Cultura del futuro e coscienza del limite tra utopie e distopie

15 settembre 2023 | 13:19
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Cultura del futuro e coscienza del limite tra utopie e distopie

Per un contributo al dibattito sulle crisi del nostro tempo

Che cosa significa “cultura del futuro”? Dal mio modesto punto di vista vuol dire attenzione costante alla vita degli uomini e delle donne che abiteranno la Terra dopo di noi. Questa definizione, che sembra banale, raccoglie molte implicazioni. Intanto, lo sforzo di immaginare anche in termini simbolici, appunto culturali, le società umane del domani. Desiderare che siano migliori di quelle che viviamo noi nel presente e agire individualmente e socialmente affinché si realizzino. Una visione felice del domani. In primo luogo però, per agire in tale direzione, occorre che quella cultura – del futuro – abbia a riferimento la coscienza del limite. Capire che non si può consumare all’infinito, produrre cose senza sosta, inghiottire voracemente il presente come se non ci fosse un domani. Ci sono dei limiti che assumono il carattere di regole morali e comportamenti etici. Per costruire la cultura del futuro occorre che vi sia la “sovranità del limite” quella sovranità di cui parla Alain Supiot, ossia il “presupposto intrinseco alla vita umana sulla Terra che è la sua finitudine”. Abbiamo dei limiti, dobbiamo conoscerli, riconoscerli e rispettarli.

In secondo luogo occorre affermare ad ogni livello il principio di “responsabilità” così come definito da Hans Jonas (1979): “Agisci in modo tale che le conseguenze della tua azione possano essere compatibili con la permanenza della vita, umana e naturale, sulla Terra”.

Lottare per ottenere quello che non abbiamo rischia di trasformarsi in una competizione feroce dentro la quale a rimetterci è il futuro. E questo accade quando quello che non abbiamo non è necessario, quello che non abbiamo è il desiderio di consumare ciò che la produzione ci impone. La corsa al consumo dei beni decisi dall’offerta che orienta e stabilisce la domanda, spesso perde di vista il necessario. Ecco, in terzo luogo, la coscienza del limite e la responsabilità delle azioni richiedono una valorizzazione del necessario, una cultura della frugalità. Lottare per il necessario oggi è diventato vitale per miliardi di persone ed è un dovere morale per coloro che hanno più del necessario.

La crisi dell’umanità è crisi climatica, crisi delle società, delle loro antropologie, dei paradigmi della vita e dell’ingordigia del potere neoliberista. E’ assenza di limiti, assenza di responsabilità e di cultura del futuro. La razza umana è vittima e complice di una crisi senza precedenti. Tuttavia, non bisogna continuare a commettere un errore: diffondere una visione distopica del domani, non aiuta a costruire cultura del futuro, ma paura del futuro. Questa paura spinge masse di persone a concentrarsi sul presente, a vivere tutto il vivibile che il presente offre. La paura spinge all’autoreferenzialità, all’egoismo, alla chiusura, all’individualismo, alla lotta continua per ottenere quello che non abbiamo e che non è necessario. Spinge alla competizione per la sopravvivenza nell’illusoria abbondanza: la tua povertà è la mia ricchezza, la tua guerra è la mia pace … mors tua vita mea.

Al contrario bisognerebbe diffondere una visione utopica del domani: immaginare giardini anziché campi alluvionati, boschi e foreste rigogliosi anziché fuoco e distruzione, nuove stagioni di bellezza anziché disastri umanitari. Trasformare l’utopia in un grande orizzonte progettuale: difficile, ma non impossibile. L’utopia è generativa, la paura è degenerativa.

E’ vero, quella visione distopica del futuro si è da tempo affacciata nel presente sotto forma di realtà (oggi, è il futuro di ieri). Quella utopica non emerge. Questo significa che è nel presente la chiave del futuro. Questo significa che educare al futuro, alla responsabilità, alla necessità del limite, è la priorità del nostro tempo. Un impegno costante e massiccio in tale direzione è ormai indifferibile: mezzo secolo e forse ce la faremo ad invertire la marcia verso il baratro. Intanto però, occorre fermarsi, la baldoria non può continuare.

La corda si romperà, prima o poi, perciò chi la deve mollare lo faccia adesso. Lo facciano i responsabili delle guerre, dell’inquinamento, del saccheggio delle risorse naturali. Lo facciano i sacerdoti del neoliberismo, i mercanti di schiavi. Il potere economico e finanziario, il potere politico vanno fermati. E’ questa la rivoluzione a cui sono chiamate le nuove generazioni, prima e durante l’affermazione della cultura del futuro.