Lucia – cosa ne sanno della dignità e di che vuol dire vivere con 550 euro al mese e senza alcun diritto, senza contributi”. La combattiva lavoratrice annuncia: “In nome dei miei colleghi sono pronta a tutto. Se non è servito a nulla incontrare Bardi e la Giunta regionale, siamo pronti a far conoscere la nostra triste condizione anche alla ministra Calderone (Lavoro) e alla presidente Meloni. Ma cosa ne sanno loro, di che vuol dire non poter fare neanche un regalino al proprio figlio per Natale. E magari a casa gli hai anche già detto di non fare capricci in negozio. Cosa ne sanno. Hanno il portafogli pieno ma non sanno niente dei problemi che affliggono le persone”. “Non mi preoccupo solo per me – conclude Maria Lucia – ma per chi sta anche peggio e non riesce neanche a pagare l’affitto con la miseria di 550 euro al mese previsti dal progetto. Ci hanno reso impotenti. Impotenti e senza dignità”.