Cultura e culturalismo in Basilicata
Quell’ostentazione che riduce ogni cosa a un inutile “strombazzamento”. Liberare l’arte e la bellezza dalla mediocrità è come liberare un popolo dall’oscurità
In Basilicata la cultura subisce da anni un progressivo decadimento, specie da quando ogni iniziativa o manifestazione ritenuta “culturale” è automaticamente annoverata nel quadro del “recupero e valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale”. In questo quadro ci sono le risorse, poche, che consentono alla Regione di finanziare o fornire contributi alle attività le più varie: teatrali, musicali, folcloristiche, artistiche e così via. Esiste anche un’altra cornice dentro cui è possibile ottenere contributi e finanziamenti per attività culturali: “Marketing territoriale ed internazionalizzazione dell’offerta culturale e turistica”. Ad ogni modo si tratta di fondi di provenienza statale ed europea. Per farla breve, le risorse destinate alla “cultura”, si aggirano intorno a 1,5 milioni. Briciole.
Nel “recipiente della cultura” c’è di tutto: le arti (cinema, teatro, musica, letteratura, poesia, pittura, scultura, danza), il patrimonio archeologico e museale, i beni artistici, storici e paesaggistici, lo spettacolo. Un pentolone in cui si cucina una strana pietanza, senza alcuna distinzione di ingredienti e con dosaggi a casaccio: il culturalismo provinciale.
Il culturalismo è qui inteso – semplifico per necessità con il dizionario – nel significato di “presunzione vana di cultura raffinata; ostentazione di cultura; eccesso di motivi culturali in opere d’arte, tendenza ad attribuire ad ogni cosa un valore culturale”.
Questa tendenza è anche rafforzata dalla pretesa di assegnare alla cultura una funzione prevalentemente economica: marketing territoriale e promozione turistica. In questa visione il settore culturale è associato spesso a quello ricreativo, aggiungendo in tal modo, confusione alla confusione. E dunque feste, sagre e corsa coi sacchi, sono assimilati, anche nel quadro della programmazione locale, al “settore culturale e ricreativo”. Finanche l’Ufficio regionale che dispensa prebende si chiama “Ufficio Sistemi Culturali e Turistici”.
Il culturalismo, tuttavia, dipende molto dalla qualità dell’offerta e anche del consumo di cultura, ed è causa e conseguenza di una certa mediocrità sia sul versante della produzione sia su quello della fruizione.
Capita spesso che una mostra di fotografica o di pittura, piuttosto banale, assuma una valenza culturale di altissimo livello. E vale anche per la produzione letteraria e poetica, per quella musicale e via dicendo: culturalismo puro. Si mischia a casaccio l’opera d’arte vera con quella banale, il teatro professionale e di qualità con quello amatoriale, la poesia dei poeti con quella degli hobbisti, l’evento culturale di spessore con la rassegna estemporanea di gastronomia, ecc. La conseguenza è che anche le poche risorse si sprecano in questo miscuglio. Anzi, capita che si foraggia con frequenza chi strombazza a discapito di chi fa le cose per bene.
Ma torniamo al fatto. Esiste un problema di qualità della produzione e dell’offerta e di qualità del consumo di cultura. E questo dipende, come abbiamo detto, sia dalla confusione – tutta l’erba è nello stesso fascio – sia dalla mediocrità che prevale nel settore. Tuttavia esiste un’altra variabile, spesso sottovalutata: l’identità, l’impronta regionale della produzione e dell’offerta culturale. Una riconoscibilità fuori dai confini regionali, del teatro, della musica, della letteratura lucani, in quanto produzioni originali e identificabili, sarebbe un grande obiettivo. Purtroppo in Basilicata, allo stato attuale, è più corretto parlare, nella media dei casi, di ri-produzione anziché di produzione.
E dunque, sarebbe necessario fare molta chiarezza e distinguere la cultura dal culturalismo. Separare il buono dal mediocre, il legale dall’illegale, il professionismo dall’hobbistica. Puntare sulla produzione musicale, teatrale, filmica, letteraria, artistica di qualità che aspira all’innovazione e alla seminazione di nuove e originali realtà. Puntare sull’educazione al consumo e al godimento di tutte le forme di cultura che passa attraverso la diffusione e la pratica delle arti nelle scuole e attraverso la conoscenza umanistica. Ben vengano il dilettantismo e il maneggiamento hobbistico della cultura e delle arti, ma si eviti la confusione tra hobby e professionismo. Non si tratta di chiudere in un recinto elitario la Cultura, si tratta invece di salvaguardarne la qualità anche nel quadro di un consumo diffuso e consapevole.
Se si continua a dare soldi a chiunque sulla base di requisiti discutibili l’orizzonte rimane oscuro. Se quelle briciole destinate alla cultura si disperdono nel culturalismo, come accade da tempo, non potremo liberarci dalle sabbie mobili della mediocrità. Lo sviluppo di un territorio dipende molto dalla qualità della produzione culturale e dalla capacità dei cittadini di goderne consapevolmente. Occorrerebbe però che si metta a punto un vero e proprio Piano “industriale” della cultura in Basilicata. Un Piano che non si fa con gli avanzi di bilancio o con le briciole a guisa di prebende o di elemosina. Occorrono risorse, tante, ma soprattutto politici all’altezza di sfide importanti e vitali. Oggi non so se tutto questo sia possibile. Se osserviamo quanto accaduto al Centro Internazionale di Dialettologia, per esempio, per mano dell’assessorato alla cultura, l’ottimismo in tal senso sarebbe azzardato. Se osserviamo il quadro dei contributi regionali destinati ad associazioni e gruppi di ogni genere, si capisce che da queste parti la Cultura, quella vera, quella che insemina e feconda intelligenze, talenti, bellezza e sviluppo, interessa a pochi. Tuttavia, bisogna insistere. Liberare l’arte e la bellezza dalla mediocrità è come liberare un popolo dall’oscurità.