Stellantis. Tavares fa il suo mestiere, la politica e i sindacati no

13 luglio 2023 | 12:23
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Stellantis. Tavares fa il suo mestiere, la politica e i sindacati no

Chi esulta per l’accordo firmato ieri a Melfi probabilmente è disorientato. La montagna ha partorito un topolino destinato al pranzo del gatto

Firmato ieri, 13 luglio 2023,  l’accordo a Melfi tra Stellantis e sindacati. La montagna ha partorito un topolino destinato a finire in bocca al gatto.

Si sono dichiarati soddisfatti Vito Bardi e altri esponenti politici. Soddisfatti i sindacati firmatari, tranne la Fiom che ha abbandonato il tavolo. Soddisfatti per cosa? Per una presunta messa in sicurezza dei salari legati a un contratto di solidarietà. Un contratto che abbassa i salari e che però non prevederebbe esuberi strutturali. Primo appunto: gli esuberi sono già strutturali.

Leggo nel comunicato dei sindacati firmatari: “Le trasferte avranno una durata massima di 3 mesi, avranno un importo giornaliero di 111,00 euro, saranno comunicate 15 giorni prima della partenza ed il lavoratore potrà segnalare situazioni che non consentono lo svolgimento dell’attività richiesta e tali situazioni saranno adeguatamente valutate dall’azienda. Inoltre, previa disponibilità dei lavoratori, sarà istituito un servizio navetta giornaliero per lo stabilimento di Pomigliano dallo stabilimento di Melfi e da Potenza, Matera e Foggia e per questi lavoratori sarà riconosciuto un importo forfettario di 46,48 euro.”

Leggo nel comunicato della Fiom, sigla non firmataria dell’accordo: “L’azienda ha confermato la volontà di procedere con gli incentivi all’esodo e le trasferte che coinvolgeranno altri 700 lavoratori che si aggiungono ai 550 già trasferiti, per un numero di 1200 lavoratori e lavoratrici che lasceranno lo stabilimento di Melfi senza alcuna sicurezza rispetto al loro ritorno in fabbrica. Neppure la procedura tramite rotazione può essere intesa come garanzia: ciò che preoccupa maggiormente è il perdurare di una logica di riduzione delle lavorazioni e dell’occupazione nello stabilimento. L’azienda non ha nemmeno accettato la nostra proposta che al termine del cds (contratto di solidarietà, n.d.r.) in caso di esuberi, i percorsi fossero condivisi con ammortizzatori conservativi. Stellantis ha infine confermato la necessità di acquisire ulteriori lavorazioni in insourcing nella logistica e nello stampaggio che si traducono in uno svuotamento anche dell’indotto”.

Ebbene, i firmatari non hanno fatto altro che sottoscrivere le volontà di Tavares, seppure dolcificate con qualche concessione. La Fiom, invece, ha dimostrato maggiore lucidità e un’interpretazione più corretta dei contenuti dell’accordo. La sintesi di tutto è banale: Tavares fa il suo mestiere a vantaggio degli azionisti, mentre i sindacati e la politica si muovono nella completa incertezza e, perdonate, inadeguatezza.

E’ evidente in tutto il campo sindacale e politico una carenza di analisi e una scarsa capacità di lettura dei fenomeni che si muovono intorno ai mercati e ai mutamenti tecnologici della produzione in questo caso metalmeccanica. C’è un principio sacrosanto a cui gli azionisti non sono in alcun modo disposti a rinunciare: il profitto. Il loro scopo non è creare occupazione e incrementare l’assunzione di lavoro umano, il loro scopo e fare profitti. E se per raggiungere lo scopo bisogna licenziare, incentivare l’uscita dei lavoratori dalle fabbriche, rendere le condizioni di lavoro più difficili, lo fanno. Lo si voglia o no.

Tra gli obiettivi dichiarati da Tavares nella presentazione, a marzo 2022, del Piano strategico a lungo termine “Dare Forward 2030”, primeggiano: il raddoppio dei ricavi netti a 300 miliardi di euro entro il 2030; sostenere il margine operativo rettificato a due cifre per tutto il periodo del piano; generare più di 20 miliardi di euro di flussi di cassa liberi industriali nel 2030;  un rapporto di distribuzione dei dividendi del 25-30% fino al 2025 e del riacquisto fino al 5% delle azioni ordinarie in circolazione. Tutto il resto sono chiacchiere o tattiche.

Tutte le dichiarazioni di Tavares diffuse da quando i francesi hanno preso il controllo della Stellantis vanno in un’unica direzione: innovazione (tecnologica), riduzione dei costi, aumento della produzione e dei profitti. Ebbene, l’introduzione di nuove tecnologie nei processi produttivi è un must imposto dal mercato. Le tecnologie dell’automazione hanno un costo che va comparato con il costo del lavoro umano. Fin quando il lavoro umano è meno costoso delle tecnologie, i livelli occupazionali tendono a mantenersi ma sempre in un equilibrio precario e tendenzialmente sfavorevole ai lavoratori.  Lavoro meno costoso oggi significa, riduzione dei salari e dei diritti. Quando la tecnologia diventa più conveniente e anche più necessaria saranno i lavoratori a doversi accomodare fuori dalla fabbrica. Oggi siamo al capolinea: Stellantis e i suoi nuovi modelli richiederanno forti investimenti in tecnologie avanzate. Lavoratori arrivederci e grazie.

Dopo gli incentivi all’esodo, i licenziamenti camuffati, le “deportazioni” a Pomigliano e in altri stabilimenti, qualcuno dovrebbe tirare le somme: occupazione dimezzata, salari ridotti, diritti calpestati, turni tagliati, condensati e massacranti, cassa integrazione a gogò. In questo scenario qualcuno esulta per la navetta che traporta il carico dalla Basilicata alla Campania (una volta c’erano le navi che partivano dall’africa vero i campi di cotone americani); esulta per la durata massima della trasferta dei lavoratori stabilita in 3 mesi (e ci credono pure) con la promessa, non scritta, che alla scadenza rientreranno in fabbrica a Melfi (e ci credono pure).

E dunque gli operai addestrati a conoscere i loro diritti sindacali – sempre più ridimensionati – dovrebbero essere formati per assumere la coscienza politica della loro condizione. Dovrebbero impadronirsi della consapevolezza di essere soggetti politici prima ancora che oggetti della produzione e del consumo. La consapevolezza di essere cittadini prima che operai. Questa consapevolezza tutta politica e in fondo culturale, sembra scarseggiare. Scarsità generata soprattutto dalla completa spoliticizzazione del lavoro. Nelle fabbriche la politica è scomparsa. E questa scomparsa deresponsabilizza i partiti e le istituzioni. I problemi richiedono soluzioni più complesse, risposte adeguate ai mutamenti irreversibili, ma siamo ancora in presenza di una contrattazione su base novecentesca.

Sul tavolo rimane la continua ed estenuante negoziazione sulle quisquilie nel quadro di “un malinteso realismo, che si è risolto in moderatismo quietista e culto della stabilità”. Quella stabilità che non esiste per natura. Di questo passo a Melfi si tirerà a campare al massimo per qualche anno ancora. Poi, il mercato e gli azionisti, decideranno definitivamente la sorte di migliaia di famiglie.

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