Basilicata, elezioni: Angelo Chiorazzo e la banalità del nulla
La kermesse al Motel park di ieri, 16 dicembre, niente altro che un suggestivo spettacolo di marketing
“Una Basilicata che torni ad essere protagonista in Italia e in Europa”, mi sembra l’abbiano detto nelle loro campagne elettorali sia De Filippo sia Pittella. Allo stesso modo si espresse Pittella nella sua campagna elettorale del 2013 sulle questioni ambientali: l’ambiente, “valore non negoziabile”. Sulla Sanità, la giaculatoria è sempre la stessa: ridurre le liste di attesa, il sistema sanitario regionale diventi un’eccellenza eccetera eccetera. “Rendere attrattive le aree industriali e puntare alla formazione sono invece le risposte più immediate alla crisi occupazionale che investe la Basilicata”, lo dicono tutti da 20 anni, partiti, sindacati, assessori regionali. Insomma, nella sostanza, ancora non si capisce quale sia il disegno distintivo della politica di Angelo Chiorazzo.
In quella sala gremita da “truppe cammellate”, curiosi e politici in cerca di spazi “nuovi” è andato in scena un suggestivo spettacolo di marketing. E come ogni promozione commerciale che si rispetti gli slogan, banali ma impattanti, sono un must: “Il lavoro è dignità e libertà. Il lavoro se non è dignitoso, non è lavoro. Il lavoro non può essere precario”. Caspita che novità! Ma dove è vissuto fino ad oggi Angelino?
Alle sue avventure di imprenditore nessun accenno tranne una: si dimetterà dal consiglio di amministrazione di Auxilium. Strano, a noi risulta, ultima visura camerale ufficiale, che Angelo Chiorazzo non è nel Cda di Auxilium, dunque da che cosa si deve dimettere? Dovrebbe dimettersi, invece, da un’altra Auxilium, la Auxilium Care in cui è consigliere di amministrazione. Dovrebbe dimettersi dalla Physioclinic S.r.l. di cui è presidente del Consiglio di amministrazione. Intanto, c’è ancora chi si beve la storiella delle dimissioni modello Berlusconi: pura formalità per zittire i soliti maligni. Ma lasciamo stare, questa è roba che riguarda scelte personali e di opportunità.
La sostanza delle cose è che dal suo monologo al Motel Park ieri, non abbiamo capito molto sulle vere intenzioni politiche e programmatiche. Non abbiamo colto una visione del futuro della Basilicata fondata su missioni chiare e obiettivi praticabili. Certo è che per mettere insieme l’intera paccottiglia di partiti, partitini, movimenti e gruppetti che si dichiarano alternativi alla destra bisogna mantenersi larghi e generici, con dichiarazioni gradite a tutti. Il rinvio ai tavoli programmatici è un metodo che conosciamo da decenni. Ma i programmi, spesso, sono la foglia di fico per altre intenzioni, un trattato di marketing per promuovere un prodotto taroccato.
Siamo cattivi è vero, ma la nostra missione è criticare il Potere a prescindere. E quello di Chiorazzo, al pari degli altri – a destra o a sinistra – uguali sono. Abbiamo dunque il dovere di chiederci come sia possibile che i cosiddetti innovatori del Pd, i duri e puri del M5S possano solo immaginare di candidare alla presidenza della Regione uno come Chiorazzo. Politicamente possiamo anche capirlo, tatticamente possiamo anche comprenderlo, ma umanamente siamo preoccupati. Perché? Perché né Chiorazzo né altri fino ad oggi hanno dichiarato di essere alternativi al sistema di potere che tiene in ostaggio la Basilicatada decenni. Non basta dichiararsi alternativi al centro destra o, a parti invertite, al centrosinistra. Perché ormai questa storia, soprattutto a livello locale, è una pantomima che copre un semplice cambio ai vertici del comando: “togliti tu che mi metto io”. Questa campagna elettorale non promette nulla di buono, ancora una volta i cittadini assisteranno alla scena senza capire ciò che accade dietro le quinte: uno scontro tra interessi, tra “uomini d’affari”, tra ambizioni personali e familiari. Basta vedere chi gira intorno “ai salvatori della patria” e chi li sostiene.
E allora? Esistono fronti di resistenza a questo sistema, movimenti di base, minoranze politiche e sociali che hanno molto da dire e da proporre nel quadro della costruzione di un campo comune. Non per vincere le elezioni, ripetiamo, ma per creare le condizioni affinché nel futuro le cose cambino. Oggi questo campo comune potrebbe perdere la competizione elettorale, ma non sarà sconfitto nella misura in cui sarà capace di mettere in moto un flusso inarrestabile di cambiamento. Non sarà sconfitto se sarà capace di percepire l’erba crescere, e in questi tempi l’erba cresce tra i disoccupati, i precari, i poveri, gli esclusi, tra le vittime della paurosa ingiustizia sociale che avvolge anche questa terra.