La tragica storia di Agostino Lacerenza, di Brindisi Montagna, diventa una pièce teatrale
Accusato ingiustamente di omicidio per due volte, morirà suicida: la storia messa in scena da Ulderico Pesce è tratta dal romanzo di Aurelio Pace
Lo spettacolo “O Pollc”, con Ulderico Pesce, tratto dal romanzo di Aurelio Pace “Eppure qualcuno mi doveva ascoltare”, da un’idea di Michele Lacerenza, sarà presentato al Teatro San Michele di Rivello domani 16 settembre alle ore 21. Narra la storia di Agostino Lacerenza, figlio di Peppe, detto o’Pollc, il pollice, a causa della bassa statura che lo caratterizzava. Anche il figlio Agostino era di bassa statura e viveva in contrada “Casone” di Brindisi Montagna, in Basilicata, un territorio dell’Italia interna in cui prima si insediarono i monaci, poi i feudatari latifondisti, i Materi, infine la proprietà delle terre passò al demanio e vennero fittate a contadini provenienti da più parti della Basilicata.
Agostino o’ Pollc’, è un giovane contadino e pastore, che vive con il padre Peppe, la mamma e sei sorelle, al Casone, dove si occupa di agricoltura e pastorizia. La notte di Natale del 1926, Agostino ha 29 anni, e mentre attorno al fuoco aspettano la nascita di Cristo, il padre Peppe si accascia a terra privo di sensi. Il figlio Agostino e le sorelle lo caricano sul mulo per portarlo in Ospedale a Potenza ma Peppe non riesce a reggersi da solo, parte del corpo è paralizzato, e allora decidono di legarlo sul mulo. E’ notte, c’è neve, ad accompagnarlo è l’unico figlio maschio, Agostino. Arrivato in ospedale, Peppe viene slegato dal mulo con l’aiuto di medici e infermieri, ma è morto. Il medico che ne attesta il decesso chiama i carabinieri e, ritenendo che Agostino abbia legato al mulo il padre con lacci troppo stretti, viene arrestato per omicidio colposo. Nel paese si sparge la voce che Agostino è in galera per aver ucciso il padre e parte un’azione infamante contro di lui che non si attenua neppure quando, qualche giorno dopo, liberato, torna al Casone. Per tutti gli abitanti del Casone è un assassino da emarginare. La vergogna lo assale ma continua la sua vita sposandosi con Maria Donata e generando cinque figli.
Agostino, nonostante l’emarginazione dei suoi compaesani del Casone di Brindisi di Montagna, vive una vita dedicata al lavoro e alla famiglia. Spesso va a caccia. Passano gli anni e all’alba del 29 novembre 1942, Agostino va a caccia di lepri con due vicini di casa, Francesco Vaccaro e Leonardo Filippi. Nel bosco Leonardo si allontana e si perdono le sue tracce. La notte non torna a casa e allora, tutti gli abitanti del Casone, vanno alla ricerca di Leonardo con le torce. Nel giro di poche ore, i carabinieri del posto, ritenendo Agostino uno “col vizio di uccidere”, lo arrestano. Iniziano le torture, deve ammettere di essere colpevole. In attesa del processo viene rinchiuso nel carcere di Potenza dove è già stato da giovane per la sospetta uccisione del padre. Intanto sequestrano tutti i beni alla famiglia di Agostino che comincia così ad avere una serie difficoltà ad andare avanti. Arriva la sentenza: colpevole di omicidio. Dopo anni di duro isolamento in cella Agostino viene liberato perché, il vero colpevole dell’assassinio di Leonardo Filippi, confessa la propria colpa. Agostino ritorna al Casone, ritrova la moglie e i figli, le sorelle, hanno perso tutte le proprietà, ricomincia a lavorare, ma il danno interiore sofferto non gli permette di trovare la forza per vivere. Il 23 luglio del 1949 si getta nel pozzo del Casone dove muore annegato.
La storia di Agostino Lacerenza è una storia di accanimento giudiziario, di “mala giustizia”, ma anche la storia di un uomo emarginato dalla sua comunità, che potrà uscire dalla vergogna soltanto con il suicidio.
Lo spettacolo si avvale di musiche della cultura Arbereshe eseguite da Pierangelo Camodeca e Gianfranco Filizzola.