Sulla ZES unica per il Sud c’è poco da esultare

15 luglio 2023 | 16:46
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Sulla ZES unica per il Sud c’è poco da esultare
Meloni e Fitto (Foto: Il Fatto Quotidiano)

Il governo Meloni e la storia della ricottina

C’era una volta una contadinella che ebbe da un pastore in regalo una ricottina. Con la ricottina in testa si avviò al mercato pensando: “Vendo la ricotta e con i soldi compro una gallina. Questa farà le uova che venderò e mi comprerò un coniglio. Il coniglio farà tanti piccoli, che venderò e mi comprerò un maiale, lo farò ingrassare e lo venderò e con il ricavato comprerò una mucca. E così guadagnerò tanti soldi e mi comprerò un castello e mi affaccerò alla finestra e tutti quelli che passeranno mi faranno un bell’inchino” ma, mimando il gesto dell’inchino, la ricottina le cadde dalla testa e tutti i sogni finirono in gloria.

I tempi cambiano, le mamme invecchiano e le chiome imbiancano e nell’età adulta abbiamo bisogno di favole più complesse e così al posto della ricottina ci raccontano che con la ZES unica il Sud risorgerà.

Inciso: questo governo con la ZES unica va in direzione diametralmente opposta alla tanto sbandierata autonomia differenziata. Sembra come quello che dice: ‘prima ero schizofrenico, ora siamo guariti’.

Ma in cosa consiste la ZES, altrimenti detta Zona Economica Speciale? Le ZES sono state istituite nel giugno 2017 con il decreto legge n. 91 tramutato nella legge 3 agosto 2017 n. 123.

Ad oggi le ZES in Italia sono 8, di cui molte con commissario governativo, e, salvo mio errore, non risultano evidenze che ad oggi nelle 8 aree ZES e dopo molte difficoltà di definizione e di implementazione ci siano evidenze significative di differenziale di sviluppo economico tra aree ZES e aree non ZES. E quindi occorrerebbe capire come una ZES unica possa avere prospettive migliori e perché mai aree fino ad ora non comprese nella ZES, perché più marginali, debbano avere risultati migliori. Nel senso che, a parità di incentivazione, sceglierò sempre e comunque aree a maggiore prossimità infrastrutturale e logistica e quindi le aree delle 8 ZES esistenti saranno sempre preferite.

I presupposti della ZES sono due: il primo fornire un quadro legislativo che consenta vantaggi fiscali a chi vuole fare impresa, il secondo quello di fornire un percorso a burocrazia semplificata per la costituzione di impresa.

Indubbiamente la semplificazione burocratica, in un momento di attuazione difficile del PNRR, potrebbe fornire un aiuto. Potremmo però chiederci se non sia il caso di semplificare la burocrazia ovunque ma amen. Però quanto tempo ci metteremo per passare da 8 ZES a una sola ZES? Non è che otterremo l’effetto contrario sui tempi del PNRR?

Riguardo gli incentivi fiscali questi non hanno mai funzionato, come non hanno mai funzionato le semplificazioni burocratiche, per il semplice motivo che entrambe le cose non rimuovono gli ostacoli per la localizzazione delle imprese al SUD.

Faccio alcuni esempi. Il primo: se una multinazionale, o qualsiasi impresa, pensa che al Sud regni indisturbata la mafia e la camorra, non sarà un incentivo fiscale o burocratico a convincerle a investire al Sud. Oppure, se pensa di delocalizzare e il proprio management non ha voglia di trasferirsi armi e bagagli e con la famiglia perché le scuole e la sanità meridionali non offrono garanzia non sarà un incentivo a rimuovere questi giudizi o pregiudizi. Altro esempio, se produco scarpe o componentistica e, a causa delle carenze di infrastrutture, i miei costi e tempi di trasporto per portare i miei prodotti sui mercati rilevanti supera il vantaggio degli incentivi ecco che non avrò comunque voglia e vantaggi reali di investire, soprattutto se gli incentivi sono temporanei e limitati nel tempo. Potrei continuare con gli esempi ma è chiaro che a usufruire di una struttura concepita in questo modo può essere prevalentemente il tessuto imprenditoriale locale.

C’è poi la questione madre di tutte le questioni: la visione, o meglio la cornice che si offre alle imprese sullo sviluppo del Mezzogiorno.

Anche qui alcuni esempi. In quali settori lo Stato vuole sviluppare l’economia del Mezzogiorno? Se uno dei settori è il trattamento dei rifiuti, che è uno di quelli a maggior valore aggiunto, o nella produzione di energia da fossili non posso in contemporanea chiedere di investire sul turismo o sulla agricoltura di qualità. O, nel caso del turismo, se penso che ci siano possibilità di sviluppo devo necessariamente aumentare, prima della ricettività, l’accessibilità e quindi realizzare strade, ferrovie AV, razionalizzare la collocazione degli aeroporti, individuare a quali bacini di utenze mondiali rivolgere prevalentemente l’offerta (cinesi, tedeschi o Americani?) perché siamo lontani dall’epoca della ‘villeggiatura’, che durava mesi. Oggi tutto si consuma in tempi brevi e l’incidenza dei tempi e costi di viaggio influisce sulla scelta della meta.

Così come se penso al settore manifatturiero o della componentistica per utilizzare al meglio il sistema portuale del Mezzogiorno nei commerci con il Far East devo individuare le aree di insediamento degli stabilimenti e le infrastrutture per portare i miei prodotti al porto più vicino e ricevere da questo la componentistica necessaria. In altri termini dovrei inserire il mio sistema portuale nelle vie di commercio mondiali. Però se guardiamo Gioia Tauro, primo porto italiano e decimo europeo per traffico di container, dobbiamo amaramente costatare che più che un porto continentale, a causa della assenza delle infrastrutture di collegamento come la ferrovia ad alta capacità, sembra di avere a che fare con un porto isolano.

Era il 1986, ed ero un giovane virgulto che si affacciava al mondo delle strategie aziendali. Fui inviato insieme al mio capo di allora a un importante convegno internazionale di management e strategie che si teneva a Barcellona e di cui la regione catalana faceva da ospite finanziatore. Nei workshop erano rappresentate le migliori competenze mondiali (Porter, Kotter, Florida ecc.) e la cena finale fu tenuta nella darsena del porto. Il governatore illustrò i progetti di sviluppo regionali, le priorità e i settori di intervento. Annunciò la candidatura alle Olimpiadi estive del 1992 e presentò le strutture regionali di tutor per accompagnare le aziende ad investire nell’area e la visione del futuro della città e della regione. Oggi la Catalogna è una delle aree più ricche dell’Europa.

Non ci sono scorciatoie. O si matura una idea strategica sul ruolo del Mezzogiorno sulle vie di commercio mondiale legato alla portualità del Sud con una chiara idea dei settori trainanti e delle infrastrutture necessarie o continuiamo a cullarci nei sogni della contadinella e della sua ricottina destinata a spiaccicarsi sul terreno lasciandoci ancora una volta disillusi e amareggiati.